una casetta fatta di pan di zenzero o che altro?

La roccia era davvero scomoda. Duefiori abbasso gli occhi e per la prima volta noto la strana scultura.

Sembrava un ragno. O era una seppia? Muschio e licheni non permettevano di distinguerne i dettagli. Ma non impedivano di distinguere i caratteri runici scolpiti in basso. Duefiori era in grado di leggerli chiaramente, e dicevano: 'Viaggiatore, il tempio ospitale di Bel-Shamharoth si trova a mille passi da qui in direzione del Centro'. Era davvero strano, penso Duefiori: perche, sebbene fosse capace di leggere il messaggio, le lettere gli erano completamente sconosciute. Il messaggio gli arrivava in qualche modo al cervello senza la noiosa necessita di passare attraverso i suoi occhi.

L’ometto si alzo e slego dall’alberello a cui era legato il suo cavallo divenuto ormai docile. Non era sicuro da che parte si trovasse il Centro, pero scorgeva un vecchio sentiero che attraversava il bosco. Questo Bel-Shamharoth sembrava pronto ad aiutare i viaggiatori sperduti. In ogni caso, o il tempio o i lupi. Duefiori annui risoluto.

E interessante notare come, diverse ore dopo, due lupi che seguivano la traccia di Duefiori, arrivarono alla radura. I loro occhi verdi caddero sulla strana incisione a otto zampe, che poteva essere un ragno o una piovra oppure anche qualcosa di piu strano, e decisero immediatamente che non erano poi tanto affamati.

A circa sei chilometri di distanza un mago fallito si teneva appeso per le mani all’alto ramo di un faggio.

Era questo il risultato finale di un’attivita frenetica. Prima, un’orsa arrabbiata era sbucata dal sottobosco e con una zampata aveva portato via la gola del suo cavallo. Poi, mentre scappava da quel macello, Scuotivento era incappato in un branco di lupi infuriati sparsi in una radura. I suoi istruttori dell’Universita Invisibile, che si erano disperati per l’incapacita di Scuotivento di apprendere la levitazione, sarebbero rimasti sbalorditi nel vedere la velocita con la quale lui aveva raggiunto l’albero piu vicino e ci si era arrampicato, senza apparentemente toccarlo.

— Perche sogghigni? — aveva domandato il mago alla figura sul ramo accanto.

— Non posso farne a meno — rispose la Morte. — Adesso saresti cosi gentile da lasciarti andare? Non posso restare nei paraggi tutto il giorno.

— Io posso — ribatte Scuotivento in tono di sfida.

I lupi ammassati ai piedi dell’albero fissavano interessati il loro prossimo pasto parlare da solo.

— Non fara male — disse la Morte. Se le parole avessero un peso, una sola frase pronunciata dalla Morte sarebbe stata sufficiente a ormeggiare una nave.

Le braccia di Scuotivento non ne potevano piu. Lui guardo di traverso la figura leggermente trasparente, simile a un avvoltoio. — Non fara male? — ripete — Essere fatto a pezzi dai lupi non fara male?

Noto un altro ramo che s’incrociava qualche centimetro piu in la con il suo pericolosamente sottile. Se soltanto avesse potuto raggiungerlo…

Si sporse in avanti e allungo una mano.

Il ramo, gia inclinato, non si ruppe. Fece soltanto un rumorino sordo e si torse.

Scuotivento si trovo appeso all’estremita di una lingua di corteccia e di fibra, che si andava allungando via via che si staccava dall’albero. Guardo giu e con una sorta di soddisfazione fatalistica vide che sarebbe atterrato proprio sul lupo piu grosso.

Adesso si muoveva lentamente mentre la striscia di corteccia si andava sempre piu allungando. Il serpente lo osservava pensieroso.

Ma la corteccia teneva. Scuotivento cominciava gia a congratularsi con se stesso quando, alzando gli occhi, vide quello che fino allora non aveva notato. Proprio davanti a lui, pendeva dal ramo il piu grosso nido di vespe che avesse mai visto.

Chiuse forte gli occhi.

'Perche il troll?' si chiedeva. 'Tutto il resto rientra nella mia solita fortuna, ma perche il troll? Che diavolo succede’7'

Clic. Poteva essere un ramoscello che si spezzava, ma sembrava che il rumore si producesse nella testa del mago. Clic, clic. E un venticello che pero non smuoveva nemmeno una foglia.

Passando, la striscia di corteccia strappo via dal ramo il nido di vespe, che sfreccio accanto alla testa di Scuotivento. Lui lo vide rimpicciolire mentre piombava sul cerchio di musi alzati.

Il cerchio si chiuse d’improvviso.

D’improvviso il cerchio si allargo.

Un concerto di ululati di dolore echeggio tra gli alberi mentre il branco di lupi cercava di sfuggire alla nuvola infuriata. Scuotivento ridacchiava in modo insensato.

Urto con il gomito contro qualcosa. Era il tronco dell’albero. La striscia di corteccia lo aveva portato dritto all’estremita del ramo. Ma non c’erano altri rami. La superficie liscia accanto a lui non offriva nessuna presa.

Pero offriva delle mani. Due spuntavano in quel momento dalla corteccia coperta di muschio: mani sottili, verdi come le foglie nuove. Poi segui un braccio ben modellato e quindi l’amadriade si sporse, afferro il mago sbalordito e, con quella forza vegetale che riesce a penetrare la roccia con le radici, lo tiro dentro l’albero. La solida corteccia si divise come nebbia, si richiuse come un’ostrica.

La Morte guardava impassibile.

