Uno dei troll batte sulla spalla del suo collega, con un rumore simile a quello di due sassi percossi insieme, e punto il dito verso la strada illuminata dalla luce delle stelle.

Scuotivento sfreccio dal suo nascondiglio, giro e si catapulto attraverso la finestra piu vicina del Tamburo.

Giunco la vide arrivare. La borsa descrisse un arco attraverso il locale, ondeggiando lenta nell’aria e si apri sul bordo di un tavolo. Un attimo dopo le monete d’oro rotolavano sul pavimento, scintillanti.

Nella stanza cadde improvvisamente il silenzio, che era rotto soltanto dal tintinnio lieve dell’oro e dai lamenti dei feriti. Con un’imprecazione Giunco spaccio l’assassino con il quale si batteva. — E un trucco! — grido. — Che nessuno si muova!

Una trentina di uomini e una dozzina di troll s’immobilizzarono.

Poi, per la terza volta, la porta si spalanco. Due troll entrarono a precipizio, la richiusero, l’assicurarono con una pesante sbarra e volarono giu per la scala.

Fuori risuono un improvviso crescendo di passi di corsa. E la porta si apri per l’ultima volta. O. meglio, esplose: la grande sbarra di legno volo attraverso il locale e l’intelaiatura cedette.

Battente e intelaiatura finirono su un tavolo, che volo in pezzi. Fu allora che i combattenti esterrefatti notarono qualcos’altro nell’ammasso di legno. Era una cassa che si dimenava per liberarsi.

Scuotivento apparve sulla soglia e scaglio un’altra delle sue granate d’oro, che si schianto contro una parete con una pioggia di monete.

Giu nella cantina il Grosso alzo gli occhi, borbotto tra se e se e si rimise al lavoro. La sua riserva di candele era gia sparsa sul pavimento insieme alla sua scorta di legna da ardere. Adesso stava maneggiando un barilotto di olio per lampada.

Le parole che mormorava ripetevano l’incomprensibile formula pronunciata da Duefiori. L’olio sgorgo dal barilotto e si sparse sul pavimento.

Giunco, furente di rabbia, si precipito innanzi. Scuotivento prese la mira e colse il ladro in pieno petto con una borsa d’oro.

Ma adesso Ymor si era messo a urlare e a puntare un dito accusatore. Un corvo volo giu dalla trave su cui era posato e si diresse in picchiata verso il mago, ad artigli spiegati, luccicanti.

Non ce la fece. Era a meta percorso quando il Bagaglio balzo fuori dall’ammasso di schegge, si apri fulmineo a mezz’aria e si richiuse di scatto.

Ricadde piu leggero. Scuotivento vide socchiudersi di nuovo il coperchio. Quel tanto da permettere a una lingua, larga come una foglia di palma e rossa come il mogano, di lappare qualche penna sparsa.

Nello stesso momento il gigantesco lampadario rotondo cadde dal soffitto e la stanza piombo nel buio. Scuotivento si rannicchio come una molla, fece un salto e, afferrata una trave, si isso, con una forza che sorprese lui stesso, nella relativa sicurezza del tetto.

— Eccitante, no? — gli disse una voce all’orecchio.

In basso, ladri, assassini, troll e mercanti si resero conto, quasi contemporaneamente, di trovarsi in un locale dal pavimento che le monete d’oro rendevano pericolosamente scivoloso. Inoltre c’era qualcosa, tra le ombre fattesi d’improvviso minacciose nella semioscurita, di assolutamente orribile. Si precipitarono come un sol uomo verso la porta di cui, pero, nessuno di loro ricordava la posizione esatta.

In alto al di sopra del caos, Scuotivento guardava Duefiori.

— Siete stato voi a far venire giu il lampadario?

— Si.

— Come mai siete quassu?

— Ho pensato fosse meglio togliermi di mezzo.

Scuotivento non sapeva cosa dire. Duefiori aggiunse: — Una autentica rissa! Meglio di qualunque cosa avevo immaginato! Credete che dovrei ringraziarli? Oppure siete voi che l’avete inscenata?

L’altro lo guardo attonito e disse cupo: — Penso che faremmo meglio a scendere adesso. Se ne sono andati tutti.

Trascino Duefiori per il pavimento ingombro e su per la scala. Si ritrovarono fuori che la notte era quasi terminata. C’era ancora qualche stella ma la luna era tramontata e all’orizzonte baluginava un chiarore grigiastro. Cio che importava di piu, la strada era deserta.

Scuotivento annuso l’aria. — Sentite l’odore del petrolio? — chiese.

In quel momento Giunco usci dall’ombra e gli fece lo sgambetto.

Il Grosso si inginocchio in cima alla scala della cantina e frugo nella scatola contenente l’esca e l’acciarino. Era umida.

— Ammazzero quel dannato gatto — brontolo, e cerco a tentoni la scatola di riserva che di solito stava su un ripiano vicino alla porta. Non c’era. Il Grosso disse una parolaccia.

