quest’ultima per un braccio. Lei, cerco di scrollarlo e liberarlo, facendo tremolare i seni scoperti, nello sforzo. Nikolaides intervenne dall’altra parte. Elisa strillava, scalciava, si dibatteva. Si era formato un cerchio di robot- fattorini. Burris li guardo mentre tiravano via Elisa. Lona si appoggio a una colonna di onice. Aveva il viso fortemente arrossato; ma, a parte cio, non aveva niente fuori posto, neanche nel trucco e nell’acconciatura. Sembrava piu stupita che spaventata.

— Chi era, quella? — chiese.

— Elisa Prolisse. La vedova di uno dei miei compagni di volo.

— Che cosa voleva?

— Chi lo sa? — menti Burris.

Lona non si lascio ingannare. — Ha detto che ti ama.

— Affari suoi. Credo che abbia attraversato un periodo di grande tensione.

— L’ho vista, all’ospedale. E venuta a trovarti. — Le verdi fiamme della gelosia guizzavano sul viso di Lona. — Che cosa vuole da te? Perche ha fatto quella scenata?

Aoudad venne alla riscossa. Tenendo appoggiata una pezzuola alla guancia insanguinata, disse: — Le abbiamo somministrato un sedativo. Non vi disturbera piu. Sono dolentissimo di quanto e accaduto. Quella stupida isterica…

— Torniamo di sopra — disse Lona. — Non ho voglia di mangiare nella Sala Galattica, adesso.

— Oh, no! — disse Aoudad. — Non dovete disdire! Vi daro un tranquillante e in un attimo starete meglio. Non lasciate che un episodio stupido come questo sciupi una splendida serata.

— Togliamoci dall’atrio, per lo meno — disse Burris.

Il gruppetto si avvio in fretta a una saletta appartata, brillantemente illuminata. Lona si lascio andare su un divano. Burris, nel quale ora scoppiettava l’agitazione trattenuta, sentiva delle fitte nelle cosce, ai polsi, nel petto. Aoudad tiro fuori un astuccio tascabile di tranquillanti, prendendone uno egli stesso e dandone uno a Lona. Burris rifiuto con una spallucciata il tubetto, sapendo che non avrebbe avuto effetto su di lui. Entro pochi istanti Lona era di nuovo sorridente.

Egli sapeva di non essersi sbagliato, quando le aveva visto la gelosia negli occhi. Elisa era piombata tra loro come un ciclone di carne, minacciando di spazzar via tutto cio che Lona possedeva, e Lona aveva reagito combattendo fieramente. Burris era al tempo stesso lusingato e turbato. Non poteva negare che l’essere l’oggetto di quella lotta gli aveva fatto piacere, come l’avrebbe fatto a qualsiasi uomo. Ma quell’attimo rivelatore gli aveva mostrato soprattutto la profondita dell’attaccamento che Lona gia provava per lui. Il suo non era altrettanto profondo. La ragazza, si, gli piaceva, e gli era grata la sua compagnia; ma era lungi dall’esserne innamorato. Dubitava assai che avrebbe mai amato, lei o qualunque altra. Lei invece, senza che ci fosse tra loro nemmeno il vincolo di un legame fisico, si era evidentemente costruita, nell’intimo, una fantasia romantica. In questo (Burris lo sapeva) c’era un germe di guai futuri.

Svuotata dalla tensione grazie al tranquillante, Lona si era ripresa. Si alzarono, Aoudad, nonostante la guancia ferita, era raggiante.

— Adesso, volete andare a cena? — chiese.

— Mi sento molto meglio — disse Lona. — Tutto e stato cosi improvviso. Mi ha sconvolta.

— Cinque minuti nella Sala Galattica le faranno dimenticare tutta la faccenda — disse Burris. Le porse di nuovo il braccio. Aoudad li guido alla speciale gabbia di salita che portava solo alla Sala Galattica. Salirono sulla piastra di gravita e filarono verso l’alto. Il ristorante stava proprio in cima all’albergo e dalla sua posizione elevata aveva di fronte il cielo, come un osservatorio privato, un sibaritico Uraniborg del cibo. Ancora tremante per l’inattesa aggressione di Elisa, Burris provo un’ulteriore ansia quando raggiunsero il vestibolo del ristorante, mantenne un’apparenza calma; ma forse, nello splendore supremo della Sala Galattica, l’avrebbe colto il panico?

C’era stato una volta, molto tempo prima. Ma con un altro corpo. E con una ragazza che adesso era morta.

L’asse di ascesa si arresto ed essi penetrarono in un bagno di viva luce.

Aoudad disse, con tono ultrasolenne: — La Sala Galattica! Il vostro tavolo vi aspetta. Buon divertimento.

