due menti, entrando in ambedue nella maliziosa speranza che i pensieri possano fluire dall’uno all’altro, ma ha calcolato male la sua apertura mentale e si ritrova di nuovo nel vecchio Schiele, immerso profondamente nella sua estasi, pur conservando il contatto con Hans. Padre e figlio, il vecchio e il giovane, il sacro e il profano. David sostiene il contatto gemellare per un attimo. E va in briciole. E pieno di un rimbombante senso dell’unita della vita.

In quegli anni fu sempre cosi: un viaggiatore senza limiti, uno sfarzoso voyage. Pero i poteri declinano. Il tempo sbianca i colori sulle visioni piu belle. Il mondo si fa sempre piu grigio. L’entropia ci butta giu. Tutto svanisce. Tutto se ne va. Tutto muore.

13

L’oscuro, sconnesso appartamento di Judith e pieno di odori sgradevoli. La sento in cucina affaccendata, mentre rovescia spezie nella pentola: pepe piccante, origano, aceto aromatico, chiodi di garofano, aglio, senape in polvere, olio di sesamo, polvere di radice di curcuma, e Dio solo sa cos’altro. Il fuoco e acceso e il calderone gorgoglia. La sua famosa salsa piccante per gli spaghetti e in lavorazione, un miscuglio formato da componenti misteriosi, in parte di ispirazione messicana, in parte di provenienza cinese provincia dello Szechwan, in parte di Madras, in parte pura invenzione di Judith. La mia infelice sorella in effetti non e proprio il tipo della donna di casa, ma i pochi piatti che riesce a cucinare li fa straordinariamente bene, e i suoi spaghetti sono famosi su tre continenti; sono convinto che ci siano uomini che vanno a letto con lei soltanto per avere il privilegio di cenare qui.

Sono arrivato inaspettatamente presto, mezz’ora prima del tempo fissato per l’appuntamento, cogliendo Judith impreparata, non ancora vestita; percio me ne sto per mio conto mentre lei prepara la cena. — Versati da bere — mi grida. Vado alla credenza e mi verso un cicchetto di rum scuro, poi entro in cucina per prendere i cubetti di ghiaccio. Judith, tutta eccitata, con indosso una vestagliela, gira qui e la furiosamente, scegliendo le spezie con il fiato sospeso. Lei fa tutto con frenesia. — Sono da te in dieci minuti — mi dice tutta affannata, mentre cerca il macinino del pepe. — Il piccolo fa troppo fracasso per te?

Allude a mio nipote. Si chiama Paul, in onore di nostro padre, che Dio lo abbia in gloria. Lei pero non lo chiama mai per nome, ma soltanto 'il bimbo', 'il piccolo'. Ha quattro anni. Figlio di un divorzio, destinato a essere sempre teso come sua madre. — Non mi infastidisce per niente — la rassicuro, e ritorno nel soggiorno.

L’appartamento e uno di quelli vecchi, immensi del West Side, spaziosi e con i soffitti alti, che portano con se un’aura di distinzione intellettuale per il semplice fatto che un gran numero di critici, poeti, drammaturghi e coreografi hanno vissuto in case simili, proprio da quelle parti. Un soggiorno enorme con tante finestre che danno su West End Avenue; una sala da pranzo protocollare; una grande cucina; una camera da letto da signori; la camera del bambino; la camera per la domestica; doppi servizi. Tutto questo per Judith e il suo cucciolo. L’affitto e alle stelle, pero Judith riesce a farvi fronte. Prende molto piu di mille dollari al mese dal suo ex, e guadagna, di proprio, un modesto ma decente stipendio per vivere come curatrice e traduttrice; oltre a questo ha alcune piccole entrate da un portafoglio di titoli azionali, abilmente scelti per lei, alcuni anni fa, da un suo amante di Wall Street, e che compero con la sua parte di eredita. I nostri genitori si erano sorprendentemente rivelati grossi risparmiatori. (La mia parte se ne ando nel ripulirmi dai debiti accumulati; il tutto si liquefece come la neve a giugno). L’appartamento e ammobiliato meta alla Greenwich Village 1960 e meta alla Urban Elegance 1970, lampade ad asta scure, sedie di corda grigie, scaffali per i libri in mattonato rosso, stampe a buon mercato, bottiglie di Chianti sigillate a cera da una parte; divano in pelle, ceramiche Hopi, psichedelici paraventi in seta, tavolini da caffe con i buchi per i bicchieri, giganteschi cactus in vaso. Le sonate per clavicembalo di Bach risuonano dal sistema di amplificazione da mille dollari. Il pavimento, nero ebano e brillante come uno specchio, scintilla attraverso tappeti lussureggianti, spessi. Una pila di tascabili dai dorsi tutti malconci ingombra una parete. Davanti ci sono due casse di legno non ancora aperte, grezze, vino appena arrivato dal suo fornitore. Mia sorella fa una bella vita qui. Bella e miserabile.

