Keller trasali. — Si, lo sono anch’io — ammise.
— Ma certo. L’obiettivita, non e vero? Come potresti negare di esserlo?
— Nemmeno tu lo neghi.
— Non ci penso affatto — confermo Byron. — Ma ti sbagli, credimi, se pensi la stessa cosa di Teresa.
— Non conosco Teresa.
— E per il suo bene. Tutto questo e per il suo bene.
Keller infilo la tessera magnetica nella fessura del tavolo e si alzo.
— Pensaci — disse Byron, perso di nuovo in qualche suo pensiero. — Tutto si muove in circolo. La ruota, Ray. Tutto ritorna.
L’ufficio di Leiberman si trovava in un edificio di modeste pretese sulle colline di Hollywood. I muri color pastello e l’insegna discreta lo rendevano simile a una clinica per aborti. Naturalmente, si trattava di molto di piu. Leiberman era il neurotecnico della Rete, l’ultima risorsa. Trapiantava suggeritori digitali su attori distratti, in modo che non avessero piu problemi a ricordare la loro parte e migliorava la loro presenza scenica o neutralizzava il terrore del palcoscenico con le sue preparazioni farmacologiche a base di psicodroghe a basso dosaggio. A volte innestava impianti AV per Angeli, come nel caso di Keller. Eseguiva chirurgicamente tutto cio che era possibile far sfuggire all’ispezione dei cani addestrati. Nel suo ufficio non c’erano registrazioni di nessun tipo; non comparivano ne nomi, ne note di accredito, ne numeri telefonici.
All’interno, la segretaria di Leiberman gli sorrise. Lui le presento il biglietto e il passaporto. Gli occhi della donna tradirono un lampo sinistro. — Entrate — gli disse.
Dietro la seconda porta c’era l’ambulatorio, una stanza tutta in vetro e cromo, con gli strumenti chirurgici appesi a dei cavi a molla che scendevano dal soffitto. Leiberman lo saluto e l’accompagno a una poltroncina. Era un uomo grasso, calvo, sensuale in modo volgare. Il camice gli tirava sul ventre.
— E un intervento breve — disse. — Togliete la camicia. Sedete.
La presa era incassata tra le spalle di Keller, vicino alla spina dorsale, un paio di millimetri sotto il derma.
— Un lavoro dell’esercito — gracchio il chirurgo riportando alla luce il minuscolo frammento di metallo e ripulendolo. Ma era semplice retorica professionale: la presa svolgeva ottimamente la sua funzione. Durante la sua prima visita Leiberman aveva effettuato un accurato esame neurologico e aveva ammesso che l’impianto era eccellente: i tentacoli sintetici, piu sottili di un capello, affondavano nel nervo ottico e nei gangli auditivi. Non avevano mai avuto bisogno di nuove tarature o di riparazioni. Il lavoro di Leiberman consisteva nell’aprire e chiudere la pelle, mantenendo sterile la presa, e inserire una memoria AV passiva per immagazzinare i dati di Keller.
— Ne fanno di nuove, molto buone, al giorno d’oggi — affermo il medico, prendendo la memoria AV da un involucro sigillato di perspex. Era piu piccola di come Keller la ricordava, un fiocco di neve tra i rebbi delle pinzette chirurgiche. — Con una di queste siete a posto per due anni di tempo reale, audio e video. Ed e anche piu robusta. Materiale nuovo, sapete.
Keller rimase seduto con il cranio immobilizzato in una ganascia metallica, mentre Leiberman lavorava. L’installazione della memoria e la verifica del funzionamento, provocarono l’invio di impercettibili impulsi EMF di ritorno nel cervello di Keller. Il suo campo visivo s’illumino e infiorescenze impossibili gli comparvero dietro le palpebre. L’irritazione repressa che sentiva ribollire dentro di se dall’ora di pranzo comincio rapidamente ad attenuarsi. Una resa, penso, ecco di cosa si trattava. Era la resa che lo aveva salvato. In quel guscio di ghiaccio, come Occhio Meccanico, Angelo Registrante, era al sicuro dalle devastazioni della memoria vera.
