— Quali bambini, Lona?

— Saranno due. Un maschietto e una femminuccia. Tra circa otto anni, sara il momento buono per portarli.

Nel termocappuccio di Burris, le palpebre-sportello sbatterono, in modo irrefrenabile. Controllando la voce con feroce rigore, egli disse: — Devi sapere, Lona, che non posso darti dei bambini. I medici hanno accertato questo punto. Gli organi interni proprio non…

— Si, lo so. Non mi riferivo a dei bambini che avremmo noi, Minner.

Egli ebbe l’impressione che le sue viscere si spargessero sul ghiaccio.

— Intendevo — continuo lei, soavemente — i bambini che ho adesso. Quelli che sono stati presi dal mio corpo. Ne riavro due. Non te l’ho detto?

Burris si senti stranamente sollevato nel capire che non intendeva lasciarlo per un altro uomo, biologicamente integro. Al tempo stesso rimase sorpreso per il fatto che quel sollievo fosse cosi profondo. Con quanta sufficienza aveva presunto che, se lei parlava di bambini, si riferisse a quelli che sperava di avere da lui! Che scossa gli aveva dato, l’idea che potesse avere dei bambini da un altro!

Ma lei aveva gia una centuria di bambini. Se ne era quasi dimenticato.

Rispose: — No, non me l’hai detto. C’e forse un accordo per farti avere alcuni dei bambini, da allevare tu stessa?

— Piu o meno.

— Sarebbe a dire?

— Non credo che l’intesa sia stata ancora raggiunta. Ma Chalk ha detto che avrebbe combinato. Me l’ha promesso, mi ha dato la sua parola. E so che e un personaggio abbastanza importante per riuscirci. Sono tanti, i bambini… Quelli la possono fare a meno di un paio, per darli alla vera madre, se lei li vuole. E io li voglio. Li voglio. Chalk ha detto che mi avrebbe procurato i bambini se io… se io…

Tacque. Serro le labbra, rimaste socchiuse.

— Se tu che cosa, Lona?

— Niente.

— Avevi cominciato a dire qualcosa.

— Dicevo che mi avrebbe procurato i bambini se io li volevo.

Egli la investi: — Non intendevi dire questo. Sappiamo gia che li desideri: Che cos’hai promesso, a Chalk, in cambio del fatto che te li procuri?

Vide un’ombra passeggera di colpa sul suo viso.

— Che cosa mi nascondi? — le chiese.

Lona scrollo il capo, senza aprir bocca. Egli le afferro la mano e lei la tiro via con uno strappo. Alto, quasi schiacciandola con la sua statura, percepi strane pulsazioni e strani fremiti nel suo nuovo corpo, come sempre quando le sue emozioni si facevano avanti.

— Che cosa gli hai promesso?

— Minner, hai un aspetto alterato. Hai il viso tutto chiazzato. Macchie rosse e viola sulle guance…

— Che cosa era, Lona?

— Ma niente, niente! Ho solo convenuto di…

— Di…

— Di essere carina con te — concluse con un fil di voce. — Gli ho promesso di renderti felice. E lui mi avrebbe procurato alcuni dei bambini, tutti per me. C’e qualcosa di male, Minner?

Egli era attraversato da raffiche di tempesta. Il pianeta vacillava sul suo asse, sollevandosi, schiacciandolo sotto la frana massiccia dei continenti che, staccati dal loro posto, gli scivolavano addosso.

— Non guardarmi cosi — lo imploro Lona.

— Se Chalk non ti avesse offerto i bambini, mi saresti mai venuta vicina? — chiese lui, rigido. — Mi avresti mai neanche sfiorato, Lona?

Gli occhi le si riempirono di lacrime. — Io ti ho visto nel giardino dell’ospedale. Mi hai fatto tanta pena. Non sapevo nemmeno chi eri. Pensavo che dovevi essere stato vittima di un incendio o qualcosa del genere. Poi ti ho conosciuto. Ti amo, Minner. Chalk non poteva fare in modo che ti amassi. Poteva solo indurmi a essere gentile con te.

Egli ebbe l’impressione di essere uno sciocco, un idiota, un mucchio di fango animato. La guardava istupidito. Lei parve sconcertata, poi si chino, afferro della neve, ne fece una palla e gliela getto in faccia ridendo: — Smettila, con quell’aria sinistra. Acchiappami, Minner, acchiappami!