Il piccolino mi fissa senza fiducia. E seduto a sei metri da me, accanto alla finestra; sta baloccandosi con un intricato giocattolo di plastica, pero tiene gli occhi incollati su di me. Un bambino difficile da capire, esile e teso come sua madre, che si tiene alla larga, freddo. Non c’e mai stata una gran simpatia reciproca tra noi: io sono stato nella sua mente e so che cosa pensa di me. Per lui sono uno dei tanti uomini che ci sono nella vita di sua madre, non sono un vero zio, non sono diverso dagli innumerevoli zii-presi-a-nolo sempre prima di andare a letto; ritengo che lui pensi proprio che io sia uno dei suoi amanti che si fa vivo piu spesso degli altri. Un errore comprensibile. Pero mentre lui e risentito con gli altri semplicemente perche sono suoi concorrenti nell’affetto di lei, considera me con freddezza perche e convinto che io abbia causato dei dispiaceri a sua madre: e per amore di lei che non gli vado a genio. Con quanta acutezza ha individuato quell’intrecciarsi di ostilita, vecchio di decenni, e di tensioni che configura e definisce la mia relazione con Judith! Dunque sono un nemico. Se potesse mi farebbe la pelle.

Centellino il mio bicchierino, ascolto Bach, sorrido senza sincerita al piccolino, e aspiro l’aroma della salsa per gli spaghetti. Il mio potere praticamente e in riposo; qui non tento granche di servirmene, e comunque oggi la sua incisivita e fiacca. Dopo un po’ Judith emerge dalla cucina e, attraversando sparata il soggiorno, dice: — Vieni a parlare con me mentre mi cambio, Duv. — La seguo nella camera da letto; lei riprende gli abiti nel bagno li vicino, lasciando la porta aperta soltanto qualche centimetro. L’ultima volta che l’ho vista nuda aveva sette anni. Dice: — Sono contenta che tu abbia deciso di venire.

— Anch’io.

— Pero sembri molto giu.

— E soltanto fame, Judith.

— Saremo a tavola tra cinque minuti. — Rumore di acqua che scorre. Lei dice qualcos’altro, ma lo scolo del lavandino lo soffoca. Mi guardo pigramente intorno nella camera da letto. Una camicia bianca da uomo, troppo grande per Judith, e appesa alla maniglia dell’armadio a muro. Sul comodino ci sono due libri, due grossi manuali, o cosi sembra: Neuroendocrinologia analitica e Studi sulla fisiologia della termoregolazione. Letture improbabili per un tipo come Judith. Forse e stata incaricata di tradurli in francese. Osservo che sono copie nuove, sebbene un libro sia stato pubblicato nel 1964 e l’altro nel 1969. Sono ambedue dello stesso autore: K.F. Silvestri, dottore in medicina e in filosofia.

— Ti sei iscritta a una scuola di medicina? — chiedo.

— Parli dei libri? Sono di Karl.

Karl? un nome nuovo. Dottor Karl F. Silvestri. Mi attacco leggermente alla sua mente e ne estraggo l’immagine di lui: un uomo alto vigoroso dalla faccia grave, spalle larghe, un mento forte con la fossetta, una zazzera fluente di capelli grigi. Sulla cinquantina, da quel che posso giudicare. Judith va sempre a scovare uomini piuttosto vecchi. Mentre le leggo nel pensiero lei mi parla di lui. Il suo 'amico' del momento, l’ultimissimo 'zio' del piccolino.

E un importante pezzo grosso al Centro Medico della Columbia, una vera autorita in fatto di corpo umano, il corpo di Judith compreso, presumo. Divorziato da poco, dopo 25 anni di matrimonio. Ah! A lei piace prenderli al volo al momento del rimbalzo. Lo ha incontrato tre settimane fa attraverso un amico comune, uno psicanalista. Si sono visti soltanto quattro o cinque volte; lui e sempre occupatissimo: riunioni di comitato in questo o in quell’ospedale, seminari, consulti. Non e passato molto tempo da quando Judith mi diceva che era a corto di uomini, forse senza uomini completamente. Evidentemente no. Deve essere un fatto serio se lei sta provando a leggere i suoi libri. A me paiono assolutamente tabu, tutti schemi e tavole statistiche e una pesante terminologia latinizzata.

Lei esce dal bagno indossando un lucido completo color porpora, e gli orecchini di cristallo che le ho regalato per il suo ventinovesimo compleanno. Quando le faccio visita tenta sempre di ricorrere a qualche piccolo tocco sentimentale per tenerci uniti; questa sera e la volta degli orecchini. La nostra amicizia, di questi tempi, e di qualita piuttosto fragile, mentre attraversiamo in punta di piedi, senza far rumore, il giardino dove giace sepolto il nostro antico odio. Ci abbracciamo, una stretta da fratello e sorella. Un profumo piacevole. — Salve — dice lei. — Mi spiace di essermi fatta trovare in disordine quando sei arrivato.

— E colpa mia. Era troppo presto. Ad ogni modo, non eri affatto in disordine.

Mi conduce in soggiorno. Si tiene bene. Judith e una bella donna, alta ed estremamente esile, con un aspetto esotico, capelli neri, carnagione scura, zigomi sporgenti. Il tipo snello focoso. Ritengo che sia considerata molto sexy, se si prescinde dal fatto che c’e qualcosa di crudele nelle sue labbra sottili e nei suoi occhi bruni guizzanti, e che quella crudelta, che e aumentata in questi anni di divorzio e di scontentezza, allontana la gente. Ha avuto

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