casco arruffato di capelli neri, come un pomodoro su una bara… Poteva dare un nome alla figura strisciante. Il nome era quello di Hrun il Barbaro.

Nelle terre del Mare Circolare Hrun era uno degli eroi durati piu a lungo: un combattente di dragoni, uno spogliatore di templi, una spada mercenaria, il centro di ogni rissa da strada. Poteva perfino, al contrario di molti eroi conosciuti da Scuotivento, pronunciare parole di piu di due sillabe, se uno gliene dava il tempo e un suggerimento o due.

Scuotivento percepiva un rumore indistinto, come di teschi saltellanti giu per i gradini di un lontano dongione. Guardo con la coda dell’occhio le guardie per vedere se l’avevano udito.

Tutta la loro limitata attenzione era concentrata su Hrun, dalla corporatura somigliante alla loro. Le loro mani posavano leggermente sulle spalle del mago.

Scuotivento si chino di scatto, balzo all’indietro come un acrobata e si raddrizzo correndo. Udi alle sue spalle Druellae che gridava e raddoppio la velocita.

Il cappuccio della sua tunica s’impiglio da qualche parte e si lacero. Un driade in attesa vicino alla scala allargo le braccia con un sogghigno inespressivo rivolto alla figura che gli si precipitava incontro.

Senza rallentare, Scuotivento si chino di nuovo, cosi basso da toccarsi le ginocchia con il mento, mentre un pugno grosso come un ciocco gli passava vicino all’orecchio con un sibilo.

Davanti a lui lo attendeva un gruppetto di tre uomini. Il Mago fece una giravolta, evito un altro colpo da parte della guardia stupefatta, e torno di corsa verso il cerchio, superando i driadi che lo inseguivano e lasciandoli scompigliati come un gioco di birilli.

Ma davanti ce n’erano ancora altri, che si facevano strada in mezzo alla folla delle femmine, battendo i pugni sui palmi callosi delle mani in attesa della lotta imminente.

— Fermati, falso mago — gli ordino Druellae facendo un passo in avanti. Alle sue spalle, le danzatrici rapite continuavano a girare; il centro dell’immagine adesso scivolava lungo un corridoio illuminato di luce violetta.

Scuotivento esplose. — Volete piantarla! Mettiamo le cose in chiaro, va bene? Io sono un vero mago! — Batte con petulanza un piede.

— Davvero? — disse la driade. — Allora vediamo se sai fare un incantesimo.

— Uh… — comincio Scuotivento. Il fatto era che, da quando quell’antico e misterioso incantesimo gli si era insediato nella mente, lui non era piu stato capace di ricordare nemmeno la piu semplice formuletta per, diciamo, ammazzare gli scarafaggi o grattarsi la schiena senza usare le mani. I maghi dell’Universita Invisibile avevano cercato di spiegare la cosa con la seguente teoria: avere involontariamente mandato a memoria l’incantesimo aveva, per cosi dire, bloccato tutte le sue cellule di mnemonica degli incantesimi. Scuotivento era giunto a una spiegazione tutta sua della ragione per cui anche le formule magiche minori rifiutavano di rimanergli in testa per piu di pochi secondi.

Avevano paura.

— Uhm… — ripete.

— Ne basterebbe anche uno piccolo — affermo Druellae, che lo guardava mordersi le labbra dalla collera e dall’imbarazzo. A un suo cenno, si avvicinarono due driadi maschi.

L’Incantesimo scelse quel momento per balzare nella sella, temporaneamente abbandonata, della conoscenza. Scuotivento si sentiva guardato da lui, con aria di sfida.

— Conosco un incantesimo.

— Si? Sei pregato di pronunciarlo — ribatte Druellae.

Scuotivento era incerto se osare; benche l’Incantesimo cercasse d’impadronirsi della sua lingua, lui si opponeva. — Hai detto che potevi leggere nella mia mente — borbotto. — Allora leggi.

Lei avanzo, fissandolo negli occhi con espressione beffarda. Il sorriso le si gelo sulle labbra. Sollevo le mani a proteggersi e indietreggio, rannicchiandosi. Dalla gola le usci un suono di vero e proprio terrore.

Scuotivento si guardo intorno. Anche le altre driadi arretravano. Che aveva dunque fatto? Evidentemente, qualcosa di terribile.

Ma, per sua esperienza, era soltanto questione di tempo prima che l’universo ritrovasse il suo equilibrio e a lui succedessero le solite cose tremende. Si trasse indietro, si riparo tra le driadi che con il loro ruotare creavano il cerchio magico, e attese di vedere quale sarebbe stata la prossima mossa di Druellae.

— Prendetelo — grido lei. — Portatelo lontano dall’Albero e uccidetelo!

Scuotivento si giro e si precipito in avanti.

Attraverso il centro del cerchio.

Vi fu un vivido lampo.

Vi fu il buio improvviso.

Vi fu un’ombra violetta vagamente rassomigliante a Scuotivento, che si ridusse a un punto e si spense.

Non vi fu assolutamente piu nulla.

Hrun il Barbaro scivolava silenziosamente lungo i corridoi, illuminati da una luce di un viola cosi intenso da essere quasi nero. Non si sentiva piu confuso. Chiaramente quello era un tempio magico, e cio spiegava tutto.

