«Si» rispose lei. «Certissima.»
Si stavano avvicinando a una panchina, e non appena ci poso sopra gli occhi, a Richard parve fosse uno degli oggetti piu desiderabili che avesse mai visto. «Possiamo sederci?» domando.
Lei si strinse nelle spalle, e si sedettero agli estremi opposti della panchina.
«Fino a venerdi» disse Richard «lavoravo da uno dei migliori analisti finanziari di Londra.»
«Che cosa fa un analista eccetera?»
«Lavora.»
Lei annui soddisfatta. «Bene. E…?»
«In realta lo stavo solo ricordando a me stesso. Ieri… era come se non esistessi piu per nessuno, qui sopra.»
«E perche e cosi» spiego Anestesia.
Una coppia di nottambuli, che si era mossa nella loro direzione camminando lentamente lungo l’argine, tenendosi per mano, aveva preso posto sulla panchina, nel mezzo, proprio tra Richard e Anestesia. I due avevano cominciato a baciarsi, appassionatamente.
«Scusate» disse loro Richard.
L’uomo aveva infilato una mano sotto al maglione della donna e la muoveva in qua e in la con grande entusiasmo, un viaggiatore solitario alla scoperta di un continente inesplorato.
«Rivoglio la mia vita» disse Richard alla coppia.
«Ti amo» disse l’uomo alla donna.
«Ma tua moglie…» fece lei, dandogli una leccatina vicino all’orecchio.
«Che vada a scopare il mare» rispose l’uomo.
«Non mi frega di quello che si scopa lei» commento la donna con una risatina da ubriaca. «Basta che io possa scoparmi te…» Gli mise una mano tra le cosce e ridacchio piu forte.
«Andiamo» disse Richard a Anestesia, sentendo che la panchina cominciava a diventare un luogo meno piacevole, quindi si alzarono e si allontanarono. Incuriosita, Anestesia si volto a sbirciare la coppia che stava gradualmente assumendo una posizione sempre piu orizzontale.
Richard non disse nulla.
«Qualcosa non va?» chiese Anestesia.
«Assolutamente tutto» rispose Richard. «Hai sempre vissuto di sotto?»
«No. Sono nata qui» esito. «Non credo ti interessi sapere di me.»
Richard si rese conto, con una certa sorpresa, che invece gli interessava. «Sbagli.»
La ragazza si mise a giocherellare con le perline di quarzo infilate nella collana che aveva al collo, poi inizio a parlare, senza guardarlo.
«La mamma ha avuto me e le mie sorelle, ma e diventata un po’ strana nella testa. La signora e venuta e si e presa cura delle mie sorelle, e io sono andata a stare da mia zia. Lei viveva con quel tizio. Mi faceva sempre male. Faceva delle cose. L’ho detto alla zia e lei mi ha picchiata. Diceva che mentivo. Diceva che mi portava dalla polizia. Ma io non mentivo. Percio sono scappata. Era il giorno del mio compleanno.»
Avevano raggiunto l’Albert Bridge, piu che un ponte un monumento kitsch da cui pendevano migliaia di lucine gialle.
«Faceva cosi freddo» continuo Anestesia, poi fece una pausa. «Dormivo per strada. Dormivo di giorno, quando faceva un pochino piu caldo, e andavo in giro di notte, tanto per muovermi. Avevo undici anni. Per mangiare rubavo il pane e il latte davanti alle case. Odiavo farlo. Giravo nelle strade dei mercati e prendevo le mele marce e le arance e le cose che gli altri buttavano. Vivevo sotto un cavalcavia a Notting Hill. Poi mi sono ammalata per davvero. Quando sono rinvenuta ero a Londra Sotto. Mi avevano trovata i ratti.»
«Hai mai cercato di ritornare a tutto questo?» chiese, indicando le case silenziose, calde e deserte. Le auto nella notte. Il mondo reale…
Scosse il capo.
«Mi dispiace» disse Porta con voce esitante. Aveva ancora gli occhi rossi.
Il Marchese, che si era divertito giocando un gioco degli astragali con delle ossa e delle monete antiche, la guardo. «Davvero?»
Si mordicchio il labbro inferiore. «No. Veramente no. Non mi dispiace. Ho corso e mi sono nascosta e ho corso cosi tanto che… questa e stata la prima occasione per…» Si interruppe.
Il Marchese raccolse le monete e le ossa e le ripose in una delle sue tante tasche.
«Dopo di te» disse.
La segui di nuovo alla parete di quadri. Lei appoggio una mano sull’immagine dello studio di suo padre, e con l’altra afferro la manona del Marchese.
… La realta si alterava…
«Ciao, papa» disse Porta sommessamente.
