di intelligenza piu alta alla quale, alla fine, noi cederemo. E probabilmente sara una forma inorganica, come questa. Ma sara qualcosa che noi stessi abbiamo creato, e possiamo progettarlo per il nostro bene, o per quello che noi definiamo il bene. Questa macchina non e stata progettata per il nostro bene, o, se lo e stata, qualcosa non ha funzionato.»
La donna fini di bere. Quello che lui diceva era molto probabile, anzi, piu che probabile: c’era in quanto lui diceva una sana logica che negli ultimi tempi le era sfuggita. Da bravo scienziato empirista, la Dawnay sentiva che in qualche modo doveva venire provato.
«Chi puo dirlo, se non lei?» gli chiese.
Fleming scosse il capo. «Nessuno di questa gente.»
«Potrei fare qualcosa io?»
«Lei?»
«Io ho accesso al calcolatore.»
Lui perse all’improvviso ogni interesse per il disco. Il suo viso si illumino come se dentro di lui si fosse acceso un circuito elettrico. «Si, perche no? Potremmo tentare un piccolo esperimento.» Sollevo dal tavolo il blocco sul quale aveva scritto la formula di Andre al negativo. «Ha qualcuno laggiu che possa introdurlo?»
«Andre?»
«No, non lei. Qualsiasi cosa lei faccia, Madeleine, non le dia la sua fiducia.»
La Dawnay si ricordo dell’operatore. Raccolse il blocco e Fleming le mostro la sezione che avrebbe dovuto introdurre.
«Non capisco piu nulla, devo ammetterlo,» disse. Poi depose il bicchiere e usci.
Attraversando il recinto, senti uscire dall’alloggio di Fleming le prime battute di un brano musicale di qualche postschonberghiano: poi si ritrovo nell’edificio del calcolatore dove si udiva solo il ronzio della macchina. Nella sala di controllo c’era Andre e un giovane operatore. Andre se ne stava ancora piu per conto suo da quando era successo l’incidente delle mani. Si aggirava per l’edificio del calcolatore come un fantasma e se ne allontanava raramente. Non faceva alcun tentativo di comunicare con chicchessia, e sebbene non avesse mai un atteggiamento ostile, era completamente riservata. Quando la Dawnay entro, la guardo con scarso interesse.
«Come va?» chiese la Dawnay.
«Abbiamo introdotto tutti i dati,» rispose Andre. «Credo che otterrete presto la formula.»
La Dawnay si allontano e raggiunse l’operatore all’unita di entrata. Era un giovane da poco laureato che si stava perfezionando, e che non faceva domande, ma eseguiva quanto gli veniva detto.
«Introduca anche questo.» La Dawnay gli diede il blocco. Lui lo pose sulla tastiera e comincio a battere.
«Cos’e?» chiese Andre sentendo il rumore.
«Una cosa che voglio mi venga calcolata.» La Dawnay la tenne lontana dal calcolatore fino a che il quadro di controllo, all’improvviso, prese a lampeggiare selvaggiamente.
«Cosa sta introducendo?» Andre allungo una mano verso il blocco e lesse. «Dove l’ha trovato?»
«E affar mio,» rispose la Dawnay.
«Perche si immischia in questa storia?»
«E meglio che ci lasci sole,» disse la Dawnay all’operatore. Quello, obbediente, si alzo e usci dalla stanza. Andre attese che fosse uscito.
«Non le voglio male,» disse poi, e nella sua voce non c’era passione, ma solo una grande forza. «Perche se ne immischia?»
«Come osa parlarmi cosi?» La Dawnay sentiva che la sua voce suonava debole e ridicola, ma non riusci a rispondere altrimenti. «Io ti ho creato. Io ti ho fatto.»
«Lei mi ha fatto?» Andre la guardo con disprezzo, poi si diresse al quadro di controllo e mise le mani sui terminali. Immediatamente le lampade si calmarono ma continuarono a lampeggiare per tutto il tempo che la ragazza rimase li, forte e sicura come una giovane dea. Dopo un minuto si scosto, guardo la Dawnay.
«Ci stiamo stancando parecchio di questo… questo giochetto,» disse calma, come se stesse trasmettendo un messaggio. «Ne lei, ne il dottor Fleming, ne alcun altro puo mettersi tra noi.»