Spiegava perche quello stesso pomeriggio, mentre cavalcava nella foresta oscura, avesse scorto sul bordo del sentiero una cassa dall’aspetto invitante: il coperchio aperto metteva in mostra una grande quantita d’oro. Ma quando lui era balzato giu da cavallo per avvicinarsi, alla cassa erano spuntate le gambe ed era trottata via per fermarsi qualche metro piu in la.

Adesso, dopo parecchie ore d’irritante inseguimento, l’aveva persa in quei tunnel dalla luce infernale. Tutto sommato, le sculture sgradevoli e, di tanto in tanto, gli scheletri smembrati davanti ai quali Hrun passava, non gli incutevano nessun timore. Questo era in parte dovuto al fatto che lui non era eccezionalmente sveglio mentre era allo stesso tempo eccezionalmente privo di immaginazione. E in parte perche sculture strane e tunnel perigliosi rientravano nel suo lavoro quotidiano. Trascorreva gran parte del suo tempo in situazioni simili, a cercare oro o demoni o vergini in pericolo e a liberarli rispettivamente dei proprietari, della vita o di almeno una delle cause delle loro angustie.

Osserva Hrun, mentre attraversa con un balzo felino l’imbocco di un tunnel sospetto. Anche in questa luce viola la sua pelle riluce come rame. C’e parecchio oro sulla sua persona, sotto forma di anelli per i polsi e le caviglie, ma altrimenti l’eroe e nudo a eccezione di un perizoma di pelle di leopardo. L’ha presa nelle umide foreste di Howondaland, dopo avere ammazzato il suo proprietario con i denti.

Nella destra regge Kring, la magica spada nera che e stata forgiata da un fulmine e ha un’anima, ma non sopporta il fodero. Hrun l’aveva rubata tre giorni prima dall’inespugnabile palazzo dell’Archimandrita di B’Ituni, e gia cominciava a rimpiangerlo. Gli dava sui nervi.

— Ti dico che e andata in quell’ultimo corridoio a destra — sibilo Kring con una voce simile al raschio di una lama sulla pietra.

— Taci!

— Ho detto soltanto che…

— Chiudi il becco!

E Duefiori…

Si era perso, lo sapeva. O l’edificio era molto piu grande di quanto sembrava, o lui si trovava ora in un vasto sotterraneo senza avere disceso una scala oppure, come cominciava a sospettare, le dimensioni interne, piu grandi delle esterne, disobbedivano a una regola base dell’architettura. E perche tutte quelle luci strane? Erano ottagoni di cristallo incastrati a intervalli regolari nelle pareti e nel soffitto e spargevano un chiarore sgradevole che metteva in risalto le ombre invece di illuminare.

E chiunque fosse l’autore delle sculture sulle pareti, pensava caritatevole Duefiori, probabilmente aveva bevuto troppo. Per anni.

D’altro canto, si trattava di sicuro di un edificio affascinante. I suoi costruttori erano stati ossessionati dal numero otto. Il pavimento era un mosaico di piastrelle ottagonali: i muri e i soffitti erano disposti in modo che, loro inclusi, i corridoi risultavano di otto lati; inoltre, la dove parte dell’intonaco era caduta, Duefiori noto che anche le pietre avevano otto lati.

— Non mi piace — sentenzio l’omuncolo dalla sua scatola intorno al collo di Duefiori.

— Perche no? — chiese questi.

— E strano.

— Ma tu sei un demone e i demoni non possono chiamare strane le cose. Voglio dire, che cos’e strano per un demone?

— Oh, sai — rispose cauto il diavoletto, guardandosi intorno nervosamente e spostandosi da una zampa artigliata all’altra. — Cose. Roba.

Duefiori gli dette un’occhiata severa. — Quali cose?

Il demone tossi nervosamente. (I demoni non respirano; tuttavia, ogni essere intelligente, che respiri o no, tossisce nervosamente una volta o l’altra nella vita. E, per quanto riguardava il demone, questa era appunto una di quelle volte.)

— Oh, cose — disse con aria infelice. — Cose malvage. Cose di cui non parliamo; e questo il punto che sto cercando di farvi capire, padrone.

Duefiori scosse stancamente la testa. — Vorrei che Scuotivento fosse qui. Lui saprebbe senz’altro cosa fare.

— Lui? — disse sprezzante il demone. — Non riesco a vedere un mago venire qui. Loro non possono avere niente a che fare col numero otto. — Si tappo la bocca con una mano, con aria colpevole.

Duefiori alzo gli occhi al soffitto. — Che e stato? — chiese. — Non hai sentito qualcosa?

— Io? Sentito? No! Niente! — Salto dentro e sbatte la porta. Duefiori busso. Si apri uno spiraglio.

— Sembrava una pietra che si muovesse — spiego. La porta si richiuse di colpo. Duefiori alzo le spalle.

— Probabilmente questo posto sta crollando — disse a se stesso e si alzo. — Ehi! — grido. — C’e qualcuno la?

LA, La, la, risposero i tunnel oscuri.

— Salve? — provo di nuovo.

VE, Ve, ve.

— So che qui c’e qualcuno, vi ho appena sentito giocare a dadi!

ADI, Adi, adi.

— Sentite, ho appena…

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