Gia, ricordava che il Marchese aveva detto qualcosa al riguardo.

Un ratto attraverso loro la strada. Anestesia si fermo sui gradini e fece un profondo inchino. Il ratto indugio un attimo.

«Sire» disse la ragazza.

«Ciao» fece Richard.

Il ratto li guardo il tempo di un battito di ciglia e si lancio giu dalle scale.

«Allora» disse Richard. «Cos’e un mercato fluttuante?»

«E molto grande» rispose Anestesia. «Ma i parla-coi-ratti non ci vanno quasi mai. A dire la verita…» Esitava a continuare. «No. Rideresti di me.»

«No di certo» disse Richard, convinto.

«Be’,» disse la ragazza magra «ho un po’ di paura.»

«Paura? Del mercato?»

Erano arrivati in cima alla scala. Anestesia era indecisa, poi giro a sinistra. «Oh, no. Durante il mercato c’e l’armistizio. Se uno fa del male a un altro, tutta Londra Sotto gli si riversa addosso come una tonnellata di acqua di scarico.»

«E allora di cosa hai paura?»

«Di arrivarci. Lo tengono ogni volta in un posto diverso. Si sposta. E per arrivare nel posto dove sara stasera…» prese a giocherellare nervosamente con le perline di quarzo che aveva al collo. «Dovremo attraversare un quartiere proprio brutto.» Sembrava davvero spaventata.

Richard represse l’istinto di passarle un braccio intorno alle spalle.

«E dove sarebbe?» chiese.

Si volto verso di lui, si tolse i capelli dagli occhi e disse, «Night’s Bridge, il ponte della notte.»

«Vorrai dire Knightsbridge, il ponte dei cavalieri» ribadi Richard, mettendosi a ridacchiare piano per quella pronuncia che falsava il senso.

Lei si allontano seccata. «Visto?» disse. «L’avevo detto che avresti riso.»

I tunnel profondi erano stati costruiti negli anni Venti per un tratto ad alta velocita della Northern Line. Durante la seconda guerra mondiale, le truppe acquartierate la erano migliaia, e i loro rifiuti dovevano essere pompati al livello superiore, cioe quello delle fogne, con l’aria compressa: entrambi i lati dei tunnel erano stati ricoperti da letti a castello di metallo. Al termine della guerra i letti a castello rimasero dov’erano, e sulle loro basi di rete vennero ammassate delle scatole di cartone, ognuna delle quali conteneva lettere, schedari e carte: segreti del tipo piu stupido, depositati giu in fondo per essere dimenticati.

Il sistema economico aveva fatto chiudere definitivamente i tunnel profondi nei primi anni Novanta. Le scatole con i segreti erano state rimosse, per essere conservate nei computer, fatte a pezzi o bruciate.

Varney abitava nella parte piu profonda dei tunnel profondi, molto, molto al di sotto della metropolitana di Camden Town. Aveva impilato i letti a castello davanti all’unica entrata, quindi aveva realizzato delle decorazioni. A Varney piacevano le armi. Se le costruiva da solo, utilizzando cio che riusciva a trovare, a prendere o a rubare. Pezzi di auto e di macchinari venivano trasformati in uncini, coltelli a serramanico, balestre e baliste, piccoli mangani e trabocchi per rompere i muri, clave, spadoni e mazze ferrate. Se ne stavano appese alle pareti del tunnel profondo, oppure appoggiate in un angolo, con aria cattiva.

Varney aveva l’aspetto di un toro, se si riesce a immaginare un toro rasato, senza corna, ricoperto di tatuaggi e i cui denti avessero subito un crollo totale. E russava anche.

La lampada a olio accanto alla testa aveva la fiammella al minimo. Varney dormiva su un mucchio di stracci, russando e tirando su col naso, con l’elsa di una spada a due lame appoggiata al suolo a portata di mano.

Una mano fece aumentare l’intensita della lampada a olio.

Varney teneva stretta la spada a due lame prima ancora di avere aperto gli occhi. Sbatte le palpebre, guardandosi intorno. Non c’era nessuno: niente aveva scomposto la pila di letti a castello che bloccava la porta. Comincio ad abbassare la spada.