Sfioro il busto del padre con le dita, accarezzandogli una guancia. Un uomo magro, ascetico, quasi calvo.
Quadro: studio di Lord Portico.
Osservo la stanza, gli occhi che passavano da un dettaglio all’altro. Il coccodrillo impagliato che pendeva dal soffitto; i libri, un astrolabio, specchi, curiosi strumenti scientifici; sui muri c’erano delle mappe; una scrivania, coperta di lettere.
La parete bianca dietro la scrivania era deturpata da una macchia rosso-marrone.
Sulla scrivania c’era un piccolo ritratto della famiglia di Porta. Il Marchese lo studio attentamente.
«Tua madre e tua sorella. Tuo padre. E tuo fratello. Tutti morti. E
Abbasso la mano. «Sono stata fortunata. Ero andata in esplorazione per qualche giorno… sapevi che ci sono ancora dei soldati romani accampati vicino al fiume Kilburn?»
Il Marchese non lo sapeva, e la cosa lo metteva di malumore. «Hmm. Quanti?»
Lei si strinse nelle spalle. «Poche decine. Erano disertori dalla diciannovesima legione, credo. Il mio latino e un po’ approssimativo. Comunque, quando sono tornata qui…»
Fece una pausa e degluti, gli occhi dallo strano colore colmi di lacrime.
«Ricomponiti» disse bruscamente il Marchese. «Ci serve il diario di tuo padre. Dobbiamo scoprire chi e stato.»
Lo guardo con disapprovazione. «Sappiamo gia chi e stato: Croup e Vandemar…»
Lui allargo una mano, e parlo agitando le dita. «Loro sono braccia. Mani. Dita. Ma c’e un cervello dietro a tutto questo, e vuole morta anche te. Quei due non costano certo poco.»
Si guardo intorno nello studio in disordine.
«Il suo diario?» domando il Marchese.
«Non e qui» rispose Porta. «Te l’ho detto. Ho guardato.»
«Avevo l’errata convinzione che la tua famiglia fosse particolarmente abile nell’individuare aperture, evidenti oppure no.»
Lei lo guardo in cagnesco. Poi chiuse gli occhi e mise pollice e indice ai lati del proprio dorso nasale.
Il Marchese esamino gli oggetti sulla scrivania di Portico. Un calamaio; un pezzo degli scacchi; un dado in osso; un orologio d’oro da taschino; svariate penne d’oca e…
Era una statuina che rappresentava un cinghiale, o un orso accucciato, o forse un toro. Difficile a dirsi. Aveva le dimensioni di un pezzo degli scacchi piuttosto grande ed era stato intagliato grossolanamente in un blocco di ossidiana nera. Gli ricordava qualcosa, ma non avrebbe saputo dire cosa.
Lo prese in mano, lo volto. Lo avvolse con le proprie dita.
Porta abbasso la mano. Pareva perplessa e confusa.
«Cosa c’e?» domando il Marchese.
«E qui» rispose, semplicemente. Inizio a camminare su e giu per lo studio, la testa piegata ora da un lato ora dall’altro.
Il Marchese fece scivolare la statuina in una tasca interna.
Porta era in piedi davanti a un mobiletto alto. «Qui» disse. Allungo la mano: si udi un click e si apri un piccolo pannello laterale. Porta infilo la mano nella cavita buia, e ne estrasse qualcosa all’incirca della forma e delle dimensioni di una palla da cricket. La passo al Marchese.
Era una sfera, realizzata in ottone antico e legno pregiato, con inserti in rame lucido e lenti di vetro.
Gliela tolse di mano.
«E questo?»
Lei annui.
«Ottimo.»
Aveva un’aria seria. «Non so come ho fatto a non trovarlo prima.»
«Eri sconvolta» disse il Marchese. «Ero certo che fosse qui. E io mi sbaglio cosi di rado. Ora…» e sollevo il piccolo globo di legno. La luce colpi i vetri e rimbalzo dal rame all’ottone.
Gli scocciava moltissimo, ma lo disse comunque: «Come funziona?»
Anestesia aveva portato Richard in un piccolo parco sull’altro lato del ponte, poi gli aveva fatto scendere dei gradini di pietra accanto a un muro. Aveva riacceso la candela e aperto una porta di servizio, che si era poi richiusa alle spalle.
Scesero alcuni scalini, circondati dall’oscurita.
«C’e una ragazza che si chiama Porta» disse Richard. «E poco piu giovane di te. La conosci?»
«Lady Porta. So chi e.»
«Quindi, a quale, hmm, baronia appartiene?»
«Nessuna baronia. E della casata degli Arch. La sua famiglia era molto importante.»
«Era? Perche non lo e piu?»
«Qualcuno li ha uccisi.»