cenno alla punta lucente del bastone. — Voglio dire, e molto lusinghiera tutta questa magia che viene usata a nostro beneficio, ma non occorre arrivare fino a questo punto. E…

— Chiudi il becco. - La figura si tiro indietro il cappuccio e si rivelo per una giovane dalle tinte assai insolite: la pelle era nera. Non scura come quella degli Urabewe o del lucente nero bluastro della gente di Klatch. la terra dei monsoni, ma del nero intenso della mezzanotte in fondo a una caverna. I capelli e le sopracciglia erano del colore del chiaro di luna. Intorno alle labbra la stessa pallida lucentezza. Sembrava avere all’incirca quindici anni ed essere molto spaventata.

Scuotivento noto che la mano che teneva la verga tremava. E cio perche e difficile non accorgersi di un oggetto di morte che vi oscilla a pochi centimetri dal naso. Comincio a rendersi conto molto lentamente, perche era una sensazione del tutto nuova, che qualcuno al mondo aveva paura di lui. Gli accadeva cosi spesso il contrario che lui aveva finito per considerarlo una sorta di legge naturale.

— Come ti chiami? — le chiese in un tono che si sforzo di rendere rassicurante. La fanciulla poteva pure essere spaventata, ma aveva la verga. 'Se avessi io una verga del genere' penso 'non avrei paura di niente. Quindi che mai s’immagina che potrei fare?'

— Il mio nome e immateriale — disse lei.

— E un nome grazioso. Dove ci stai portando e perche? Non mi piace che ci sia nulla di male a dircelo.

— Vi stiamo portando a Krull. E non prenderti gioco di me, Hublander. altrimenti usero la verga. Devo ricondurvi vivi, ma nessuno ha detto che dovrete essere interi. Mi chiamo Marchesa e sono una maga del quinto grado. Mi capisci?

— Bene, allora dato che sai tutto di me. saprai pure che io non ho nemmeno conseguito quello di Neofita. In realta, non sono nemmeno un mago. — Noto l’espressione attonita di Duefiori e aggiunse in fretta: — Solo un mago di mediocre qualita.

— Tu non puoi fare magie perche uno degli Otto Grandi Incantesimi e indelebilmente impresso nella tua mente — disse Marchesa, riacquistando l’equilibrio con grazia quando la grande lente descrisse un ampio arco sul mare. — Ecco perche sei stato espulso dall’Universita Invisibile. Lo sappiamo.

— Ma hai appena detto che lui era un mago di grande astuzia e artificio — protesto Duefiori.

— Si, perche chiunque sia sopravvissuto alle sue vicende, di cui la maggior parte se le e causate da solo con la sua tendenza a considerarsi un mago, be’, deve essere in qualche modo un incantatore — disse Marchesa. — Ti avverto, Scuotivento. Se ho il minimo sospetto che tu intoni il Grande Incantesimo, ti uccidero davvero. — Lo guardo nervosamente.

— Mi sembra che la cosa migliore sarebbe depositarci da qualche parte — disse Scuotivento. — Cioe, grazie per averci liberati e tutto, cosi se tu ci lasciassi vivere la nostra vita, sono sicuro che noi tutti…

— Spero che non ti riprometti di farci schiavi — interloqui Duefiori.

Marchesa parve sinceramente scioccata. — Certamente no! Cosa mai puo avervi suggerito un’idea del genere? La vostra vita a Krull sara ricca, piena, confortevole…

— Oh, bene! — esclamo Scuotivento.

— …solo non molto lunga.

Krull si rivelo un’isola grande, montagnosa e fittamente boschiva, con graziosi edifici bianchi visibili qua e la tra gli alberi. Il terreno digradava dolcemente verso il bordo, cosi che il punto piu alto di Krull in effetti lo sovrastava di poco. La i krulliani avevano costruito la loro citta principale, chiamata pure Krull e, dato che tanta parte del materiale edilizio era stato recuperato dalla Circonferenza, le case di Krull erano di tipo decisamente nautico.