Lancio un’occhiata alla nuvola di effimere danzanti gioiose vicino al suo teschio. Schiocco le dita. Gli insetti piombarono giu. Ma in qualche modo, non era la stessa cosa.

Blind lo spinse sul tavolo la sua pila di gettoni, lancio uno sguardo torvo con quelli dei suoi occhi che si trovavano nella stanza, e usci. Alcuni semidei se ne uscirono in risolini soffocati. Almeno Offler aveva accolto la perdita di un troll in perfetto stato con buona grazia anche se un po’ servile.

L’ultimo avversario della Signora sposto la sua seggiola fino a trovarsi di fronte a lei davanti alla scacchiera.

— Signore — disse lei cortesemente.

— Signora — rispose lui. I loro occhi s’incontrarono.

Era un dio taciturno. Si diceva che fosse arrivato nel mondo-disco in seguito a un terribile e misterioso incidente in un’altra Eventualita. Naturalmente gli dei godono della prerogativa di controllare la loro forma esteriore anche nei confronti di altri dei. Il Fato del mondo-disco era un uomo cortese, piu che di mezza eta, con i capelli grigi ben pettinati e un viso che ispirava fiducia; un tipo, insomma, al quale una fanciulla avrebbe volentieri offerto un bicchiere di birra, se lui fosse apparso alla porta di servizio. Un tipo che un giovane garbato sarebbe stato lieto di aiutare a scendere le scale. Eccetto che per i suoi occhi, naturalmente.

Nessun dio puo celare lo sguardo e la natura dei suoi occhi. La natura degli occhi del Fato era questa: mentre a un’occhiata superficiale apparivano semplicemente scuri, a un esame piu attento si sarebbero rivelati, troppo tardi, soltanto due buchi che si aprivano su un’oscurita cosi remota, cosi profonda che l’osservatore si sarebbe sentito inesorabilmente attirato in quei due pozzi gemelli di notte senza fine e i loro terribili astri rotanti…

La Signora ebbe un piccolo colpo di tosse e mise sul tavolo ventuno gettoni bianchi. Poi ne estrasse dalla tunica un altro, argenteo e traslucente, grande il doppio. L’anima di un vero Eroe trova sempre un migliore corso di cambio ed e tenuta in gran conto dagli dei.

Il Fato inarco un sopracciglio e disse: — Niente imbrogli, Signora.

— Ma chi potrebbe imbrogliare il Fato? — domando lei. Lui scrollo le spalle.

— Nessuno. Eppure tutti ci provano.

— Eppure, credo di non sbagliare dicendo che mi avete prestato un po’ di assistenza contro gli altri?

— Ma certo. Perche la fine della partita potesse essere piu dolce, Signora. E adesso…

Pesco dalla sua scatola da gioco un pezzo che depose sulla scacchiera con aria soddisfatta. Gli dei che stavano a guardare dettero un sospiro collettivo. Perfino la Signora per un momento parve sorpresa.

Era certamente brutto. La fattura era rozza, come se le mani dell’artigiano tremassero dal terrore della cosa che prendeva forma sotto le sue dita riluttanti. Sembrava fosse tutto ventose e tentacoli. E mandibole, osservo la Signora. E un unico grande occhio.

— Credevo che fosse morto al principio del Tempo — disse.

— Forse la nostra necrotica amica era restia perfino ad avvicinarlo — rise il Fato. Si stava divertendo.

— Non avrebbe mai dovuto essere generato.

— Cionondimeno — disse il Fato sentenziosamente. Vuoto i dadi nel loro insolito contenitore e alzo gli occhi sulla Signora.

— A meno che — aggiunse — desideriate ritirarvi…

Lei scosse la testa. — Giocate — disse.

— Potete uguagliare la mia posta?

— Giocate.

Scuotivento sapeva cosa c’era dentro gli alberi: legno, linfa, possibilmente scoiattoli. Non un palazzo.

Eppure… i cuscini su cui sedeva erano senz’altro piu morbidi del legno, il vino nella coppa di legno molto piu gustoso della linfa, e non poteva assolutamente esserci paragone fra uno scoiattolo e la fanciulla che gli sedeva di fronte e lo guardava, con le mani intrecciate intorno alle ginocchia. A meno di fare menzione di certe tracce di pelosita.

La stanza era alta, vasta e illuminata da una morbida luce gialla proveniente da una fonte che Scuotivento non riusciva a identificare. Attraverso gli archi nodosi si vedono altre stanze e una grande scala a chiocciola. E dire che, dall’esterno, gli era sembrato un albero perfettamente normale.

La fanciulla era verde, la carne verde. Di questo Scuotivento era certissimo perche lei non portava altro che un medaglione intorno al collo. I suoi capelli avevano un aspetto vagamente muschioso. I suoi occhi, senza pupille, erano di un verde luminoso. Scuotivento rimpianse di non avere prestato la dovuta attenzione alle lezioni di antropologia all’Universita.

Fino a quel momento lei era rimasta in silenzio. Oltre a indicargli il sedile e offrirgli il vino, si era limitata a restare seduta a osservarlo, strofinandosi di tanto in tanto uno sgraffio profondo sul braccio.

— Mi dispiace di quello — disse in fretta il mago. — E stato soltanto un incidente. Voglio dire, c’erano quei lupi e…

— Hai dovuto arrampicarti sul mio albero e io ti ho salvato — disse soavemente la driade. — E stata una fortuna per te. E per il tuo amico, forse?

— Amico?

— L’ometto con la cassa magica.

— Oh, certo, lui. Gia. Spero che stia bene.

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