— Ha bisogno del tuo aiuto.

— Come sempre. Anche lui e finito su un albero?

— Lui e finito al Tempio di Bel-Shamharoth.

A Scuotivento il vino ando di traverso. Le orecchie tentarono di rientrargli nella testa dal terrore delle sillabe che avevano appena udite. Il Mangiatore di Anime! Prima che potesse fermarli, i ricordi ritornavano a frotte. Una volta, quand’era studente di magia all’Universita Invisibile, si era infilato, per scommessa, nella stanzetta accanto alla biblioteca principale. La stanza dai muri ricoperti da pentagrammi protettivi di piombo, la stanza che a nessuno era permesso di occupare per piu di quattro minuti e trentadue secondi, cifra alla quale si era arrivati dopo duecento anni di cauta sperimentazione…

Lui aveva aperto con precauzione il Libro, che era incatenato al piedistallo di ottirone in mezzo al pavimento cosparso di caratteri runici, non per paura che qualcuno lo rubasse, ma per timore che esso scappasse via. Perche era l’Ottavo, cosi pieno di magia da possedere una vaga sensibilita tutta sua. Infatti un incantesimo era balzato fuori dalle pagine fruscianti e si era insediato negli oscuri recessi del suo cervello. E. a parte il fatto di sapere che si trattava di uno degli Otto Grandi Incantesimi, nessuno scopriva qual era finche non lo pronunciava. Cio valeva perfino per lo stesso Scuotivento. Ma a volte lo sentiva muoversi fuori vista dietro al suo Ego, aspettando l’occasione propizia…

Davanti all’Ottavo c’era stata un’immagine di Bel-Shamharoth. Non era il Male, perche perfino il Male aveva una certa vitalita. Bel-Shamharoth era il rovescio della medaglia di cui il Bene e il Male sono una sola faccia.

— Il Mangiatore di Anime. Il suo numero sta tra sette e nove; e due volte quattro — cito Scuotivento. terrorizzato. — Oh no! Dov’e il Tempio?

— In direzione del Centro, verso il centro della foresta — rispose la driade. — E molto antico.

— Ma chi sarebbe tanto stupido da venerare Bel… lui? Voglio dire, i demoni si, ma lui e il Mangiatore di Anime…

— C’erano… certi vantaggi. E la razza che viveva in questi luoghi aveva strane nozioni.

— Cosa e accaduto, dopo?

— Ho detto che viveva in questi luoghi. — La driade si alzo e gli tese la mano. — Vieni. Io sono Druellae. Vieni con me a osservare il fato del tuo amico. Dovrebbe essere interessante.

— Non sono sicuro che… — comincio Scuotivento.

La driade giro gli occhi verdi su di lui. — Credi di avere scelta? — chiese.

Una scala, larga come un’autostrada, saliva a spirale su per l’albero, con vaste stanze che si aprivano su ogni pianerottolo. Dappertutto la luce gialla che pareva non provenire da nessuna fonte. Si udiva anche un rumore; Scuotivento si concentro per cercare d’identificarlo: era un rumore come di tuono lontano o di una cascata distante.

— E l’albero — spiego la driade.

— Che sta facendo?

— Vive.

— Me lo chiedevo. Voglio dire, ci troviamo davvero in un albero? Sono rimpicciolito? All’esterno la pianta mi pareva cosi stretta da poterla circondare con le braccia.

— Infatti.

— Uhm, ma eccomi qui al suo interno.

— Infatti.

— Uhm — disse Scuotivento.

Druellae rise. — Posso leggerti nella mente, falso mago! Non sono forse una driade? Non sai che cio che tu sminuisci col nome di albero, non e altro se non il corrispettivo quadridimensionale dell’intero universo multidimensionale che… No, vedo che non lo sai. Avrei dovuto capire che non eri un vero mago quando ho visto che non avevi una bacchetta.

— L’ho perduta in un incendio — dichiaro automaticamente Scuotivento.

— Ne un cappello ricamato con i geroglifici magici.

— E volato via.

— Ne un demone familiare.

— E morto. Senti, grazie per avermi salvato ma, se non ti dispiace, devo andare. Se vuoi mostrarmi la strada per uscire…

Qualcosa nella sua espressione lo fece voltare. Alle sue spalle c’erano tre driadi maschi. Nudi come la donna e disarmati. Tuttavia, quest’ultimo dettaglio era irrilevante. Non sembrava che avrebbero avuto bisogno di armi per combattere Scuotivento. Ma piuttosto che avrebbero potuto aprirsi una strada nella dura roccia e sconfiggere, per soprammercato, un reggimento di troll.

I tre bei giganti lo guardavano con aria di stolida minaccia. Sotto la pelle, del colore dei malli di noce, i muscoli si gonfiavano come sacchi di meloni.

Il mago si volto di nuovo verso Druellae sorridendole debolmente. La vita cominciava a riassumere un aspetto familiare.

— Non sono liberato, vero? Sono catturato, giusto?

— Naturalmente.

— E tu non mi lasci andare. — Era una costatazione.

Druellae scosse la testa. — Hai fatto male all’Albero. Ma sei fortunato. Il tuo amico sta per incontrare Bel-Shamharoth. Tu morirai soltanto.

Da dietro, due mani gli afferrarono le spalle allo stesso modo in cui la radice di un vecchio albero si avvolge senza posa intorno a un ciottolo.

— Naturalmente, con certe formalita — continuo la driade. — Dopo che il Signore di Otto avra finito con il tuo amico.