Spari, e Burris fece volutamente un sorriso a Lona, che sembrava intontita dalla felicita e dal terrore. Dinanzi a loro si spalancarono le porte di cristallo. Entrarono.

19

“Le jardin des supplices”

Non si era mai visto un ristorante simile, da Babilonia in poi. Le terrazze salivano, a gradini, verso la volta stellata. La rifrazione era eliminata, e pareva di cenare all’aperto sotto il cielo benche l’elegante pubblico fosse completamente al riparo dal clima. Uno schermo di luce nera, che incorniciava la facciata dell’albergo, cancellava fin l’ultimo riverbero delle luci della citta, cosi che, sulla Sala Galattica, le stelle brillavano come su una foresta disabitata.

I mondi lontani dell’universo parevano quasi a portata di mano, e lo splendore stesso della sala derivava da oggetti che provenivano da quei mondi. Lo speciale aspetto delle pareti, che disegnavano curve ininterrotte, era dovuto alla disposizione di prodotti extraterrestri: ciottoli di tinte vivaci, affissi, pitture, alberi magici tintinnanti fatti in leghe bizzarre, strutture di luce viva a zigzag, ciascuna inserita nelle nicchie, lungo i diversi livelli. I tavoli sembravano spuntare dal pavimento, coperto da un tappeto costituito da un organismo semi-sensibile che si trovava su un pianeta di Aldebaran. A essere sinceri, il tappeto somigliava molto a limo terrestre lavorato in uno stampo; ma la direzione non si faceva scrupolo di vantarne la composizione, e la consistenza era estremamente soffice.

Nei punti strategici della Sala Galattica crescevano arbusti in vaso, piante fiorifere odorose, alberi nani, tutte cose (si diceva) importate da altri mondi. Persino il lampadario era di produzione extraterrestre: una colossale fioritura di gocce dorate, ricavate dalla secrezione, simile all’ambra, di un bestione marino che viveva lungo le coste grigie di un pianeta Centaurino.

Nella Sala Galattica, le cene costavano cifre astronomiche, ma tutti i tavoli erano occupati, tutte le sere: bisognava prenotarli con delle settimane di anticipo. I fortunati di quella sera ebbero l’inatteso privilegio di vedere l’astronauta e la fanciulla dai molti figli; ma erano anch’essi stessi, per la maggior parte, delle celebrita, e dedicarono solo un’attenzione momentanea a quella coppia intorno alla quale si faceva tanta pubblicita. Un rapido sguardo, e tornarono a occuparsi del proprio piatto.

Lona aveva attraversato le spesse porte trasparenti tenendosi stretta al braccio di Burris, conficcandovi le piccole dita al punto che temeva di fargli male. Si trovo ritta su una stretta piattaforma sopraelevata. Davanti a lei si spalancava un’enorme distesa vuota, col cielo stellato sul capo. Il centro del ristorante era incavato, largo quasi un centinaio di metri da una parte all’altra; le file dei tavoli aderivano come scaglie al guscio esterno, procurando a ogni cliente una poltrona di prima fila sullo spazio cosmico.

Lei ebbe l’impressione di cadere in avanti, e di ruzzolare nel pozzo che si apriva davanti ai suoi piedi.

Le tremavano le ginocchia, aveva la gola secca, ondeggiava sui tacchi e sbatteva rapidamente gli occhi. Il terrore la trafiggeva in mille punti. Forse sarebbe caduta nell’abisso, forse quella strega dalle poppe gigantesche sarebbe ricomparsa aggredendoli mentre mangiavano: lei stessa, avrebbe commesso qualche orribile goffaggine a tavola o avuto un improvviso attacco di nausea. Poteva succedere di tutto. Era un ristorante di sogno. Ma non era detto che fosse un bel sogno.

Una voce vellutata, che usciva dal nulla, mormoro: — Signor Burris, signorina Kelvin, benvenuti nella Sala Galattica. Per favore, avanzate.

— Dobbiamo metterci su quella lastra di gravita.

La lastra, che pareva di rame, costituiva un disco, dello spessore di un paio di centimetri, con due metri di diametro, che sporgeva dall’orlo della piattaforma su cui stavano. Burris, vi condusse Lona e subito, disormeggiato, il disco scivolo in avanti e verso l’alto. Lona non guardo giu. La lastra galleggiante nell’aria li trasporto sul lato opposto della gran sala e ando a fermarsi accanto a un tavolo vuoto, appollaiato su una sporgenza a mensola. Burris smonto e aiuto Lona a passare sulla sporgenza. Il loro disco trasportatore svolazzo via, tornando al suo posto. Lona, per un attimo, lo vide di taglio, in un alone sgargiante di luce riflessa.

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