verdi che partivano artisticamente dall’attaccatura dei capelli. Aveva uno sguardo calmo e freddo. Il marito (ammesso che fosse il marito) era piu vecchio, e indossava una tunica che sembrava costosa. Un anello a moto perpetuo, venuto da un altro mondo dello spazio, si contorceva alla sua mano sinistra.

Lona, facendosi coraggio, si avvicino a loro, sorridente.

— Buona sera. Sono Lona Kelvin. Forse ci avete notati nella sala.

Le risposero dei sorrisi sforzati, un po’ impauriti. Quelli stavano pensando: “Ma che vuole da noi?”.

Si presentarono a loro volta. Lona non afferro i nomi, ma non aveva importanza.

Disse: — Pensavo che forse sarebbe simpatico se cenassimo in quattro allo stesso tavolo, stasera. Credo che trovereste Minner molto interessante. E stato su un cosi gran numero di pianeti…

Ebbero l’aria di sentirsi intrappolati. La bionda moglie era quasi in preda al panico. Il mellifluo marito venne abilmente alla riscossa.

— Ne saremmo lietissimi… altri impegni… degli amici venuti dalla nostra stessa citta… forse un’altra sera…

Le tavole non erano soltanto a due o a quattro posti, e neanche a sei. C’era sempre la possibilita di aggiunte a volonta. Lona, mortificata, sapeva adesso quel che Burris aveva percepito varie ore prima. Essi non erano bene accetti. Lui era l’uomo col malocchio, che riversava la sventura sulla loro festosita. Tenendo stretti i suoi volantini, Lona si affretto a tornare in camera. Burris, davanti alla finestra, guardava fuori la neve.

— Vieni a esaminare con me questi prospetti, Minner. — La sua voce aveva un timbro troppo acuto.

— Ce n’e qualcuno che ti pare interessante?

— Tutti, direi. Non so proprio qual e il migliore. Fai tu la scelta.

Seduti sul letto, fecero passare i foglietti lucidi. C’era la gita alla Costa di Adelie, mezza giornata, per vedere i pinguini. Una gita di un giorno intero al banco di Ross, compresa la visita alla Piccola America e alle altre basi di esplorazione del McMurdo Sound. Tappa speciale per vedere l’Erebus, un vulcano attivo. Oppure una gita piu lunga, su per la Penisola dell’Antartide, dove si vedevano le foche e i leopardi di mare. L’escursione sciatoria alla Terra di Marie Byrd. Il viaggio nelle montagne costiere e attraverso la Terra Vittoria fino al ghiacciaio di Mertz, che si stende come una lingua in mare. E una decina di altri. Scelsero la gita con i pinguini, e poi, quando scesero per la cena, si prenotarono.

Cenarono a un tavolo da soli.

Burris disse: — Parlami dei tuoi bambini, Lona. Li hai mai visti?

— In realta no. Non in modo da poterli toccare, tranne una volta. Li ho visti solo sugli schermi.

— E Chalk te ne procurera veramente qualcuno da allevare?

— Cosi ha detto.

— Gli credi?

— Che cos’altro posso fare? — ella chiese. Gli poso una mano sulla sua. — Ti fanno male le gambe?

— Poca cosa, in realta.

Nessuno dei due mangio molto. Dopo cena, ci fu la proiezione di film: scene dell’inverno antartico, tridimensionali. Una tenebra di morte, un vento mortale che spazzava l’altopiano e alzava lo strato di neve superficiale trasformandola in milioni di coltelli. Lona vide i pinguini che stavano ritti a scaldare le uova. E poi dei pinguini scarruffati, spinti dalla violenza della tempesta, che marciavano attraverso il territorio, accompagnati in cielo dal rullo di un tamburo cosmico, mentre una muta infernale, invisibile, balzava su zampe silenziose da un picco all’altro. Il film terminava con l’aurora: il levar del sole macchiava il ghiaccio di un colore rosso come il sangue, dopo una notte di sei mesi; il ghiaccio oceanico si rompeva, pezzi enormi di banchisa si staccavano e crollavano fragorosamente. La maggior parte dei clienti passo dalla sala cinematografica al salone. Lona e Burris andarono a letto. Non fecero l’amore. Lona sentiva che in lui si andava accumulando la tempesta e sapeva che, prima del mattino, sarebbe scoppiata.

Giacevano in un bozzolo di oscurita; per tener fuori l’instancabile sole, bisognava opacizzare i vetri della finestra. Lona, supina, respirava piano, sfiorandolo col fianco. Riusci ad assopirsi e cadde in un sonno leggero. Dopo un po’, i suoi personali fantasmi vennero a visitarla. Si risveglio, sudata, e si trovo nuda in una stanza sconosciuta accanto a un uomo sconosciuto. Il cuore le batteva all’impazzata. Si poso le mani sul petto e si ricordo dov’era.

