esattamente delle stesse parole che ho adoperato oggi. Questi test richiedono che la procedura sia la stessa ogni volta».

«Ci credero quando l’avro udito.»

I due si sono scambiati un’occhiata. Ho sentito il sangue affluirmi di nuovo al viso. Stavano ridendo di me. Ma poi mi sono reso conto di quel che avevo appena detto, e udendo me stesso ho capito la ragione dello sguardo. Non stavano ridendo. Sapevano quello che mi succedeva. Ero pervenuto a un nuovo livello, e l’ira e il sospetto costituivano le mie prime reazioni al mondo intorno a me.

La voce di Burt rimbombava dal registratore a nastro:

«Ora voglio che tu guardi questa scheda, Charlie. Che cosa potrebbe rappresentare? Che cosa vedi su questa scheda? La gente vede ogni sorta di cose in queste macchie d’inchiostro. Dimmi a che cosa ti fa pensare…»

Le stesse parole, quasi lo stesso tono di voce di cui si era servito pochi minuti prima nel laboratorio. E poi ho udito le mie risposte… balbettamenti infantili, impossibili. E mi sono lasciato cadere inerte sulla sedia accanto alla scrivania del professor Nemur. «Ero proprio io, quello?»

Sono tornato in laboratorio con Burt e abbiamo continuato con il Rorschach, esaminando le schede lentamente. Questa volta le mie reazioni sono state diverse. Ho «veduto» cose nelle macchie d’inchiostro. Due pipistrelli che si davano strattoni a vicenda. Due uomini che duellavano con la spada. Ho immaginato cose d’ogni genere. Ma cio nonostante ho constatato che non mi fidavo piu ciecamente di Burt. Seguitavo a rigirare le schede e ad esaminarne il retro per assicurarmi che non vi fosse qualcosa di cui avrei dovuto accorgermi.

Sbirciavo, mentre lui stava prendendo appunti. Ma era tutto in codice, presso a poco cosi

WF + A DdF — orig. agg. WF — A SF + ogg.

Il test continuava a non avere alcun senso per me. A me sembra che chiunque potrebbe inventare bugie sulle cose che in realta non vede. Come possono sapere che non li sto burlando e che non dico cose in realta mai vedute?

Forse capiro quando il dottor Strauss mi permettera di leggere trattati di psicologia. Sta diventando piu difficile per me scrivere di tutti i miei pensieri e di tutti i miei sentimenti, perche so che verranno letti da altre persone. Forse sarebbe meglio se potessi tenere per me questi rapporti per qualche tempo. Lo diro al dottor Strauss. Perche, poi, la cosa ha incominciato a infastidirmi tutto a un tratto?

10° RAPPORTO SUI PROGRESSI

21 aprile Ho escogitato un nuovo modo per organizzare il lavoro delle impastatrici alla panetteria e accelerare la produzione. Il signor Donner dice che questo gli fara risparmiare costi di lavorazione e aumentera gli utili. Mi ha dato un premio di cinquanta dollari e mi ha concesso un aumento di dieci dollari alla settimana.

Volevo invitare a pranzo Joe Carp e Frank Reilly per festeggiare l’avvenimento, ma Joe doveva fare alcune compere per sua moglie e Frank pranzava con il cugino. Ci vorra un po’ di tempo, suppongo, prima che si abituino ai cambiamenti intervenuti in me.

Sembra che io incuta timore a tutti. Quando mi sono avvicinato a Gimpy e gli ho battuto la mano sulla spalla per domandargli qualcosa, e balzato in piedi e si e versato il caffe addosso dappertutto. Mi fissa con gli occhi sbarrati quando crede ch’io non lo stia guardando. Nessuno alla panetteria mi rivolge piu la parola o scherza con me come un tempo. Questo fa si che mi senta piuttosto solo lavorando.

Quando ci penso, ricordo quella volta che m’addormentai stando in piedi e Frank mi fece lo sgambetto. L’odore caldo e dolciastro, le pareti bianche, il rombo del forno, quando Frank apre lo sportello per spostare le pagnotte.

A un tratto la caduta… il contorcimento… tutto mi sfugge di sotto e batto la testa contro il muro.

Sono io, eppure e come se li giacesse qualcun altro… un altro Charlie. E confuso… si strofina la testa… alzando gli occhi e fissando Frank, alto e magro, e poi Gimpy, li accanto, il massiccio e peloso Gimpy dalla faccia grigiastra, con le sopracciglia cespugliose che quasi gli nascondono gli occhi celesti.

«Lascia stare il ragazzo», dice Gimpy. «Gesu, Frank, perche devi sempre prendertela con lui?»