Si rilasso e sopporto il funzionamento difettoso dei suoi gangli visivi, cascate di fiamme color blu elettrico. Quelle visioni consumarono tutta la sua attenzione fino a quando Leiberman ritiro i suoi attrezzi e l’ambulatorio ritorno di colpo a fuoco.
— Siete a posto — dichiaro il medico.
Era vero. Lo sentiva. Niente di speciale, solo un’aura di accresciuta lucidita, che non aveva niente di fisiologico. La semplice certezza di essere di nuovo un Angelo. Tutto quello che vedeva e sentiva sarebbe stato registrato in silenzio sulla memoria molecolare che Leiberman aveva impiantato.
Si giro a guardare il neurochirurgo. Era un movimento diverso, ora, una carrellata e una messa a fuoco freddamente professionale.
Leiberman si acciglio. — Non fissatemi — protesto. — E indelicato.
L’impianto neurologico di Keller era stato installato in una base dell’Esercito a Santarem, durante il lungo conflitto brasiliano. Keller era stato spedito li dal fronte, sulla contesissima superstrada BR-364 di Rondonia, in una condizione che i medici militari avevano definito 'disfunzione emozionale'. Lui li aveva sorpresi chiedendo di essere impiegato come Angelo.
Ogni unita combattente aveva un Angelo. Era la politica dell’esercito. L’Angelo, in un plotone di fanteria, svolgeva essenzialmente la stessa funzione della scatola nera, il registratore di volo, collocato nella carlinga di un aereo, e
Naturalmente, dal punto di vista sociale, erano isolati. Ma era loro risparmiata l’angoscia dell’attesa: agli Angeli Registranti, per decisione del Corpo Medico, veniva data la precedenza assoluta in tutte le cure mediche.
Se morivano, i loro corpi dovevano essere recuperati.
In tutte queste regole e consuetudini, l’individualita dell’Angelo non veniva tenuta nella minima considerazione. Cio che importava era il suo impianto neurologico, la sua memoria AV, la sua decodificazione… ma era normale, penso Keller. Si trattava dell’Esercito.
L’ospedale di Santarem era un’unita molto libera. Le infermiere erano civili e i medici volontari. Era alloggiato in una sede di fortuna, un caseggiato dimesso, a un solo piano, ermeticamente chiuso per contrastare il traffico degli insetti. Keller fu sistemato in un reparto insieme a venti sconosciuti, accomunati dalla paura per l’intervento imminente. Tutti leggevano libri americani in edizione economica o guardavano i fumetti pornografici portoghesi che il martedi arrivavano a pacchi da San Paolo. Ascoltavano il ronzio degli aerei per il trasporto truppe e il sibilo dei condizionatori d’aria. Giocavano a carte. Uno dopo l’altro venivano portati via con la lettiga, e tornavano indietro a impianto effettuato.
Keller sapeva che l’intervento era pericoloso. Tutti lo sapevano. Nell’esercito si effettuavano decine di impianti al giorno, eppure continuavano ad essere pericolosi. Non c’era da stupirsene, visto che si trattava di mettere sottosopra il cervello. Il cervello era una cosa delicata, pensava Keller. Fragilissima. A invaderla con tutti quei fili c’era il rischio di rompere qualcosa. Prima di offrirsi volontario per diventare un Angelo, Keller aveva rubato un testo medico e lo aveva letto con attenzione. In teoria, la cosa era semplice. I fili in tessuto biosintetico vivente, erano studiati apposta per crescere all’interno del cervello senza danneggiarlo. Il tropismo indotto li portava a dirigersi verso la zona visiva del soggetto. Un processo automatico. Ma il libro riportava anche la sintomatologia relativa al fallimento dell’impianto, un elenco lungo e scoraggiante. Perdita parziale o totale del campo visivo, disfasia, afasia, disorientamento, perdita della memoria, indebolimento degli arti, appiattimento o disturbo delle reazioni emotive. Keller sentiva le mani sudate al solo pensarci. Ma era stato giudicato idoneo al lavoro e lui, senza esservi costretto, si era offerto volontario.