«Se cerchi di farmi paura…»
«Non so cosa abbia messo in macchina. Non posso assumermene la responsabilita.» Sembrava che Andromeda fissasse qualcosa al di la della Dawnay. Rumorosamente, la stampa-dati di uscita si mise in azione, e la Dawnay a quel suono si mosse. Segui Andre fino al calcolatore, e quando arrivo il messaggio era finito. Andre esamino il foglio, poi lo strappo dal rotolo e glielo passo.
«La formula del suo enzima.»
«Tutto qui?» La Dawnay provava una sensazione di sollievo.
«Non le basta?» chiese Andre e l’osservo andarsene con viso fermo e ostile.
La Dawnay aveva tre assistenti che lavoravano con lei in quel periodo: un chimico ricercatore e due aiutanti perfezionandi, un ragazzo e una ragazza. Tutti insieme lavorarono a una sintesi chimica basata sulla nuova formula. Questa sintesi comportava un certo lavoro di manipolazione, ma poiche non aveva un effetto irritante, nessuno di loro se ne preoccupava. Nel giro di un paio di giorni, tuttavia, cominciarono tutti a sentire segni di stanchezza e di deperimento. Sembrava che non ci fosse motivo alcuno, e continuarono a lavorare ma alla fine del terzo giorno, la ragazza ebbe un collasso e il mattino seguente la Dawnay e l’uomo erano altrettanto malandati.
Hunter li porto all’infermeria, dove furono presto raggiunti dal ragazzo. Di qualsiasi natura fosse la malattia, il suo corso si faceva sempre piu veloce; non si avevano febbre o infiammazioni, ma le vittime deperivano, semplicemente. Le cellule morivano, i processi di base del metabolismo rallentavano o si fermavano, e uno dopo l’altro gli ammalati si indebolirono finendo in coma. Hunter era disperato e fece appello a Geers che mise a tacere tutta la faccenda.
Fleming non venne a conoscenza dei particolari fino al quarto giorno, quando Judy ruppe il silenzio per parlargliene. Telefono subito a Reinhart e gli chiese di venire da Bouldershaw; e persuase Judy a trovargli una certa carta. Quando Judy gliela diede si rinchiuse con essa per tutta la notte nel suo alloggio e ne usci il mattino seguente, sfinito ma soddisfatto. Ma ormai la ragazza era morta.
11
Antidoti
Quando Fleming arrivo all’infermeria, le stavano coprendo il viso. Gli altri tre giacevano silenziosi e immobili nei loro letti, i visi tesi, pallidi come il cuscino. La Dawnay, che occupava la cabina accanto a quella della ragazza, veniva tenuta in vita esclusivamente con trasfusioni di sangue. Stava immobile come il marmo: pareva la statua funeraria di qualche vecchio guerriero. Rimase a guardarla finche Hunter lo raggiunse.
«Che cosa vuole?» Hunter era ridotto a uno straccio. Rinuncio alla fatica di apparire educato con Fleming.
«E colpa mia,» disse Fleming, guardando il viso distrutto che riposava sul guanciale.
Hunter quasi rise. «L’umilta per lei e cosa nuova.»
«Come vuole, allora, non era colpa mia.» Fleming si volse di scatto, gli occhi scintillanti: trasse di tasca i fogli: «Ma vengo per darle questi.»
Hunter prese con sospetto le carte. «Cos’e?»
«La formula dell’enzima.»
«Come diavolo ne e venuto in possesso?»
Fleming sospiro. «Illegalmente. Come tutto quel che devo fare.»
«La terro io, se non le spiace,» disse Hunter. Lo guardo di nuovo. «Perche e cancellata?»
«Perche e sbagliata.» Fleming tolse il foglio superiore per mostrare quello di sotto. «Ecco la formula esatta. Sara bene farlo preparare alla svelta.»
«La formula giusta?» Hunter aveva un’aria un po’ confusa.
«Quella che il calcolatore ha dato alla Dawnay era un’inversione di quella che lei voleva. Ha messo il negativo al posto del positivo, come era in realta, per ripagarla di un piccolo scherzo che gli avevo fatto.»