Tutto cio che Scuotivento riusci a dire fu: — Sai, non avevo mai immaginato che esistessero driadi maschi. Nemmeno dentro una quercia.

Uno dei giganti gli rivolse un sorrisetto malizioso.

Druellae sbuffo. — Stupido! Da dove credi che vengano le ghiande?

Cera un vasto spazio vuoto come un atrio, il soffitto celato dalla nebbia dorata. La scala, che pareva salire all’infinito, lo attraversava.

All’estremita dell’atrio erano raggruppate diverse centinaia di driadi, che si divisero rispettosamente all’arrivo di Druellae. I loro sguardi trapassavano Scuotivento, che veniva spinto avanti con fermezza.

Tra di loro si contavano alcuni maschi, immobili come statue gigantesche tra le piccole femmine intelligenti. 'Insetti', penso Scuotivento. 'L’Albero e simile a un alveare.'

Ma come mai c’erano le driadi? Per quanto ricordava, il popolo degli alberi si era estinto da secoli, soppiantato dagli umani, come la maggior parte degli altri Popoli del Crepuscolo. Solo gli elfi e i troll erano sopravvissuti all’arrivo dell’Uomo nel mondo-disco. Gli elfi perche di gran lunga piu intelligenti e i troll perche sapevano, quanto gli umani, essere cattivi, vendicativi, avidi. Si supponeva invece che le driadi si fossero estinte, insieme agli gnomi e ai folletti.

Li il rombo di fondo era piu forte. Di tanto in tanto, un pulsante bagliore dorato correva su per le pareti traslucide e si perdeva nella nebbia sovrastante. Un qualche potere che aleggiava nell’aria la faceva vibrare.

— Oh mago incompetente! — esclamo Druellae. — Assisti a qualche magia. Non la vostra magia addomesticata, ma la magia delle radici e dei rami, l’antica magia. Magia allo stato naturale. Guarda.

Un gruppo di una cinquantina di driadi indietreggio, tenendosi per mano, fino a formare la circonferenza di un largo cerchio. Le altre intonarono un canto basso. Poi, a un cenno di Druellae, il cerchio prese a girare in senso antiorario.

Via via che la velocita aumentava, saliva il ritmo complicato del canto. Scuotivento contemplava la scena, affascinato. All’Universita aveva sentito parlare dell’Antica Magia, anche se ai maghi era proibita. Sapeva che quando il cerchio ruotava abbastanza rapido in senso inverso al campo magico fisso del mondo-disco nel suo lento ruotare, la conseguente frizione astrale avrebbe accumulato una grande differenza di potenziale e una conseguente scarica di Forza Magica Elementare.

Il cerchio ora si era fatto una macchia indistinta e le pareti dell’Albero risuonavano dell’eco del canto.

Scuotivento senti il familiare formicolio nella cute della testa, rivelatore del formarsi di una forte carica di incantesimo puro nelle vicinanze. Cosi non fu troppo stupito quando, pochi secondi piu tardi, un raggio di vivida luce di ottarino spunto dall’invisibile soffitto e si concentro, con un crepitio, nel centro del cerchio.

Li formo l’immagine di una collina alberata e spazzata dal vento con un tempio sulla cima. L’occhio era ferito dalla forma di quell’edificio. Scuotivento sapeva che, se si trattava del tempio di Bel-Shamharoth, avrebbe avuto otto lati (Otto era anche il numero di Bel-Shamharoth) e per questa ragione, potendo evitarlo, un mago giudizioso non l’avrebbe mai pronunciato. 'Oppure sarete ottati vivi' si ammonivano scherzosamente gli apprendisti. Bel-Shamharoth era specialmente attratto dai dilettanti nelle arti magiche, i quali essendo, per cosi dire, i rastrellatori delle spiagge del soprannaturale, erano gia mezzo impigliati nelle sue reti. Il numero della camera di Scuotivento alla residenza dell’Universita era stato 7a. Cosa che non lo aveva meravigliato.

La pioggia ruscellava sui muri neri del tempio. L’unico segno di vita era il cavallo legato fuori, e non era il cavallo di Duefiori. Tanto per cominciare, era troppo grosso. Era un destriero bianco con gli zoccoli grandi come un piatto di portata e i finimenti di cuoio luccicanti di vistosi ornamenti d’oro. L’animale si stava godendo la sua razione di foraggio col muso infilato nella sacchetta…

Nella scena c’era qualcosa di familiare. Scuotivento cercava di ricordarsi dove l’aveva vista prima.

A ogni modo, la bestia sembrava in grado di raggiungere una bella velocita e, una volta raggiunta, di mantenerla a lungo. Scuotivento doveva soltanto scrollarsi di dosso le guardie, lottare per aprirsi la strada e lasciare l’Albero, trovare il tempio e portare via il cavallo da sotto qualunque cosa Bel-Shamharoth usasse come naso.

— Il Signore di Otto ha due ospiti a cena, sembra — disse Druellae, fissando Scuotivento. — Di chi e quel corsiero, falso mago?

— Non ho idea.

— No? Be’, non importa. Lo vedremo subito.

Agito una mano. Il centro dell’immagine si sposto verso l’interno, sfreccio attraverso un grande arco ottagonale e continuo lungo il corridoio. Una figura strisciava con la schiena rasente al muro. Scuotivento vide il luccichio dell’oro e del bronzo.

Impossibile sbagliarsi su quella sagoma. L’aveva vista molte volte. Il largo torace, il collo simile al tronco di un albero, la testa sorprendentemente piccola sotto il

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