Scappo di corsa e in breve fu a una distanza inattesa. Si fermo, macchia nera sul biancore, e raccolse altra neve. Egli vide che faceva un’altra palla di neve. Lei la getto in modo maldestro, facendo forza dal gomito, come usano le ragazze; ma la mira era buona e la palla arrivo a una decina di metri da Burris.

Egli si scosse dallo stupore in cui lo avevano gettato le parole spensierate della ragazza. — Non mi acchiappi! — strillava Lona, ed egli si mise a correre, per la prima volta dopo Manipol, a lunghi passi sul tappeto nevato. Anche Lona correva, mulinando le braccia, tagliando con i gomiti l’aria sottile e gelida. Burris senti che una nuova potenza inondava le sue membra. Le sue gambe, che gli sembravano cosi inaccettabili, con le loro giunture multiple, trovavano ora una coordinazione perfetta, fornendogli una spinta morbida e veloce. I palpiti del cuore non acceleravano. Obbedendo a un impulso, getto indietro il cappuccio e lascio che l’aria agghiacciata gli sfiorasse le guance.

Correndo forte, gli ci vollero pochi istanti per raggiungerla. Lona, affannata e ridente, giro su se stessa, quando le fu vicino, e si getto nelle sue braccia. Lo slancio gli fece ancora fare cinque passi, prima di cadere insieme a lei. Rotolarono con le mani guantate che sbattevano la neve, ed egli respinse anche il cappuccio di Lona, gratto una manata di ghiaccio e gliela ficco sul viso. Il ghiaccio le gocciolo giu per il collo sotto gli indumenti, lungo il petto e il ventre. Lei strillava, indignata e felice: — Minner, no! Minner, no!

Burris le getto dell’altra neve. E Lona fece altrettanto. Ridendo in modo convulso, gliela ficco nel colletto. Era cosi fredda che scottava. Caddero stesi insieme nella neve, ed egli l’ebbe fra le braccia, la strinse, inchiodandola al suolo del continente senza vita. Passo molto tempo prima che si alzassero.

22

Via di qui, malinconia

Anche quella notte si sveglio urlando.

Lona se lo aspettava. Certo i demoni inesorabili si sarebbero impadroniti di lui. Ed era rimasta stesa nell’oscurita, sveglia, al suo fianco, per buona parte della notte. Burris, durante la sera, aveva avuto dei momenti di cupaggine che andavano e venivano.

La giornata, fatta eccezione per quell’episodio all’inizio, era stata piacevole. Lona avrebbe voluto rimangiarsi la confessione di essere stata indotta da Chalk a conoscerlo. Aveva taciuto la parte peggiore: che era stato Nikolaides ad avere l’idea di regalargli il piccolo cactus in vaso, e persino a dettarle il bigliettino. Sapeva quale sarebbe stato l’effetto, se Burris lo avesse saputo.

Dopo la battaglia a palle di neve avevano camminato sul deserto di ghiaccio, privo di sentieri. Accorgendosi che l’albergo non era piu in vista, Lona si spavento. Vedeva dappertutto lo stesso biancore piatto. Un paesaggio tutto uguale. — Possiamo tornare indietro? — chiese lei, e Burris annui. — Sono stanca, vorrei rientrare. — Non era cosi stanca, in realta; ma il pensiero di smarrirsi in un luogo simile l’atterriva. Presero la via del ritorno. O meglio: Burris diceva che stavano rientrando, ma per lei, la nuova direzione sembrava la stessa di prima. In un punto videro un’ombra scura sotto la neve. Un pinguino morto, disse Burris, e lei rabbrividi; ma allora riapparve, miracolosamente, l’albergo. Lei si chiese come mai, in quel mondo piatto, l’albergo fosse scomparso, prima. E Burris le spiego (come gia le aveva spiegato molte e molte cose, ma ora con maggiore pazienza) che il mondo, anche qui, non era veramente piatto ma quasi altrettanto curvo che altrove e che percio bastava fare qualche chilometro per vedere sparire dietro l’orizzonte i punti noti e riconoscibili. Come aveva fatto l’albergo.

Ma quest’ultimo era riapparso, ed essi avevano una gran fame, e fecero colazione con entusiasmo, annaffiandola di birra in quantita. Nessuno, qui, beveva cocktails verdi con cose vive dentro. Birra, formaggio, carne: questa era l’alimentazione adatta per quella terra dell’inverno senza fine.

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