Il tavolo, a un sol piede, pareva solidale con la sporgenza. Fu un sollievo, per Lona, prendere posto sulla sua sedia, che istantaneamente aderi alle sue forme. Quella stretta confidenziale aveva un che di osceno, ma era rassicurante, avrebbe evitato che un giramento di testa la facesse cadere nel vuoto alla sua sinistra.

— Ti piace? — chiese Burris, guardandola negli occhi.

— Incredibile. Non immaginavo assolutamente nulla di simile. — Non gli disse che era sconvolta.

— Abbiamo un tavolo in posizione privilegiata. Probabilmente, quello stesso di Chalk, quando cena qui.

— Non supponevo che ci fossero tante stelle!

Alzarono gli occhi. Da dov’erano, il loro sguardo spaziava senza ostacoli su un arco di Centocinquanta gradi. Burris le indico le stelle e i pianeti.

— Marte — disse. — E facile: quello grande, color arancio. Ma riesci a vedere Saturno? Naturalmente non si vedono i suoi anelli; ma… — Le prese la mano, la guido, puntandola, e descrisse la configurazione celeste, finche non ritenne che avesse capito. — Presto saremo lassu, anche noi, Lona. Da qui non possiamo vedere Titano a occhio nudo; ma ci andremo fra poco. E allora li vedremo, gli anelli! Guarda, guarda li Orione. E Pegaso. — Le disse i nomi delle costellazioni, delle stelle, provando un piacere quasi sensuale a pronunciarli: Sirio, Arturo, la Polare, Antares, Betelgeuse, Aldebaran, Procione, Vega… — Ognuna e un sole — disse. — La maggior, parte ha dei pianeti. Guardale, tutte spiegate dinanzi ai nostri occhi.

— Hai raggiunto molti altri soli?

— Undici, nove dei quali avevano dei pianeti.

— Anche qualcuno di quelli che hai nominato? Mi piacciono quei nomi.

Egli scosse il capo. — I soli dove sono andato io sono indicati con dei numeri, non con dei nomi. O meglio, non hanno dei nomi dati da terrestri. Per lo piu, ne hanno degli altri, e alcuni li ho anche saputi. — Lei vide che gli angoli della sua bocca si allargavano e si richiudevano rapidamente. Lona aveva imparato a riconoscere, in lui, questo segno di tensione. Si chiese se fosse opportuno parlargli delle stelle. Forse preferiva che nessuno gliele ricordasse.

Sotto quel baldacchino scintillante, tuttavia, lei non poteva farne a meno.

— Tornerai mai lassu? — chiese.

— Fuori del nostro sistema? Ne dubito. Non sono piu in servizio. E non ci sono voli turistici per le stelle vicine. Ma naturalmente partiro ancora dalla Terra. Con te. Per il giro planetario. Non e proprio la stessa cosa… ma e piu sicura.

— Mi puoi… Mi puoi… — Esito e poi si lancio: — Mi puoi indicare il pianeta dove ti hanno… catturato?

Tre rapide contorsioni della bocca di Burris. — E un sole azzurrastro. Da questo emisfero non si vede. E a occhio nudo non si vede nemmeno piu in giu. Sei pianeti. Manipol e il quarto. Quando orbitavamo intorno a esso, preparandoci a scendere, provai una strana eccitazione. Come se il destino stesso mi conducesse in quel luogo. Forse ho una minima dose di preveggenza; che ne dici, Lona? Non c’e dubbio che, nel mio destino, Manipol abbia avuto una grossa importanza… Ma sono certo di non avere il dono della preveggenza. Pensa: di tanto in tanto mi colpisce profondamente la sensazione che mi aspetta un viaggio per tornare li. E assurdo. Tornarci! Rivederli!… — Il suo pugno si chiuse improvvisamente, irrigidendosi con uno scatto convulso che fece contrarre tutto il braccio. Un vaso, con dei fiori dai petali carnosi, per poco non volo via nel vuoto. Lona lo afferro. Noto che quando egli chiudeva la mano, il piccolo tentacolo esterno si avvolgeva ordinatamente intorno al dorso delle sue dita. Con entrambe le mani, lei gli copri le nocche fino a quando la tensione sfumo e le dita si aprirono.

— Non parliamo di Manipol — propose. — Pero le stelle sono belle.

— Si. Ma io l’ho pensato solo dopo essere tornato sulla Terra dal mio primo viaggio. Ci sembrano, da qui, puntini luminosi. Ma quando si e presi nella rete dei loro raggi, rimbalzando qua e la come vogliono le stelle… e diverso. Ti lasciano il segno. Lo sai, Lona, che da questa sala si ha una vista delle stelle quasi altrettanto netta che dai portelli di un’astronave?

