grande sforzo fatto per costruirla; dell’antico e saggio Regno di Krull che l’aveva fabbricata diversi secoli prima, dei sette navigli che la ispezionavano costantemente per eseguire le riparazioni e riportare a Krull i prodotti del salvataggio; del modo in cui Krull era diventato un paese dove era piacevole vivere, governato dai piu grandi sapienti e del modo in cui essi cercavano costantemente di comprendere in ogni dettaglio la mirabile complessita dell’universo; del modo in cui i marinai abbandonati sulla Circonferenza erano fatti schiavi e di solito avevano tagliata la lingua. A questo punto, dopo alcune interiezioni, parlo in via amichevole della futilita d’impiegare la forza, dell’impossibilita di fuggire dall’isola, se nor con la barca, verso una delle altre trecentottanta isole situate tra la sua e il regno di Krull, oppure di saltare giu dall’Orlo. E del grande merito del mutismo paragonato a, diciamo, la morte.

Segui una pausa. Il rombo attutito nella notte del Rimfall serviva soltanto a fare risaltare il silenzio.

Quindi la poltrona a dondolo si rimise a cigolare. Sembrava che durante il monologo Tethis fosse cresciuto in maniera allarmante.

— In tutto questo non c’e nulla di personale — aggiunse. — Anch’io sono uno schiavo. Se cercate di avere la meglio su di me, saro costretto a uccidervi, naturalmente, ma non mi dara nessun piacere.

Scuotivento guardo i pugni luccicanti posati in grembo al troll. Li sospettava capaci di colpire con tutta la forza di un maremoto.

— Non credo che tu capisca — disse Duefiori. — Io sono un cittadino dell’Impero Dorato. Sono sicuro che Krull non desidererebbe incorrere nel corruccio dell’Imperatore.

— Come potra saperlo l’imperatore? — chiese il troll. — Pensi di essere la prima persona proveniente dall’Impero che sia finita nella Circonferenza?

— Io non saro uno schiavo — grido Scuotivento. — Piuttosto io… io salterei giu dall’Orlo! — Si meraviglio lui stesso del suono della propria voce…

— Davvero? — disse il troll. La sedia a dondolo ando a sbattere contro la parete e un braccio azzurro afferro il mago per la vita. Un attimo dopo il troll usciva dalla capanna tenendo con noncuranza nel suo pugno Scuotivento. Non si fermo se non quando si trovo sul limite dell’isola dalla parte della cascata. Scuotivento strillava.

— Piantala o ti butto davvero di sotto — sbotto il troll. — Ti sto reggendo, no? Guarda.

Il mago guardo.

Davanti a lui si estendeva la notte nera dove le stelle brillavano pacifiche. Ma il suo sguardo si abbasso, attirato da una seduzione irresistibile.

Sul Disco era mezzanotte e pertanto il sole oscillava lentamente molto molto piu giu. sotto la vasta corazza ghiacciata della Grande A’Tuin.

Scuotivento si sforzo un’ultima volta di fissare lo sguardo sulla punta dei suoi stivali, che sporgevano dall’orlo della roccia, senza riuscirci.

Su entrambi i lati due scintillanti cortine d’acqua si precipitavano verso l’infinito mentre il mare batteva le coste dell’isola nel suo cammino verso l’enorme cascata. Un centinaio di metri piu in basso il piu grosso salmone che avesse mai visto salto fuori dalla schiuma, in un ultimo disperato frenetico grido. Poi ricadde, piu e piu volte, nella luce dorata del mondo sommerso.

Ombre gigantesche si levarono da quella luce come pilastri che sorreggessero il tetto dell’universo. Centinaia di chilometri in basso il mago scorse l’ombra di qualcosa, il bordo di qualcosa…

Come quei curiosi quadretti in cui la sagoma di un bicchiere finemente decorato diventa improvvisamente il contorno di due volti, la scena sotto a lui acquisto una nuova, terrificante prospettiva. Perche laggiu c’era la testa di un elefante grosso come un continente di proporzioni medie. Una zanna possente risaltava come una montagna contro la luce dorata e disegnava verso le stelle un’ombra che si andava allargando. La testa era leggermente inclinata di lato e si scorgeva un enorme occhio di rubino, quasi una super-gigante rossa che avesse trovato il modo di brillare a mezzogiorno.