— Sara dura — lo avevano avvertito i medici. — Togliti dalla testa che sia uno scherzo. Se sei un Angelo, c’e un atteggiamento che devi coltivare con perseveranza: il
Keller comprese perfettamente. Byron gli aveva gia insegnato un po’ di Zen degli Angeli.
— Non sarai piu Raymond Keller. Dovrai imparare a lasciarti tutto dietro alle spalle, cio che vuoi e cio che ti importa. Sei un paio di occhi e un paio di orecchie. Nient’altro.
A lui era sembrata una situazione accettabile.
Quella notte, per la prima volta dopo un mese, aveva dormito un sonno senza sogni. La mattina dopo lo avevano portato in sala operatoria.
Di ritorno nell’appartamento, Keller si preparo un pasto leggero. Doveva perdere qualche chilo, in modo da disfarsi di Grossman come di una seconda pelle. Quando ebbe mangiato raduno il contenuto del frigorifero e della credenza, lo stipo in due grosse borse per la spesa, chiuse le borse e le porto giu nell’inceneritore comune del palazzo. Le borse scomparvero nello scivolo metallico, in un lampo di luce attinica.
Addio, Grossman.
Penso di bruciare le tessere, ma decise di rimandare. Prima avrebbe chiamato Lee Anne.
Lee Anne gli era stata fornita da una sexy-agenzia. Comperare il sesso a credito era stata una novita, per lui. Ma sembrava il genere di cose che Grossman avrebbe potuto fare. Aveva affittato Lee Anne con un contratto a breve termine, che poi aveva prolungato.
Lei comparve sul monitor del telefono, perfettamente in ordine, come sempre. Era un mistero come riuscisse a mantenere quella perfezione costante anche nel caso di una telefonata improvvisa, forse si trattava di una miglioria tecnica. Era bella, in maniera rigorosamente contemporanea, con gli zigomi eliminati, il viso a cuore, gli occhi azzurri incorniciati da luminosi raggi di mascara color arancio. Sorrideva, contenta di vederlo. O magari era solo un sorriso professionale.
— Parto — annuncio Keller, sentendosi gia a disagio nella parte di Grossman, che recitava per l’ultima volta.
— Per quanto tempo?
— Molto — rispose lui. — Devo rompere il contratto.
Lei rimase in silenzio per una frazione di secondo. — Avresti dovuto dirmelo.
— Mi dispiace. Non ne ho avuto il tempo.
— Bene. — Lei si strinse nelle spalle e sorrise. — Mi sarebbe piaciuto continuare. E stato un bel periodo. Il migliore.
Era una bugia, ma recitata cosi bene che Keller avverti una fitta di rimpianto. Tra loro non c’era stato niente, a parte cio che era previsto dal contratto, ma per un terribile momento Keller rischio di essere sopraffatto dal desiderio di confessarsi, di tradire l’impegno preso con Vasquez, di dirle com’era stata insopportabile la sua solitudine negli ultimi dieci anni. Peggio, avrebbe voluto trapassare lo schermo con un pugno, per cercare in qualche modo di toccarla attraverso quel groviglio microscopico di fili e fibre ottiche.
Il pensiero lo sconvolse. Keller si impose di sorridere, registro le sue scuse e saluto, con i pugni stretti contro i fianchi.
La preparazione al compito di Angelo aveva compreso un’infarinatura della dottrina Zen. Altruismo, coraggio, lucidita. Il sergente che gli aveva fatto da maestro era stato un Roshi della scuola Rinzai. Gli aveva parlato dei Tre Pilastri: grande fede, grandi dubbi, grande perseveranza. Condizionavano la mente, ed erano tassativi. I seguaci della disciplina credevano, e lo credeva anche Keller, che i satori si nascondessero davvero, come illuminazioni misteriose, nei laghi a corna di bue e nelle verdi isole dell’Amazzonia abitate dagli aironi.
Era come un luogo, penso Keller. Un luogo senza amore, ne solitudine, ne paura. Un luogo tranquillo e luminoso, in cui l’unica memoria era la memoria AV, limpida e mutevole.
Lui lo chiamava il Palazzo del Ghiaccio.
Vi aveva fatto ritorno ancora una volta.