— Come mai? Non ho mai visto niente di simile.

Egli cerco di spiegare il funzionamento dello sbarramento di luce nera. Dopo la terza frase, Lona non ci capi piu nulla, ma continuo a fissarlo negli occhi con aria attenta, fingendo di ascoltare, decisa a non deluderlo. Quante cose sapeva! Tuttavia, in quel luogo di delizie, era spaventato quanto lei. Parlando, creavano una barriera contro la paura; ma, nei silenzi, Lona sentiva acutamente, con estremo imbarazzo, la presenza delle centinaia di persone ricche, sofisticate, che la circondavano, e del lusso schiacciante, e dell’abisso che si apriva accanto a lei, e della propria ignoranza e inesperienza. Sotto quello sfolgorio di stelle si sentiva come nuda e persino Burris, negli intervalli della conversazione, le ridiventava estraneo, e le sue deformita chirurgiche, che aveva quasi smesso di notare, assumevano tutt’a un tratto una evidenza paurosa.

— Beviamo qualcosa? — egli chiese.

— Si. Si, per favore, ordina tu. Io non so che cosa prendere.

Non c’era in vista nessun cameriere, ne umano ne paraumano. Lona non ne vedeva nemmeno agli altri tavoli. Burris ordino, semplicemente, parlando a una piccola griglia d’oro che aveva alla sua sinistra. Lei provo una reverente ammirazione di fronte al suo modo di fare calmo ed esperto; anzi, ebbe il sospetto di dover manifestare questa ammirazione. Disse: — Sei venuto spesso a mangiare qui? Hai l’aria di sapere quel che bisogna fare.

— Sono venuto una volta. Piu di dieci anni fa. Non e un posto che si dimentica facilmente.

— Eri gia un astronauta, a quel tempo?

— Oh, si. Avevo compiuto un paio di missioni. Ero in licenza e volevo fare impressione su una certa ragazza…

— Oh!

— Non l’ho fatta. Lei ha sposato un altro. Morirono in viaggio di nozze, nel disastro del Disco Volante.

Piu di dieci anni fa, penso Lona. Lei, allora, aveva meno di sette anni. Di fronte a lui si sentiva rimpicciolire, con la sua giovinezza. Fu lieta di veder arrivare le bibite.

Arrivarono su un piccolo vassoio a gravitroni, volando attraverso quel baratro vuoto. Lona si accorse che quei vassoi di servizio erano piuttosto numerosi, e si meraviglio che non si scontrassero, alzandosi vero i tavoli rispettivi. Ma naturalmente non ci voleva granche a programmare delle orbite che non si intersecassero.

La sua bevanda venne in una piccola ciotola di pietra nera levigata, consistente al tatto eppure morbida e gracile alle labbra. La prese e se la porto alla bocca con gesto automatico; e prima di sorseggiarla si accorse dello sbaglio. Burris, sorridente, aspettava, col bicchiere ancora dinanzi a se.

Quando sorride cosi, penso Lona, ha una maledetta aria da maestro di scuola. Sembra che mi sgridi senza aprir bocca. Lo so, che cosa pensa! Che sono una piccola vagabonda ignorante che non sa comportarsi.

Lascio sbollire l’ira. Ma si accorse di essere arrabbiata con se stessa, non con lui, e questo le fu di aiuto, per calmarsi.

Guardo il bicchiere di Burris.

C’era qualcosa dentro, che sembrava nuotare.

Il bicchiere era di quarzo trasparente, pieno per tre quarti di un fluido denso, verde e viscoso. E un minuscolo animale a forma di goccia, dalla pelle color viola, andava avanti e indietro oziosamente, lasciando una lieve scia fosforescente.

— E messo li volutamente? — chiese Lona.

Burris rise. — Mi sono fatto portare un cosiddetto martini Deneb. Che nome assurdo! Una specialita della casa.

— E quella cosa che c’e dentro?

— Una specie di girino. Una forma di vita anfibia, che proviene da un pianeta di Aldebaran.

— E lo inghiotti?

— Si, vivo.

— Vivo! — Lona ebbe un brivido. — Perche? Ha un sapore cosi buono?

— Non ha alcun sapore, in realta. E li semplicemente per figura. La raffinatezza, compiuto l’intero giro, torna alle barbarie. Un sorso, e va giu.

— Ma e vivo!

Burris sorrise con gentilezza. — Scusami. Non l’avrei ordinato, se avessi pensato che poteva darti fastidio. Vuoi che lo faccia portare via?

— No. Lo berrebbe qualcun altro, immagino. Non volevo dire tutto questo. Ero solo un poco sconvolta, Minner. Ma e la tua bibita. Bevila tranquillamente.

— La rimando indietro.

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