dimensioni mondi i cui Creatori possiedono piu attitudine meccanica che immaginazione. Non c’e quindi da meravigliarsi se gli dei del disco trascorrono piu tempo a litigare che ad esercitare l’onniscienza.

In quel giorno particolare Blind Io, divenuto il capo degli dei a forza di costante vigilanza, sedeva, il mento appoggiato sulla mano, a fissare la scacchiera sul tavolo di marmo rosso di fronte a lui. Blind (cieco) Io doveva il suo nome al fatto che, al posto delle orbite, c’erano soltanto due membrane. Gli occhi, di cui possedeva un numero impressionante, avevano una vita semi-indipendente tutta loro. Di solito parecchi si libravano sopra il tavolo.

La scacchiera consisteva in una mappa accuratamente incisa del mondo-disco, sulla quale erano stampati dei quadrati. Di questi, alcuni erano occupati da pezzi squisitamente modellati. Uno spettatore, per esempio, avrebbe riconosciuto in due di essi le sembianze di Bravd e di Donnola. Altri rappresentavano diversi eroi e campioni, di cui il disco aveva una scorta piu che considerevole.

Oltre a Io, prendevano parte al gioco Offler il Dio Coccodrillo, Zefiro, il dio delle lievi brezze, il Fato e la Signora. Adesso che i giocatori minori erano stati eliminati dal Gioco, spirava un’aria di grande concentrazione. Tra i primi perdenti c’era stato il Caso che aveva guidato il suo eroe in una dimora piena di giganti armati (risultato di un tiro fortunato di Offler), e poco dopo la Notte aveva incassato i suoi gettoni, adducendo un appuntamento con il Destino. Diverse deita minori si erano avvicinate e sbirciavano da sopra le spalle dei giocatori.

Certi avevano scommesso che la Signora sarebbe stata la prossima ad abbandonare la partita. Il suo ultimo campione di una certa importanza era adesso un pizzico di potassa nelle rovine ancora fumanti di Ankh-Morpork, ne lei disponeva piu di pezzi da promuovere in prima fila.

Blind Io prese in mano il contenitore dei dadi, un teschio i cui vari orifizi erano stati turati con rubini, e lancio sul tavolo tre cinque, fissando sulla Signora alcuni dei suoi occhi.

Lei sorrise. Gli occhi della Signora erano di un verde brillante, senza iride ne pupilla, animati da uno scintillio interiore.

Il silenzio regnava nella stanza mentre lei frugava nella sua scatola di pezzi e ne estraeva dal fondo un paio che poso sulla scacchiera con un suono secco. Il resto dei giocatori, come un solo Dio, allungarono il collo per guardarli.

— Un fmago frinegato e una fpecie di ffunzionnario — disse Offler il Dio Coccodrillo, impacciato come al solito dalle sue zanne. — Bene, fdavero! — Con la zampa spinse al centro del tavolo una pila di ossi bianchi che fungevano da gettoni.

La Signora fece un lieve cenno di assenso con la testa. Prese il bicchiere dei dadi e lo tenne fermo come una roccia, tuttavia tutti gli Dei udirono i tre cubi tintinnare. Poi li lancio sul tavolo.

Un sei. Un tre. Un cinque.

Qualcosa, pero, accadeva al cinque. Conciato male dalla fortuita collisione di vari miliardi di molecole, il dado ricadde sullo spigolo, ruoto delicatamente e si poso. Sette.

Blind Io prese il cubo e conto i lati.

— Via — disse stancamente. — Non barare.

Il potere dell’otto

La strada da Ankh-Morpork a Chirm e alta, bianca e tortuosa, un tratto di trenta leghe di buche e rocce affioranti. che si avvolge intorno alle montagne, affonda in fresche verdi vallate coperte di agrumeti, attraversa burroni folti di liane su scricchiolanti ponti di corde, e in genere e piu pittoresca che utile.