Per dirla tutta, intere navi erano state saldate insieme con grande maestria e trasformate in edifici. Triremi, sambuchi e caravelle sporgevano a strani angoli dal caos di legno generale. Polene dipinte e hublandiche prue a forma di dragone ricordavano ai cittadini di Krull che la loro buona sorte gli veniva dal mare; golette e galeoni conferivano un carattere particolare agli edifici piu grandi. E cosi la citta si stendeva, file su file di case, tra l’oceano verde-azzurro del Disco e il mare del Bordo, velato da soffici vapori, gli otto colori del Rimbow riflessi in ogni finestra e nelle lenti dei telescopi dei numerosi astronomi.

— E assolutamente terribile — esclamo Scuotivento in tono lugubre.

La lente costeggiava il margine della cascata. Avvicinandosi al Bordo, non soltanto l’isola si faceva piu alta; si faceva anche piu stretta, cosi che la lente pote rimanere sopra l’acqua finche fu vicinissima alla citta. Il parapetto che correva lungo lo strapiombo era punteggiato da cavalietti protesi nel nulla. La lente scivolo verso uno di loro e vi si aggancio con la stessa facilita con cui un’imbarcazione attracca al molo. Li aspettavano quattro guardie con gli stessi capelli lunari e volti neri come la notte di Marchesa. Non sembravano armate; pero, quando Scuotivento e Duefiori misero piede sul parapetto, vennero afferrati per le braccia e tenuti saldamente cosi da allontanare istantaneamente ogni pensiero di fuga.

Marchesa e i maghi idrofobi restarono indietro e le guardie con i prigionieri si avviarono di buon passo per un sentiero tortuoso tra le case-navi. Ben presto la strada in discesa li porto in una specie di palazzo, mezzo scavato nella roccia dello strapiombo. C’erano gallerie vivacemente illuminate e cortili sotto il cielo distante. Alcuni uomini anziani, dalle vesti coperte di simboli misteriosi, guardarono passare il sestetto. Piu volte Scuotivento noto degli idrofobi (la loro innata espressione di disgusto per i propri fluidi corporei era inequivocabile) e qua e la uomini che camminavano faticosamente, certo degli schiavi. Non ebbe tempo di riflettere sul fatto, perche davanti a loro si apri una porta ed essi furono spinti, con gentile fermezza, in una sala. Poi la porta si richiuse alle loro spalle.

Riacquistato l’equilibrio, i due si guardarono intorno.

— Oddio — esclamo Duefiori alla fine, dopo aver cercato inutilmente di trovare un’espressione migliore.

— E la cella di una prigione? — si domando ad alta voce il mago.

— Tutto quest’oro e queste sete e questa roba — aggiunse l’ometto. — Non ho mai visto nulla del genere!

Al centro della stanza riccamente decorata, su un tappeto cosi folto che Scuotivento lo calpestava con precauzione per timore fosse un qualche animale irsuto il quale amasse stendersi sul pavimento, c’era un lungo tavolo lucente carico di cibo. Per la maggior parte erano piatti di pesce, inclusa l’aragosta piu grossa e piu elaboratamente preparata che lui avesse mai visto; ma c’era anche una quantita di ciotole e piatti grandi ricolmi di strane creazioni mai viste. Il mago prese con cautela una specie di frutto color porpora cosparso di cristalli verdi.

— Ricci di mare canditi — disse una voce gracchiante e allegra alle sue spalle. — Una grande leccornia.

Lui la pose giu in fretta e si volto. Un vecchio era spuntato fuori dalle pesanti cortine. Era alto e magro, dall’aspetto quasi benevolo paragonato a certi visi che Scuotivento aveva visto di recente.

— Anche la purea di oloturie e buonissima — prosegui l’altro. — Quei pezzetti verdi sono giovani stelle di mare.

— Grazie di avermelo detto — disse debolmente Scuotivento.