Sotto l’elefante…

Scuotivento degluti e cerco di non pensare…

Sotto l’elefante non c’era nulla se non il distante disco del sole. Lo oltrepassava lentamente un qualcosa che, malgrado le sue squame delle dimensioni di una citta, la sua rocciosita lunare e i suoi buchi come crateri, era senza dubbio una pinna.

— Ti debbo lasciare? — suggeri il troll.

— Noo — disse Scuotivento, tirandosi indietro con tutte le sue forze.

— Ho vissuto per cinque anni qui su! Bordo e non ho avuto il coraggio — dichiaro Tethis con il suo vocione. — E nemmeno tu, se sono buon giudice. — Indietreggio e lascio che l’altro si buttasse a terra.

In quel momento arrivo Duefiori, che abbasso lo sguardo. — Fantastico — esclamo. — Se soltanto avessi la mia scatola a immagini… Che altro c’e laggiu? Voglio dire, se uno si butta, che cosa vedrebbe?

Tethis si sedette su una roccia sporgente. La luna apparve da dietro una nube e gli dette l’apparenza dei ghiaccio.

— Forse la mia casa si trova laggiu — disse lentamente. — Oltre i vostri stupidi elefanti e quella ridicola tartaruga. Un mondo vero. A volte vengo qui e guardo, ma non riesco mai a decidermi a fare quell’ultimo passo… Un mondo vero, con gente vera. Ho moglie e bambini, da qualche parte laggiu… — S’interruppe e si soffio il naso. — Si impara presto di che cosa si e fatti, qui sul Bordo.

— Smettila di dirlo, ti prego — gemette Scuotivento. Si volto e vide Duefiori ritto proprio sull’orlo della roccia. — Nooo — disse e cerco di cacciarsi dentro la pietra.

— C’e un altro mondo laggiu? — chiese Duefiori, sporgendosi a guardare. — Dove, esattamente?

Il troll fece un gesto vago. — Da qualche parte. E tutto cio che so. E un mondo piccolissimo. Quasi tutto azzurro.

— Allora perche sei qui?

— Non e ovvio? — scatto Tethis. — Sono caduto dal Bordo!

Racconto loro del mondo di Bathys, da qualche parte tra le stelle, dove la gente del mare aveva creato floride civilta nei tre grandi oceani che si estendevano sul suo disco. Lui aveva l’incarico di procurare la carne e come tale apparteneva alla casta che si guadagnava la vita in mezzo ai pericoli e viveva in grandi yacht a vela; questi si avventuravano nell’entroterra per cacciare le mandrie di cervi e di bufali che abbondavano nei continenti battuti dagli uragani. Una improvvisa bufera di vento aveva spinto la sua imbarcazione in terre non segnate sulle mappe. Il resto dell’equipaggio aveva preso il piccolo carrello a remi dello yacht e si era diretto a un lago lontano. Ma Tethis, essendo il capitano, aveva scelto di rimanere con il suo vascello. L’uragano l’aveva trasportato via e sbattuto giu dal confine del mondo e ridotto la sua imbarcazione a un mucchio di rottami.

— All’inizio sono caduto — prosegui Tethis — ma cadere non e poi tanto male, sapete. Atterrare e cio che fa male, e la sotto di me non c’era niente. Mentre cadevo vedevo il mondo roteare nello spazio finche lo persi tra le stelle.

— E dopo cosa e accaduto? — domando Duefiori con il fiato sospeso e con un’occhiata verso il nebbioso universo.