Pittoresca. Era quella una parola nuova per Scuotivento il mago (studente fallito di magia. Universita Invisibile). Era una delle tante scoperte da quando aveva lasciato le rovine carbonizzate di Ankh-Morpork. 'Strano' era un’altra. 'Pittoresco', decise dopo un’attenta osservazione dello scenario che aveva ispirato Duefiori a usare quel termine, voleva dire un paesaggio orrendamente ripido. 'Strano', se usato per descrivere i villaggi di tanto in tanto attraversati, voleva dire malattie e rovina.

Duefiori era un turista, il primo mai visto nel mondo-disco. 'Turista', aveva concluso Scuotivento. voleva dire 'idiota'.

Mentre cavalcavano tranquilli nell’aria profumata di timo e ronzante di api, Scuotivento rifletteva sulle esperienze degli ultimi giorni. Se il piccolo straniero era chiaramente pazzo, era pero generoso e meno pericoloso di meta della gente incontrata in citta. A Scuotivento era piuttosto simpatico. Il contrario sarebbe stato come prendere a calci un cucciolo.

Duefiori era solito mostrare un grande interesse per la teoria e la pratica della magia.

— Ma sembra tutto, be’, alquanto inutile — dichiaro. — Sapete, ho sempre pensato che un mago doveva semplicemente limitarsi a pronunciare le parole magiche. Senza tutto questo noioso impararsi a memoria.

Scuotivento, di malagrazia, si dichiaro d’accordo. Cerco di spiegare che una volta la magia era stata libera e senza norme, ma che al tempo dei tempi, era stata regolamentata dagli Antichi che l’avevano costretta a ubbidire, tra l’altro, alla Legge di Conservazione della Realta. Secondo la quale lo sforzo necessario per raggiungere un fine doveva essere lo stesso, senza tener conto dei mezzi usati. In parole povere cio significava che, ad esempio, creare l’illusione di un bicchiere di vino era relativamente facile, dato che comportava il semplice spostamento delle composizioni di luce. D’altro lato, sollevare di pochi centimetri in aria un bicchiere di vino vero richiedeva diverse ore di preparazione sistematica se il mago voleva impedire che il semplice potere di levitazione gli facesse schizzare il cervello fuori dalle orecchie. Aggiunse pure che si poteva ancora trovare un po’ dell’antica magia allo stato naturale riconoscibile, per gli iniziati, dall’ottava forma impressa alla struttura cristallina dello spazio-tempo. Cosi c’erano l’ottirone metallico e il gas ottogeno. Entrambi irradiavano pericolose quantita d’incantesimo puro.

— E tutto assai deprimente — concluse.

— Deprimente?

Scuotiventosi giro sulla sella a guardare il Bagaglio, che trotterellava adagio sulle sue zampette, di tanto in tanto aprendo e richiudendo il coperchio per acchiappare le farfalle. Sospiro.

— Scuotivento pensa che dovrebbe essere capace d’imbrigliare il lampo — annuncio il demonietto, che osservava il paesaggio stando sulla porticina della scatola appesa al collo di Duefiori. Aveva trascorso la mattinata a riprendere per il suo padrone vedute pittoresche e scene curiose, e gli era stato concesso di sospendere per farsi una pipata.

— Quando parlavo d’imbrigliare non volevo dire bardare — scatto Scuotivento. — Volevo dire, be’, volevo semplicemente dire… non so, non mi viene la parola giusta. Penso soltanto che il mondo dovrebbe essere in certo modo piu organizzato.

— Questa e solo una fantasia — disse Duefiori.

— Lo so. Questo e il guaio. — Scuotivento sospiro di nuovo. Si poteva anche blaterare di logica pura e di come l’universo fosse governato dalla logica e dall’armonia dei numeri, ma la verita era che il disco stava chiaramente attraversando lo spazio sul dorso di una tartaruga gigante e che gli dei avevano l’abitudine di recarsi alle case degli atei a fracassarne le finestre.

Si udi un suono lieve, appena piu forte del ronzio delle api nei ciuffi di rosmarino lungo la strada. Aveva uno strano timbro osseo, come di teschi rotolanti o di contenitori di dadi agitati. Scuotivento si guardo intorno. Vicino non c’era nessuno.

Per qualche ragione la cosa lo preoccupo.