«Non e niente», ride Frank. «Mica gli ho fatto male. E poi non se ne rende conto. Non e vero, Charlie?»

Charlie continua a massaggiarsi la testa e si fa piccolo. Non sa che cosa abbia fatto per meritare questo castigo, ma e sempre possibile che gliene tocchino di piu.

«Tu pero non sei uno stupido», dice Gimpy, zoppicando sulla sua scarpa ortopedica, «e allora perche diavolo te la prendi sempre con lui?» I due uomini siedono alla lunga tavola, l’alto Frank e il tarchiato Gimpy, formando con la pasta i panini che devono essere messi in forno per le ordinazioni della sera.

Lavorano silenziosi per qualche tempo e poi Frank smette e spinge all’indietro il berretto bianco. «Ehi, Gimp, credi che Charlie potrebbe imparare a fare i panini?»

Gimp appoggia un gomito alla tavola da lavoro. «Si puo sapere perche non lo lasci in pace?»

«No, dico sul serio, Gimp… seriamente. Scommetto che riuscirebbe a imparare una cosa semplice come fare i panini.»

L’idea sembra piacere a Gimpy, che si volta e fissa Charlie. «Forse non hai avuto una cattiva idea. Ehi. Charlie, vieni qui un momento.»

Come fa di solito quando la gente sta parlando di lui, Charlie ha tenuto la testa bassa, fissandosi i lacci delle scarpe. Sa allacciarli e annodarli. Potrebbe fare i panini. Potrebbe imparare a lavorare, ad arrotolare, a torcere e a foggiare la pasta nelle piccole forme rotonde.

Frank lo guarda con aria incerta. «Forse non dovremmo, Gimp. Forse facciamo male. Se un idiota non riesce a imparare, non dovremmo fare nessun tentativo con lui.»

«Lascia che ci pensi io», dice Gimpy, il quale ha ormai adottato l’idea di Frank. «Credo che forse riuscira a imparare. Ora ascolta, Charlie. Vuoi imparare qualcosa? Vuoi che ti insegni a fare i panini, come li stiamo facendo io e Frank?»

Charlie lo fissa e il sorriso gli dilegua dalla faccia. Capisce quello che vuole Gimpy e si sente con le spalle al muro. Vuole accontentare Gimpy, ma c’e qualcosa nelle parole imparare e insegnare, qualcosa da ricordare a proposito del fatto di essere punito severamente, ma non riesce a rammentare di che si tratta… soltanto una mano magra e bianca alzata, che lo colpisce per fargli imparare qualcosa di incomprensibile.

Charlie indietreggia, ma Gimpy gli afferra il braccio. «Ehi, ragazzo, calmati. Non ti faremo del male. Ehi, guardalo, sta tremando come se fosse sul punto di andare in pezzi. Sta’ a sentire, Charlie, io ho un bel portafortuna nuovo di zecca e lucente per fartici giocare.» Tende la mano e mostra una catenina d’ottone con un lucente dischetto d’ottone sul quale sta scritto LUCIDO PER METALLI BRILLANTI. Tiene la catenella per una estremita e il disco dorato e lucente ruota adagio, cogliendo la luce delle lampade fluorescenti. Il ciondolo ha uno splendore che Charlie ricorda, ma non sa perche ne come.

Non fa il gesto di prenderlo. Sa che tocca un castigo se si prendono le cose appartenenti ad altri. Se qualcuno te le mette in mano, allora tutto va bene. Ma altrimenti sono guai. Quando constata che Gimpy glielo sta offrendo, annuisce e sorride di nuovo.

«Questo lo capisce», ride Frank. «Basta dargli qualcosa di lustro e splendente.» Frank, che ha lasciato fare l’esperimento a Gimpy, si sporge in avanti eccitato. «Forse, se desidera abbastanza quella bagattata e tu gli dici che l’avra purche impari a lavorare la pasta e a fare panini… forse funzionera.»

Mentre i fornai si accingono al compito di insegnare a Charlie, altri del negozio si riuniscono intorno a loro. Frank sgombra la tavola davanti a loro e Gimpy stacca un pezzo di pasta di dimensioni medie perche Charlie possa lavorarla. Corrono scommesse per stabilire se Charlie riuscira o meno a imparare a fare i panini.

«Guardaci attentamente», dice Gimpy, mettendo il ciondolo accanto a se sulla tavola, dove Charlie puo vederlo. «Guarda e fa tutto quello che facciamo noi. Se impari a fare i panini avrai questo lucente portafortuna.»

Charlie si ingobbisce sul suo sgabello, osservando attentamente Gimpy che prende il coltello e taglia una

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