— E una camera grande? — chiese Lona.

— E un appartamento — rispose Aoudad — con una quantita di camere.

Erano nel complesso sette locali: un gruppo di camere da letto, una cucina, un soggiorno e una vasta sala di riunioni dove i rappresentanti dei giornali si sarebbero riuniti, piu tardi, per la conferenza stampa.

Burris aveva chiesto, discretamente, che a lui e a Lona fossero assegnate delle camere comunicanti. Non c’erano stati ancora rapporti fisici tra loro. Burris sapeva bene che la difficolta non faceva che crescere, aspettando; tuttavia, se ne asteneva. Sulla profondita dei sentimenti di lei, non aveva elementi di giudizio; e, a questo punto, nutriva seri dubbi sui propri.

Chalk non aveva badato a spese. Era un appartamento lussuoso, dove i tendaggi erano fatti con materie di altri mondi, materie che pulsavano e scintillavano di luce propria. I ninnoli di vetro metallico che ornavano il tavolo emettevano dolci melodie, solo che venissero tenuti a contatto del calore della mano. Erano costosi. Nella camera di Burris c’era un letto buono per un reggimento. Quello di Lona era rotondo e, premendo un bottone, girava. I soffitti erano di specchio. Potevano distorcersi in sfaccettature, oppure in schegge e frammenti, o ancora fornire un’immagine riflessa e ingrandita, piu luminosa del vero. Potevano anche venire opacizzati. E Burris era certo che le camere erano piene di molti altri trucchi.

— Stasera, cena nella Sala Galattica — annuncio Aoudad. — Terrete una conferenza stampa domani alle undici del mattino. Il pomeriggio, vedrete Chalk. La mattina seguente, partirete per il Polo.

— Ottimamente — disse Burris, sedendosi.

— Devo far salire un dottore per dare un’occhiata alla tua gamba?

— Non occorre.

— Tornero fra un’ora e mezzo, per scortarvi a cena. Troverete degli abiti negli armadi.

E Aoudad si congedo.

— Lona aveva gli occhi che brillavano. Era nel paese delle meraviglie. Lo stesso Burris, al quale il lusso non faceva facilmente impressione, era se non altro incuriosito dalla profusione di comodita. Sorrise alla ragazza. Lei si animo in viso ancora di piu. Burris ammicco.

— Diamo di nuovo un’occhiata in giro — mormoro lei.

Fecero una nuova visita a tutto l’appartamento. La camera di Burris, quella di Lona, la cucina. Lei sfioro la manopola di programmazione sul quadro dei cibi. — Potremmo mangiare qui, stasera — suggeri Burris. — Se lo preferisci possiamo avere tutto quel che vogliamo.

— Andiamo fuori lo stesso.

— Certo.

Egli non aveva bisogno di radersi e nemmeno di lavarsi: piccoli vantaggi della sua nuova pelle. Ma Lona era piu vicina alla natura umana. Egli la lascio nella sua camera. In quel momento lei stava fissando il vibraspray nell’apposito cubicolo, dove, per regolarlo, c’era un cruscotto da fare invidia a un’astronave. Be’, lasciamola un po’ giocare.

Passo in rassegna il proprio guardaroba.

Lo avevano rifornito come se dovesse recitare la parte di protagonista in un dramma tridimensionale. Su una scansia c’era una ventina di lattine di sprayon, ciascuna con un’immagine che ne raffigurava il contenuto a vivaci colori. In questa, una giacca corta da sera, verde, e una tunica rilucente di fili purpurei. In quest’altra, un abito tutto d’un pezzo, lungo e sciolto, luminoso. In quest’altra ancora, una cosa sgargiante, blu pavone, con spalline e coste sporgenti. I suoi gusti erano rivolti a modelli piu semplici, persino a materiali piu convenzionali, come il lino e il cotone dei tessuti antichi. Ma non erano i suoi gusti privati a governare quell’impresa. Lasciato ai suoi gusti privati, egli sarebbe stato ancora rincantucciato nella sua camera scrostata, alle Torri Martlet, parlando al proprio spettro. Invece era qui, burattino volontario per ballare secondo i fili tirati da Chalk, e doveva fare i passi dovuti. Questo era il suo purgatorio. Scelse le spalline e le coste.

Ma chissa se lo sprayon avrebbe funzionato?

