limone. «E cosa stai cercando?» chiese Richard, il cui morale aveva ripreso leggermente quota.

«E una lunga storia» rispose la ragazza con tono solenne. «Al momento stiamo cercando un angelo di nome Islington.»

Richard scoppio a ridere. Non riusciva a frenarsi. C’era indubbiamente un po’ di isterismo, ma anche la stanchezza di chi e in qualche modo riuscito a credere a svariate decine di cose incredibili, senza neppure avere prima fatto una colazione decente. La sua risata echeggio nei tunnel.

«Un angelo?» disse ridacchiando confuso. «Che si chiama Islington come il quartiere?»

«Abbiamo molta strada da fare» disse Porta.

E Richard scosse il capo, sentendosi spremuto, svuotato e defraudato.

«Un angelo» bisbiglio ai tunnel e al buio. «Un angelo!»

Il Gran Salone era tutto ricoperto di candele. C’erano candele accanto ai piloni di ferro che sostenevano il soffitto. Candele in attesa vicino alla cascatella che scendeva da un muro e nel piccolo stagno scavato nella roccia sottostante. Candele raggnippate ai lati del muro di roccia. Candele ammassate sul pavimento. C’erano candele nei candelabri che facevano ala alla grande porta tra due neri piloni di ferro. La porta era realizzata con liscia silice nera inserita in una base d’argento che si era scurita con il passare dei secoli diventando quasi nera anch’essa.

Le candele erano spente, ma al suo passaggio guizzanti fiammelle prendevano vita. Nessuna mano le aveva toccate, nessun fuoco aveva sfiorato i loro stoppini. Il suo abito era semplice e bianco; o piu che bianco. Un colore, o un’assenza di colore, cosi luminoso da far trasalire. Aveva i piedi nudi sul freddo pavimento di roccia del Gran Salone. Il viso era pallido, saggio e gentile; e, forse, un po’ malinconico.

Era molto bello.

E in un attimo, tutte le candele del Salone erano accese.

Si arresto presso lo stagno nella roccia; si inginocchio vicino all’acqua, mise le mani a coppa, le tuffo nel liquido cristallino e bevve. L’acqua era molto fredda, ma anche molto pura. Terminato di bere chiuse gli occhi per un istante, quasi stesse benedicendo.

Quindi si alzo e se ne ando per dove era venuto, attraversando il Salone; e quando passava le candele si spegnevano, come avevano fatto per decine di migliaia di anni.

Non aveva ali, eppure era senza alcun dubbio un angelo. Islington lascio il Gran Salone, anche l’ultima candela si spense e torno il buio.

SEI

Richard scrisse mentalmente un appunto per il suo diario.

Caro Diario, comincio, venerdi avevo un lavoro, una fidanzata, una casa e una vita che aveva senso. (Be’, per quanto senso possa avere qualunque vita). Poi ho trovato una ragazza ferita e sanguinante sul marciapiede e ho cercato di fare il Buon Samaritano. Adesso non ho piu fidanzata, ne casa, ne lavoro, e me ne vado in giro a quasi un centinaio di metri sotto le strade di Londra con un’aspettativa di vita pari a quella di un’efemera.

«Da questa parte» disse il Marchese.

«Ma non sembrano tutti uguali questi tunnel?» chiese Richard, mettendo temporaneamente da parte le annotazioni per il diario. «Come si fa a capire qual’e uno e qual’e l’altro?»

«Non si capisce» disse il Marchese. «Infatti ci siamo irrimediabilmente persi. Non ci troveranno mai piu. Tra un paio di giorni ci uccideremo a vicenda per procurarci il cibo.»

«Sul serio?»

«No.»

Richard riprese a redigere il diario mentale.

Ci sono centinaia di persone in quest’altra Londra. Forse migliaia. Persone che provengono da qui o persone che sono cadute nelle fenditure. Io sto vagando senza meta con una ragazza che si chiama Porta, la sua guardia del corpo e il suo psicotico gran visir. La notte scorsa abbiamo dormito in un piccolo tunnel che secondo Porta una volta era una sezione della fognatura del quartiere di Regency. Quando mi sono addormentato, la guardia del corpo era sveglia, e lo era anche quando mi hanno svegliato. Credo non dorma mai. Per colazione abbiamo avuto della torta di frutta; il Marchese ne aveva in tasca un bel pezzo. Perche mai qualcuno dovrebbe tenersi in tasca delle fette di torta di frutta? Mentre dormivo mi si sono asciugate le scarpe. Quasi del tutto.

Voglio andare a casa.

E sottolineo mentalmente l’ultima frase per tre volte, la riscrisse a caratteri cubitali con l’inchiostro rosso e ci fece intorno un circoletto, prima di aggiungere punti esclamativi a profusione sul margine mentale li a fianco.

Per lo meno il tunnel in cui stavano procedendo era asciutto. Era un tunnel high-tech: tutto tubi d’argento e muri bianchi.