— In realta, sono piuttosto buone — assicuro Duefiori, a bocca piena. — Credevo ti piacessero i frutti di mare.

— Si, lo credevo anch’io. Questo vino cos’e, occhi di polpo pigiati?

— Uva di mare — lo informo il vecchio.

— Magnifico. — Scuotivento ne mando giu un bicchiere. — Un po’ salato, forse.

— L’uva di mare e una specie di piccola medusa — spiego lo straniero. — Adesso penso sia ora di presentarmi. Perche il tuo amico e diventato di quello strano colore?

— Shock culturale, immagino — rispose Duefiori. — Come hai detto di chiamarti?

— Non l’ho detto. Mi chiamo Garhartra. Vedi, io sono preposto agli ospiti: ho il gradito compito di assicurarmi che il vostro soggiorno qui sia il piu piacevole possibile. — Fece un inchino. — Se c'e qualcosa che desiderate, non avete che da dirlo.

Duefiori si sedette su una bella poltrona di madreperla con un bicchiere di vino oleoso in una mano e una seppia cristallizzata nell’altra. Aggrotto le sopracciglia. — Credo mi sia sfuggita qualcosa — disse. — Prima ci hanno detto che saremmo diventati degli schiavi.

— Una vile bugia — lo interruppe Garhartra.

Dal fondo del lungo tavolo venne la voce di Scuotivento: — Credi che questi biscotti siano fatti di un ingrediente nauseante?

— …e poi siamo stati liberati con grande dispendio di magia…

— Sono fatti di alghe pressate — rispose il vecchio in tono seccato.

— …ma in seguito siamo stati minacciati, pure con grande dispendio di magia…

— Si, lo pensavo anch’io — dichiaro il mago. — Certo hanno il sapore delle alghe… se uno fosse tanto masochista da mangiarne.

— …e poi siamo stati presi dalle guardie senza tante cerimonie e buttati qui dentro…

— Spinti gentilmente — lo corresse Garhartra.

— …che si e rivelato essere questa sala incredibilmente ricca con tutto questo cibo e un uomo che ci dice che si dedica a farci felici — concluse Duefiori. — C’e una mancanza di logica in tutto questo.

— Gia — disse Scuotivento. — Lui vuole sapere se ricomincerete a essere antipatici con noi. Questa e soltanto una pausa per la colazione?

Garhartra alzo le mani con un gesto rassicurante. — Prego, prego — protesto. — Era necessario portarvi qui il piu presto possibile. Certamente non abbiamo intenzione di farvi schiavi. Vi prego di tranquillizzarvi su questo punto.

— Ottimo — disse Scuotivento.

— Si, infatti sarete sacrificati — continuo l’altro placidamente.

— Sacrificati? Ci ucciderete? — grido il mago.

— Uccidervi? Si, naturale. Certamente! Non sarebbe un sacrificio se non lo facessimo, non ti pare? Ma non preoccuparti, sara relativamente indolore.

— Relativamente? Relativamente rispetto a che cosa? — Scuotivento prese in mano un’altra bottiglia verde piena di vino di medusa e la scaglio contro Garhartra. Questi alzo una mano come per proteggersi.

Dalle sue dita si sprigiono una fiamma di ottarino e l’aria si fece improvvisamente spessa e untuosa al tatto, cosa che indicava una potente scarica di magia. La bottiglia rallento e rimase a ruotare a mezz’aria.

Al tempo stesso una forza invisibile afferro Scuotivento e lo scaravento lontano, inchiodandolo senza respiro alla parete di fondo, dove rimase appeso a bocca aperta dalla rabbia e dallo stupore.

Garhartra abbasso la mano e se la passo lentamente sulla veste. — Sai, non mi e piaciuto trattarti cosi.

— Me ne sono accorto — borbotto Scuotivento.

— Ma perche volete sacrificarci? — domando Duefiori. — Ci conoscete appena!

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