Una voce disse, «Psst.»

«Eh?» fece Varney.

«Sorpresa!» disse mister Croup entrando nel cerchio di luce.

Varney fece un passo indietro: grosso errore. Si trovo un coltello alla tempia, con la punta della lama accanto all’occhio.

«Non sono consigliati ulteriori movimenti» disse mister Croup, servizievole. «A mister Vandemar potrebbe accadere di avere un piccolo incidente con il suo vecchio infilza-rane. La maggior parte degli incidenti si verifica tra le mura domestiche. Non e forse vero, mister Vandemar?»

«Non credo alle statistiche» rispose la voce di mister Vandemar. Una mano guantata si protese alle spalle di Varney, gli piego la spada e la lascio cadere, deformata e ritorta, al suolo.

«Come stai, Varney?» chiese mister Croup. «Bene, c’e da augurarsi! E cosi? In piena forma, con fiocchi e controfiocchi, pronto per il mercato di stasera? Sai chi siamo?»

Varney fece la cosa piu simile a un cenno di consenso che non implicasse il movimento di alcun muscolo. Sapeva chi erano Croup e Vandemar.

Con gli occhi scrutava le pareti. Eccola li: la stella del mattino, la mazzafrusto: una sfera di legno munita di punte, ornata di chiodi, appesa a una catena, nell’angolo estremo della stanza…

«Si dice che una certa giovane signora concedera un’audizione per guardie del corpo, questa sera. Hai pensato di presentarti per il posto?» mister Croup si stuzzico i denti. «Enuncia con chiarezza.»

Con la forza della mente, Varney sollevo la stella del mattino. Era la sua specialita. Piano, ora… dolcemente… La tolse dal gancio e la spinse in alto verso la cima dell’arco del tunnel…

Con la bocca, disse, «Varney e il miglior bravo e guardia del corpo del Mondo di Sotto. Dicono che sono il migliore dai tempi di Hunter.»

Varney posiziono mentalmente la stella del mattino nell’ombra al di sopra e dietro la testa di mister Croup.

Per prima cosa spacchera il cranio di Croup, poi passera a Vandemar…

La stella del mattino precipito verso la testa di mister Croup: Varney si getto in basso, lontano dalla lama di coltello che gli pesava sull’occhio.

Mister Croup non guardo in alto. Non si volto. Si limito a spostare la testa, con una rapidita oscena, e la stella del mattino lo supero andando a fracassarsi a terra, spargendo intorno schegge di mattone e cemento.

Mister Vandemar afferro Varney con una mano. «Gli faccio male?» chiese al suo socio.

Mister Croup scosse il capo: non ancora. A Varney disse, «Tentativo passabile. Quindi, ’miglior bravo e guardia del corpo’, vogliamo che tu stasera vada al mercato. Vogliamo che tu faccia cio che serve per diventare la guardia del corpo personale di quella certa giovane signora. Poi, quando hai avuto il posto, c’e una cosa che non devi dimenticare. Puoi anche proteggerla dal resto del mondo ma quando siamo noi a volerla, noi ce la prendiamo. Capito?»

Varney si passo la lingua sui suoi ruderi di denti.

«Mi state corrompendo?» chiese.

Mister Vandemar aveva sollevato la stella del mattino. Con la mano libera stava smontando la catena, anello dopo anello, e lasciava cadere a terra i pezzi di metallo contorto. Tink.

«No» rispose mister Vandemar. Tink. «Ti stiamo intimidendo.» Tink. «E se non fai quello che dice mister Croup, noi ti…» tink «… faremo male…» tink «… molto male, prima di…» tink «… ucciderti, anche peggio.»

«Ah» fece Varney. «Allora lavoro per voi, non e cosi?»

«Si, e cosi» disse mister Croup. «Mi spiace dirlo, ma purtroppo non abbiamo lati positivi.»

«Questo non mi preoccupa» disse Varney.

«Bene» disse mister Croup. «Benvenuto a bordo.»