— Diventai un pezzo di ghiaccio. Per fortuna e una cosa alla quale la mia razza puo sopravvivere. Ma di tanto in tanto, passando accanto ad altri mondi, mi sgelavo. Ce n’era uno… Credo fosse quello che mi era sembrato circondato da montagne e che invece si rivelo essere il piu grosso drago che potreste mai immaginare: coperto di neve e di ghiacciai, con la coda in bocca… Be’, ci sono arrivato a pochi chilometri di distanza (in effetti passavo con la velocita di una cometa) e poi mi sono allontanato di nuovo. Poi a un certo punto mi sono svegliato e il vostro mondo mi veniva incontro come una torta di crema lanciata dal Creatore e, be’, finii in mare non lontano dalla Circonferenza, nella direzione opposta a Krull. Ogni sorta di creature erano spinte dal mare contro la Palizzata e all’epoca stavano cercando gli schiavi per presidiare le varie stazioni, e io sono finito qui. — Si fermo e fisso Scuotivento. — Ogni notte vengo qui e guardo giu — riprese — e non salto mai. Il coraggio e una merce difficile, qui sul Bordo.

Il mago prese a strisciare risoluto verso la capanna e si mise a gridare quando il troll lo raccolse con garbo e lo rimise in piedi.

— Straordinario — esclamo Duefiori, sporgendosi per guardare in basso.

— Ci sono un sacco di altri mondi laggiu?

— Parecchi, immagino.

— Suppongo che si potrebbe escogitare una specie di… Non so, una cosa per ripararsi dal freddo — disse l’ometto pensieroso. — Una qualche nave per veleggiare al di la del Bordo e anche verso mondi lontani. Mi chiedo…

— Non ci pensare nemmeno! — gemette Scuotivento. — Smettila di parlare cosi, mi senti?

— A Krull parlano tutti cosi — affermo Tethis.

— Naturalmente quelli che hanno una lingua — aggiunse.

— Sei sveglio?

Duefiori continuo a russare e Scuotivento lo colpi malignamente nelle costole.

— Ho detto: sei sveglio?

— Scrdfngh…

— Dobbiamo andarcene da qui prima dell’arrivo di questa flotta di salvataggio!

La luce smorta dell’alba filtro attraverso l’unica finestra della capanna e striscio sulle pile di casse salvate dai naufragi e sulle balle sparse all’interno. Duefiori grugni di nuovo e cerco di sprofondare nella pila di pellicce e coperte che Tethis aveva dato loro.

— Guarda, qui dentro c’e ogni sorta di armi e di materiale — disse Scuotivento. — Lui e andato da qualche parte. Quando torna potremo sopraffarlo e… be’, poi possiamo pensare a una soluzione. Che ne dici?

— Che non mi sembra una buona idea. In ogni modo e un po’ scortese, no?

— Accidenti! — esclamo irritato Scuotivento. — Questo e un universo scomodo.

Frugo tra le pile ammucchiate lungo le pareti e scelse una pesante scimitarra ricurva, che probabilmente aveva fatto la gioia e l’orgoglio di qualche pirata. Era il tipo d’arma che per arrecare danno conta tanto sul peso che sul filo della lama. La sollevo goffamente.

— Il troll lascerebbe in giro un oggetto simile se potesse fargli del male? — si chiese ad alta voce Duefiori.

Scuotivento non gli bado e si apposto dietro la porta. Quando questa si apri, una decina di minuti dopo, si mosse senza esitare e roteo l’arma a quella che giudicava dovesse essere l’altezza della testa del troll. La lama sibilo attraverso il nulla e ando a colpire lo stipite della porta, facendogli perdere l’equilibrio e mandandolo a finire in terra.

Udi un sospiro e alzo gli occhi sul viso di Tethis, che scuoteva triste la testa.

— Non mi avrebbe fatto male — disse il troll — e tuttavia mi hai ferito. Profondamente ferito. — Allungo una mano e sfilo la spada dal legno. Senza sforzo apparente piego la lama fino a ridurla a un circolo e la scaravento sulle rocce dove rimbalzo fino a che urto una pietra, scatto in aria, sempre roteando, e descrisse un arco d’argento che fini nella foschia che si formava sopra il Rimfall.

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