Uno stoppino acceso comparve a mezz’aria.

Ecco, prendi questo.

— Grazie — disse il Grosso.

— Prego.

Il Grosso ando a gettare lo stoppino giu per la scala, ma la sua mano si arresto a mezz’aria. Guardo lo stoppino e corrugo la fronte. Poi si volto e lo sollevo per illuminare la scena. Non che facesse molta luce, ma diede all’ombra una forma.

— Oh, no — sussurro l’uomo.

— Ma si — disse la Morte.

Scuotivento rotolo. Per un momento penso che Giunco lo infilzasse li a terra. Ma era peggio. Aspettava che lui si alzasse.

— Vedo che hai una spada, mago — gli disse a bassa voce. — Ti suggerisco di metterti in piedi e vedremo come la saprai usare.

Scuotivento si alzo il piu lentamente possibile e si sfilo dalla cintura la corta spada che aveva tolto alla guardia poche ore prima. Gli sembravano cent’anni. Era un arnese corto e smussato, paragonato allo stocco di Giunco, sottile come un capello.

— Ma io non so usare una spada — gemette.

— Bene.

— Sai che e impossibile uccidere i maghi con armi taglienti? — disse ancora Scuotivento disperato.

Giunco sorrise freddamente. — Cosi ho sentito. Non vedo l’ora di provarlo. — E fece un affondo.

Scuotivento paro il colpo per mera fortuna, ritiro di scatto la mano, devio la seconda stoccata per coincidenza e la terza gli trapasso la tunica all’altezza del cuore.

Si udi un tintinnio.

Il ringhio di trionfo di Giunco gli si strozzo in gola. Estrasse la spada e di nuovo si scaglio contro il mago, irrigidito dal terrore e dalla colpa. Ci fu un altro tintinnio e dall’orlo della tunica del mago cominciarono a cadere delle monete d’oro.

— Cosi perdi oro, eh? — sibilo Giunco. — Ma hai dell’oro nascosto in quella tua barba rada, tu piccolo…

Mentre tirava indietro la spada per infliggere l’ultimo colpo, il cupo bagliore che era andato aumentando all’ingresso del Tamburo Rotto guizzo, si affievoli e divampo in una ruggente palla di fuoco che fece oscillare in fuori i muri della taverna e scaravento il tetto a una trentina di metri in aria prima di erompere in una massa di tegole arroventate.

Giunco, innervosito, guardava le fiamme divampanti. E Scuotivento balzo in avanti. Si chino sotto il braccio del ladro che reggeva la spada e meno con la sua un fendente cosi maldestro che colpi l’uomo di piatto, ma anche a lui cadde di mano la spada. Piovevano scintille e goccioline di olio infiammato. Giunco afferro Scuotivento per il collo con tutte e due le mani guantate spingendolo giu.

— Sei tu che hai fatto questo! — grido. — Tu e la tua cassa di trucchi!

Trovo con il pollice la trachea del suo avversario 'Ci siamo' penso il mago. 'Dovunque vada, non puo essere peggio di qui…'

— Scusatemi — disse Duefiori.

Scuotivento senti allentarsi la stretta. Ora Giunco si tirava su lentamente, sul viso un’espressione di puro odio.

Un tizzone cadde sul mago. Lui se ne libero in fretta e si rimise in piedi.

Duefiori, alle spalle di Giunco, gli premeva nelle reni la punta della sua stessa spada. Scuotivento strinse gli occhi. Infilo la mano nella tunica e la ritiro chiusa a pugno.

— Non muoverti — ordino.

— Va bene cosi? — chiese ansiosamente Duefiori.

— Dice che se ti muovi ti infilza il fegato — tradusse liberamente Scuotivento.

— Ne dubito — disse Giunco.

— Vuoi scommettere?

— No.

Mentre Giunco si preparava a rivoltarsi contro il turista, Scuotivento gli sferro un pugno sulla mascella. Per un attimo l’altro lo guardo stupito, poi crollo nel fango.

Il mago apri il pugno e il rotolo di monete d’oro gli scivolo tra le dita frementi. Abbasso gli occhi sul ladro piegato a terra.

— Soffri pure — ansimo.

Un altro tizzone gli cadde sul collo e lui urlo dal dolore. Le fiamme avvolgevano i tetti delle case sui due lati della strada. Tutto intorno la gente buttava i suoi averi dalle finestre e trascinava i cavalli fuori dalle stalle fumanti. Un’altra esplosione nel vulcano rovente che era diventato il Tamburo fece volare in aria un’intera mensola di marmo del caminetto.

— La Porta Widdershin e la piu vicina — grido Scuotivento per farsi sentire al di sopra del crepitio delle travi che crollavano. — Venite!

Afferro per un braccio Duefiori riluttante a muoversi e lo trascino giu per la strada.

— Il mio Bagaglio…

— Accidenti al vostro bagaglio! Rimanete ancora qui e andrete dove non c’e bisogno di bagaglio! — Venite! — ripete.

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