Si trattava di un marchingegno molto elegante, realizzato in legno di noce, ottone e vetro, rame e specchi, avorio intagliato e intarsiato, prismi di quarzo e ingranaggi di ottone, molle e ruote dentate. Il tutto risultava piu grande di un televisore, benche lo schermo vero e proprio non superasse i 15 centimetri. Era una lente d’ingrandimento sullo schermo stesso ad aumentare le dimensioni dell’immagine.

Dal lato sporgeva una grande tromba di ottone, simile a quelle che si trovano sui vecchi grammofoni. Il meccanismo aveva l’aspetto che avrebbe avuto un insieme di televisore e videoregistratore se gli stessi fossero stati inventati e costruiti trecento anni prima da Sir Isaac Newton. Cosa che non si distaccava poi molto dalla realta.

«Guarda» disse Porta.

Appoggio la sfera di legno su una piattaforma. Delle luci attraversarono la macchina e illuminarono la sfera, che comincio a girare e rigirare su se stessa.

Sul piccolo schermo apparve un viso aristocratico, vividamente colorato. Lievemente fuori sincrono, dalla tromba usci una voce crepitante, nel mezzo di un discorso.

«… Che due citta debbano essere cosi vicine e tuttavia in ogni cosa tanto lontane; i possidenti sopra di noi, e gli spodestati, noi che viviamo al di sotto e nel mezzo, che abitiamo nelle fenditure.»

Porta fissava lo schermo, pallida in volto.

«… Eppure sono dell’opinione che cio che rende mutilati, storpi, paralizzati noi abitanti del Mondo di Sotto sia la nostra gretta faziosita. Il sistema di baronie e feudi risulta divisivo e insensato.» Lord Portico indossava una giacca da casa vecchia e lisa, e una papalina. La sua voce sembrava giungere fino a loro attraverso i secoli, non risalire a poche settimane o giorni prima.

Tossi.

«Non sono il solo ad abbracciare tale convinzione. Ci sono alcuni che desiderano vedere le cose come stanno. Ci sono altri che desiderano che la situazione peggiori. Ci sono alcuni…»

«Puoi farlo andare piu veloce?» domando il Marchese.

Porta annui. Tocco una leva d’avorio posta di lato: l’immagine divenne poco piu che un’ombra, si frammento e si riformo.

Ora Portico indossava il cappotto. La papalina era sparita. Aveva un taglio profondo su un lato della fronte. Non era piu seduto alla scrivania, e parlava con tono pressante e sommesso. «Non so chi vedra questo, chi lo ritrovera. Ma chiunque siate, vi prego di portare questo a mia figlia, Lady Porta, se e ancora in vita…» Una scarica elettrostatica attraverso l’immagine e il sonoro.

«Porta? Ragazza mia, questo e male. Non so quanto tempo mi resta prima che scoprano questa stanza. Penso che la mia povera Ianua, tuo fratello e tua sorella siano morti.»

La qualita del suono e dell’immagine cominciava a peggiorare.

Il Marchese lancio un’occhiata a Porta. Aveva il viso umido: le lacrime traboccavano dai suoi occhi, lasciando una scia lucente sulle guance. Sembrava non rendersi conto di stare piangendo e non tentava in alcun modo di asciugare le lacrime. Si limitava a fissare l’immagine del padre e ad ascoltarne le parole.

Scrack. Bzzz. Scrack. «Ascoltami, ragazza mia» le disse il padre morto. «Va’ da Islington… puoi fidarti di Islington… Credimi… Islington…»

Divento un’ombra. Il sangue gli era sceso dalla fronte sugli occhi, e lo tolse con la mano. «Porta? Vendicaci. Vendica la tua famiglia.» Dalla tromba del grammofono si udi un forte bang. Portico volto il capo verso qualcosa non inquadrato nello schermo. Aveva un’aria stupita e impaurita. «Cosa…?»

Usci dall’inquadratura. Per un istante l’immagine rimase immutata: la scrivania, il muro bianco dietro di essa. Poi un arco di sangue rosso acceso schizzo quel muro.

Porta diede un colpetto a una leva laterale, facendo diventare grigio lo schermo, e si giro dall’altra parte.

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