La sua pelle era diversa, in quanto a porosita e altre caratteristiche fisiche. Forse avrebbe rifiutato l’indumento. O, come in un incubo, ma reale, avrebbe mollato l’una dopo l’altra le molecole adesive, cosi che il suo vestito si sarebbe dissolto a brandelli in piena Sala Galattica, lasciandolo non solo nudo fra la folla, ma esposto in tutta la sua soprannaturale estraneita. Ebbene, avrebbe corso questo rischio. Che guardassero pure! Che vedessero tutto! Gli attraverso la mente l’immagine di Elisa Prolisse che portava una mano a un fermaglio segreto e cancellava in un attimo il suo vestito nero, rivelando bianche tentazioni. Questo tipo di abiti era malfido. E cosi sia. Burris si spoglio e inseri la lattina di sprayon nel distributore. Vi si mise sotto.

Con destrezza, l’abito si drappeggio intorno al suo corpo.

Questa applicazione richiese meno di cinque minuti. Osservando in uno specchio il suo aspetto sgargiante, Burris non rimase scontento. Lona sarebbe stata orgogliosa di lui.

Aspetto che lei lo chiamasse.

Ma passo quasi un’ora ed egli non udiva venire alcun suono dalla sua camera. Certamente doveva essere pronta, ormai. — Lona… — chiamo, e non ottenne risposta.

Fu colto di colpo dal panico. Quella ragazza aveva la mania del suicidio. Il fasto e l’eleganza di quell’albergo erano proprio la goccia che poteva far traboccare il vaso. Si trovavano, li, a trecento metri sul livello del suolo: questo tentativo non sarebbe fallito. Non avrei mai dovuto lasciarla sola, si disse Burris con furore.

— Lona!

Passo attraverso il divisorio scorrevole delle loro camere. La vide subito e il sollievo lo fece ammutolire. Lei stava nel suo armadio-spogliatoio, nuda, di schiena. Aveva le spalle strette e i fianchi ancora piu stretti, cosi che la vita sottile non era messa in risalto. La spina dorsale sporgeva come la galleria di una talpa nel terreno. Il sedere era come quello di un maschietto. Egli si rammarico per l’intrusione. — Non ti sentivo — le disse — mi sono preoccupato e poiche non rispondevi…

Lei si volto, e Burris vide che lei aveva ben altro in mente che la violazione della sua modestia. Aveva gli occhi cerchiati di rosso, le guance rigate di lacrime. In un gesto simbolico di pudicizia, sollevo un braccio gracile, a riparo dei suoi piccoli seni; ma fu un gesto puramente automatico, che non nascondeva niente. Le tremavano le labbra. Egli senti, sotto l’epidermide estranea, il contraccolpo di quel corpo, e si chiese perche una nudita cosi poco fornita di attributi gli facesse una simile impressione. Concluse che cio dipendeva dalla barriera che ora era andata in frantumi.

— Oh, Minner, Minner, mi vergognavo di chiamarti! Sono qui, ferma, da mezz’ora!

— Che c’e?

— Non trovo niente da mettermi!

Burris si avvicino. Lei si scosto dallo spogliatoio, mettendosi al suo fianco e abbassando il braccio che teneva sul petto. Egli guardo nello stanzino. Sulle scansie, erano stivate decine di lattine di sprayon. Cinquanta, forse cento.

— E allora?

— Non posso mettermi quelli!

Ne prese uno, a caso. Secondo l’immagine sull’etichetta, si trattava di una cosa di notte e di nebbia, casta, elegante, stupenda.

— Perche no?

— Mi occorre qualcosa di semplice. Non c’e niente di semplice, qui.

— Semplice? Per la Sala Galattica?

— Ho paura, Minner.

Ed era vero. Aveva la pelle d’oca.

— Che bambina sei a volte! — sbotto lui.

Quelle parole la punsero sul vivo. Arretro, con un’aria piu nuda che mai, e gli occhi si riempirono nuovamente di lacrime. Le parole cattive parvero indugiare, come un deposito limaccioso, nella camera, quando il suono era gia svanito.

— Se sono una bambina — disse, rauca — perche devo andare nella Sala Galattica?

Prenderla fra le braccia? Consolarla? Burris era in un vortice di incertezze. Regolo la voce a un che di mezzo fra l’ira paterna e una premura fasulla, dicendo: — Non fare la stupida, Lona. Tu sei una persona importante. Tutto il mondo, stasera, ti guardera, dicendosi come sei bella e fortunata. Mettiti qualcosa che sarebbe piaciuto a Cleopatra e persuaditi di essere Cleopatra.

— Ho un’aria da Cleopatra, io?

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