Il Marchese e Porta camminavano insieme, davanti. Hunter si spostava in continuazione: a volte era dietro di loro, a volte su un lato o sull’altro, spesso li precedeva di qualche passo, fusa con le ombre. Quando si muoveva non produceva alcun rumore, fatto che Richard trovava piuttosto sconcertante.

Davanti a loro spunto una luce.

«Ci siamo» disse il Marchese. «E la stazione di Bank. Ottimo posto da cui cominciare le ricerche.»

«E fuori di testa» commento Richard. Non intendeva farsi sentire, ma anche la piu sotto delle voci si diffondeva e riecheggiava nell’oscurita.

«Davvero?» disse il Marchese.

Il terreno comincio a rimbombare: un treno della metropolitana, da qualche parte, molto vicino.

«Richard, lascia perdere» disse Porta.

Ma ormai gli stava uscendo di bocca: «Be’,» disse «vi state comportando da sciocchi tutti e due. Non esistono gli angeli.»

Il Marchese annui commentando, «E gia, certo. Adesso si che ti capisco. Gli angeli non esistono. Cosi come non esiste una Londra Sotto, ne parla-coi-ratti, ne pastori a Shepherd’s Bush.»

«Non ci sono pastori a Shepherd’s Bush solo perche si chiama ’boschetto dei pastori’» puntualizzo seccamente Richard.

«Ci sono» disse Hunter dall’oscurita, proprio accanto al suo orecchio. «Prega di non incontrarli mai.» Sembrava serissima.

«Dite quello che volete,» riprese Richard «ma io continuo a non credere che qui sotto si aggirino stuoli di angeli.»

«Non stuoli di angeli» preciso il Marchese. «Un angelo.» Erano giunti alla fine del tunnel. Davanti a loro c’era una porta chiusa a chiave. Il Marchese si fece da parte. «Mia signora?» disse a Porta.

Lei appoggio per un attimo la mano sulla porta, che si apri senza far rumore.

«Forse» insistette Richard «intendiamo cose diverse. Gli angeli che ho in mente io sono tutti ali, aureole, trombe e pace-in-terra-agli-uomini-di-buona-volonta. »

«Esatto» disse Porta. «E proprio cosi: un angelo.»

Attraversarono la porta.

Istintivamente Richard chiuse gli occhi. Troppa luce, che gli trafiggeva la testa come un attacco di emicrania. Quando gli occhi si furono abituati al chiarore, Richard si accorse di trovarsi nel lungo tunnel pedonale che unisce le stazioni della metropolitana di Monument e Bank. Nei tunnel si aggiravano numerosi pendolari, nessuno dei quali diede ai quattro neppure un’occhiata di striscio.

Nel tunnel echeggiava il vivace lamento di un sassofono: I’ll Never Fall in Love Again di Burt Bacharach e Hal David, suonata neanche troppo male.

Richard si impose di non canticchiare.

Si stavano dirigendo verso Bank.

«Allora chi stiamo cercando» chiese con aria da innocentino. «L’angelo Gabriele? Raffaele? Michele?»

Passando davanti a una piantina del metro il Marchese indico col dito: «’Angel’, stazione dell’angelo: ’Islington’.»

Richard cambio argomento. «Sapete, un paio di giorni fa ho tentato di salire su un treno della metropolitana, ma non me lo ha permesso.»

«Devi solo fargli capire chi e che comanda, tutto qui» disse dolcemente Hunter, dietro di lui.

Porta si mordicchiava il labbro inferiore. «Questo ci lascera salire» disse. «Se riusciamo a trovarlo.»

Innamorarsi vuol dire stare sempre nell’occhio del ciclone… Io, no non mi innamoro piu…

Scesero qualche scalino e svoltarono a un angolo.

Il suonatore di sassofono aveva steso il cappotto davanti a se, sul pavimento del tunnel. Sul cappotto c’erano delle monete che parevano messe da lui stesso per convincere i passanti che chi li aveva preceduti aveva lasciato qualcosa.

Non si faceva imbrogliare nessuno.

Il suonatore di sassofono era estremamente alto; aveva i capelli neri fino alle spalle, e una lunga barba biforcuta che incorniciava degli occhi infossati e un naso severo. Indossava una maglietta sbrindellata e jeans macchiati di olio.

Quando i viaggiatori lo raggiunsero smise di suonare, tolse la saliva dall’imboccatura, riposiziono l’ancia e si lancio in un’interpretazione della canzone di Julie London Cry me a river.

Ora, dici mi dispiace…

Con sorpresa, Richard si rese conto che l’uomo poteva vederli — e che faceva del suo meglio per fingere di non riuscirci. Il Marchese si fermo di fronte a lui. Il lamento del sassofono si affievoli nervosamente. Il Marchese fece lampeggiare un largo e gelido sorriso.

«Sei Lear, vero?» chiese.

L’uomo annui circospetto. Le dita accarezzavano i tasti del sassofono.

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