Burris si mosse e gemette.

Raffiche di vento colpivano l’edificio. Ed era estate! Lei si senti infreddolita fino alle ossa. Udi un lontano suono di risa. Ma non si stacco dal fianco di Burris e non tento di riprendere sonno.

I suoi occhi, che si erano abituati all’oscurita, le consentivano di osservarlo in viso. La bocca, articolata come su cardini, era, a suo modo, espressiva. Si apriva scivolando, si chiudeva, scivolava di nuovo. Gli occhi, una volta, fecero lo stesso; ma anche con le palpebre rientrate egli non vedeva nulla. Lona si rese conto che Burris era di nuovo su Manipol. Appena sbarcati, lui e… e quegli altri, con i nomi italiani. Fra un po’ gli extraterrestri verranno a prenderlo…

Lona cerco d’immaginarsi Manipol. Un suolo riarso e arrossato, delle piante contorte e spinose. E le citta, come erano? Avevano strade, macchine, apparecchi audiovisivi? Burris, non gliene aveva mai parlato. Lei sapeva solo che quel pianeta era arido, antico e che c’erano dei chirurghi abilissimi.

Poi Burris urlo.

Il suono comincio in fondo alla gola, come un grido gorgogliante, incoerente, che via via saliva di timbro e di volume. Lona si volto, lo abbraccio, stringendolo a se. La pelle di Burris era bagnata di sudore? Impossibile. Doveva essere lei. Egli sbatteva le braccia, scalciava. Il copriletto scivolo a terra. Lei sentiva che i muscoli, sotto la pelle levigata, si contraevano e si ingrossavano. Con un movimento brusco, penso Lona, potrebbe spezzarmi.

— Non e niente, Minner. Sono qui io. Sono qui io. Va tutto bene.

— I coltelli… Prolisse… Dio mio, i coltelli!

— Minner!

Lei non lo mollava. Burris adesso lasciava penzolare il braccio sinistro, che pareva girato alla rovescia dal gomito in giu. Si stava calmando. Il suo respiro affannato era rumoroso come uno scalpitio. Lona, sporgendosi oltre il suo corpo, accese la luce.

Burris aveva di nuovo il viso chiazzato. Ammicco in quel suo terribile modo laterale, due o tre volte, e si porto la mano alla bocca. Lasciandolo andare, lei si scosto, seduta, un po’ tremante. La crisi di quella notte era stata peggiore della precedente.

— Un sorso d’acqua? — chiese.

Egli annui. Si teneva aggrappato al materasso cosi forte da lacerarlo.

Mando giu l’acqua. Lei disse: — E stato cosi spaventoso, stanotte? Ti facevano male?

— Ho sognato che assistevo mentre facevano l’operazione. Prima Prolisse, che moriva. Poi tagliavano Malcondotto. E moriva anche lui. Poi…

— Veniva la tua volta?

— No — disse lui, con meraviglia. — No. Mettevano sul tavolo operatorio Elisa. La aprivano, proprio tra… i seni. E sollevavano una parte del suo torace, cosi che vedevo le costole e il cuore. Si spingevano dentro.

— Povero Minner. — L’aveva interrotto prima che le rovesciasse addosso tutte quelle cose immonde. Perche aveva sognato di Elisa? Era buon segno, che la vedesse mentre la mutilavano? Oppure sarebbe stato meglio (penso Lona) se avesse sognato di me… di me che venivo trasformata in una cosa simile a lui?

Gli prese una mano e la poso sul calore del proprio corpo. Non le veniva in mente altro metodo per alleviare la sua sofferenza, e usava quello. Egli rispose alla sollecitazione.

Poi sembro addormentarsi. Lona, piu nervosa, si scosto e aspetto, finche un sonno leggero non torno ad avvolgerla. Fu guastato da sogni spiacevoli. Sognava che un astronauta tornato sulla Terra aveva recato con se una creatura pestilenziale, una specie di grasso vampiro, e che questo fosse incollato al suo corpo e la succhiasse… la svuotasse. Era un brutto sogno, ma non tale da svegliarla, e col tempo si trasformo in un sonno piu profondo.

Quando si svegliarono, lei aveva delle occhiaie scure, un viso sbattuto. Burris non mostrava alcuna traccia della sua notte agitata; la sua pelle non aveva la proprieta di reagire in modo cosi vistoso a effetti catabolici di breve portata. Sembrava quasi allegro, mentre si vestiva, preparandosi per il nuovo viaggio.

— Sei impaziente di vedere i pinguini? — le chiese.

Aveva dimenticato il suo truce stato d’animo depressivo della sera prima e gli orrori urlanti della notte? Stava solo cercando di spazzarli via?

Lona si chiese fino a qual punto, comunque, egli fosse umano.

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