Venne poi una brezza leggera, che crebbe e spari nel giro di poche pulsazioni, lasciando il mondo immutato salvo per alcuni interessanti particolari.

Per esempio, in piedi in mezzo alla strada c’era adesso un troll dell’alta montagna, cinque metri. Ed era eccezionalmente incollerito. Cio dipendeva in parte dal fatto che in genere i troll lo sono sempre; in questo caso, pero, era esacerbato perche l’improvviso e istantaneo teletrasferimento dal suo rifugio nelle montagne Rammerorck, a quasi cinquemila chilometri di distanza, aveva fatto alzare la sua temperatura corporea a un livello pericoloso, secondo le leggi della conservazione dell’energia. Cosi scopri le zanne e carico.

— Che strana creatura — osservo Duefiori. — E pericolosa?

— Solo per le persone — grido Scuotivento. Sfodero la spada, fece un rapido affondo e manco completamente il colpo. La lama si abbatte sull’erica al lato del sentiero. Vi fu un rumore quasi impercettibile, come di vecchi denti che battessero.

La spada colpi un masso nascosto nell’erica… nascosto, avrebbe detto un osservatore, cosi bene che un attimo prima pareva non ci fosse affatto. L’arma balzo su come un salmone che salta fuori dell’acqua e mentre ricadeva affondo nella nuca grigia del gigante.

La creatura emise un brontolio e con una zampata inferse una ferita nel fianco del cavallo di Duefiori; l’animale con un nitrito di dolore sfreccio al riparo degli alberi che fiancheggiavano la strada. Il gigante giro su se stesso e si lancio in avanti per afferrare Scuotivento.

Allora il suo tardo sistema nervoso gli comunico che era morto. Per un attimo sembro sorpreso, quindi crollo e si disintegro in pietrisco (essendo i troll forme di vita silicee, i loro corpi, al momento della morte, si riconvertono immediatamente in pietra).

'Aargh' penso Scuotivento quando il suo cavallo indietreggio terrorizzato. Lui ci si aggrappo con tutte le sue forze mentre l’animale caracollava su due zampe poi, con un nitrito acuto, si voltava e galoppava dentro i boschi.

Il rumore dei suoi zoccoli svani e nell’aria rimase soltanto il ronzio delle api e, di quando in quando, il fruscio delle ali delle farfalle. Si udiva anche qualcos’altro, un rumore strano per l’ora assolata del mezzogiorno.

Un rumore che ricordava quello dei dadi.

— Scuotivento?

La lunga navata fronzuta fece risuonare la voce di Duefiori da un lato all’altro e alla fine gliela rimando indietro, inascoltata. Lui se dette su una roccia e cerco di riflettere.

Primo, si era perso. Sebbene irritante, la cosa non lo preoccupava troppo. La foresta si presentava molto interessante e probabilmente albergava elfi o gnomi, forse entrambi. In effetti, gia due volte gli era parso di scorgere strane facce verdi sbirciarlo dai rami. Duefiori aveva sempre desiderato incontrare un elfo. In realta quello che davvero desiderava incontrare era un dragone, ma si sarebbe accontentato anche di un elfo. O di un vero folletto.

Il suo Bagaglio era scomparso e questo era seccante. Aveva anche cominciato a piovere. Si agito a disagio sulla pietra umida, sforzandosi di considerare la situazione dal lato meno pessimistico. Per esempio, durante la sua folle corsa, il suo cavallo aveva fatto irruzione in un folto di cespugli e aveva disturbato un’orsa con i suoi piccoli, ma aveva proseguito prima che la bestia potesse reagire. Poi d’improvviso si era trovato a galoppare sopra un grosso branco di lupi addormentati, ma di nuovo correva a una tale velocita che il loro furioso ululato ben presto era rimasto indietro. Cio nondimeno il giorno stava per finire e Duefiori penso che sarebbe stata una buona idea non restare all’aperto. Forse c’era una… Si lambicco il cervello per ricordarsi quali rifugi offrivano le foreste, secondo le migliori tradizioni… Forse c’era

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