Joe ha esclamato: «Non avevo piu riso tanto da quando lo mandammo fino all’angolo a vedere se stava piovendo quella notte che ci sbarazzammo di lui, da Halloran».

Allora ho visto una scena che ricordavo nella mia mente di quando ero bambino e i ragazzi dell’isolato mi facevano giocare con loro a nascondarella e toccava a me cercarli. Dopo aver contato piu volte fino a dieci sulle dita, andavo a cercare gli altri. Continuavo a cercarli finche non cominciava a far freddo e a scendere l’oscurita e dovevo tornare a casa.

Ma non li trovavo mai e non riuscivo a capire perche.

Le parole di Frank me lo hanno ricordato. Da Halloran era accaduta la stessa cosa. E Joe e tutti gli altri stavano facendo questo: ridevano di me. E i ragazzetti che giocavano a nasconderella si burlavano di me e ridevano anche loro alle mie spalle.

La gente alla festa era una gran chiazza di facce offuscate tutte intente a contemplarmi dall’alto e a ridere di me.

«Guardalo. E rosso in faccia.»

«Sta diventando rosso. Charlie si sta facendo rosso.»

«Ehi, Ellen, che cosa gli hai fatto a Charlie? Non l’avevo mai visto comportarsi cosi.»

«Perbacco, Ellen, non c’e che dire, lo hai eccitato.»

Non sapevo che cosa fare ne da che parte voltarmi. Il suo strofinarmisi contro mi aveva fatto provare qualcosa di strano. Tutti ridevano di me e improvvisamente mi sono sentito nudo. Volevo nascondermi affinche non vedessero. Sono corso fuori dell’appartamento. Era un grande caseggiato, con molti corridoi e non riuscivo a trovare le scale. Mi ero dimenticato completamente dell’ascensore. Infine, dopo aver trovato le scale, sono uscito di corsa nella strada e ho camminato a lungo prima di rientrare nella mia stanza. Non mi ero mai accorto che Joe e Frank e tutti gli altri mi volevano con loro soltanto per prendermi in giro.

Ora so che cosa volevano dire quando parlavano di «fare il Charlie Gordon».

Mi vergogno.

E c’e un’altra cosa. Ho sognato quella ragazza, Ellen, che ballava e si strofinava contro di me, e quando mi sono svegliato le lenzuola erano bagnate e sudicie.

13 aprile Ancora non sono tornato a lavorare alla panetteria. Ho detto alla signora Flynn, la mia affittacamere, di telefonare e dire al signor Donner che sono malato. La signora Flynn mi guarda, da qualche tempo a questa parte, come se avesse paura di me.

Credo che sia una buona cosa capire perche tutti ridono di me. Ci ho pensato a lungo. La ragione e che sono tonto e quando faccio qualcosa di stupido non me ne accorgo neppure. La gente si diverte quando uno stupido non riesce a fare le cose nello stesso modo degli altri.

In ogni modo, ora so che sto diventando un po’ piu intelligente ogni giorno. Conosco la punteggiatura e so scrivere bene. Mi piace cercare nel dizionario tutte le parole difficili e ricordarle. Inoltre cerco di scrivere il meglio possibile questi rapporti sui progressi, ma e una cosa difficile a farsi. Sto leggendo molto, adesso, e Miss Kinnian dice che leggo rapidamente. E addirittura capisco molte delle cose che leggo, e mi rimangono impresse nella mente. Vi sono momenti in cui chiudo gli occhi e penso a una pagina e la rivedo come se fosse un quadro.

Ma mi vengono in mente anche altre cose. Talora chiudo gli occhi e vedo un’immagine chiarissima. Come stamane, subito dopo il risveglio, giacevo a letto con gli occhi spalancati. Era come se un grande foro si fosse aperto nelle pareti della mia mente e io avessi potuto passarci attraverso. Credo che risalga molto indietro nel tempo… a molto tempo fa, quando incominciai a lavorare nella panetteria Donner. Vedo la strada dove si trova la panetteria. Un po’ confusa all’inizio, l’immagine diventa poi a chiazze, con alcune cose tanto reali da sembrare proprio dinanzi a me, mentre altre cose rimangono offuscate, e io sono dubbioso…

Un vecchietto con una carrozzella per bambini trasformata in carrettino e un fornello a carbone e il profumo delle caldarroste, e per terra la neve. Un giovanotto, pelle e ossa, con gli occhi spalancati e un’espressione spaventata sulla faccia, sta guardando in su, l’insegna del negozio. Che cosa c’e scritto? Lettere offuscate al punto da essere incomprensibili. Ora so che sull’insegna c’e scritto PANETTERIA DONNER, ma. rievocando nella memoria l’insegna, non riesco a leggere le parole con gli occhi di lui. Non c’e insegna che abbia un senso.

Credo di essere io quel tale con l’aria spaventata sulla faccia.

Vivide insegne al neon. Alberi di Natale e banchetti di ambulanti sui marciapiedi. Gente infagottata in cappotti con i baveri alzati e sciarpe intorno al collo. Ma lui non porta i guanti. Ha le mani gelide e posa un pacco pesante di sacchetti di carta marrone. Si e fermato a contemplare i piccoli giocattoli meccanici che l’ambulante sta caricando… l’orso che si rotola, il cane che salta, la foca che fa girare un pallone sulla punta del naso. Si rotolano, saltano, fanno girare il pallone. Se quei giocattoli fossero suoi, lui sarebbe la creatura piu felice della terra.

Vuole domandare all’ambulante dalla faccia paonazza, con le dita che sporgono dai guanti di cotone marrone, se potrebbe prendere in mano per un minuto l’orso che si rotola, ma ha paura. Raccatta il pacco di sacchetti di carta e se lo mette sulla spalla. E magro, ma robusto dopo molti anni di duro lavoro.

«Charlie! Charlie!… Stupido tonto!»

Fanciulli lo circondano ridendo e stuzzicandolo come cagnolini che cerchino di mordergli i piedi. Charlie rivolge loro un sorriso. Gli piacerebbe posare il pacco e giocare con quei monelli, ma quando ci pensa si sente guizzare la pelle sulla schiena e ricorda come i ragazzi piu grandi gli lancino sassi.

Tornando alla panetteria scorge alcuni giovinastri, fermi sulla soglia di un portone buio.

«Ehi, Charlie. Che cos’hai li? Ti va di giocare a dadi?»

«Vieni qui. Non ti facciamo niente.»

Ma c’e qualcosa in quel portone… l’androne scuro, le risate, che di nuovo gli fa guizzare la pelle. Si sforza di capire di che cosa si tratta, ma ricorda soltanto i loro escrementi e la loro orina dappertutto sui suoi vestiti, e gli urli dello zio Herman quando e tornato a casa tutto insudiciato, e come lo zio Herman sia corso fuori con un martello in mano in cerca dei ragazzi che gli hanno giocato quel tiro. Charlie indietreggia dai ragazzi che ridono sulla soglia, lascia cadere il pacco. Lo raccatta di nuovo e corre per tutta la strada fino alla panetteria.

«Perche ci hai messo tutto ’sto tempo, Charlie?» urla Gimpy dalla soglia del retrobottega.

Charlie entra, spingendo la doppia porta a molla, nel retrobottega e posa il pacco su uno degli scivoli. Si appoggia alla parete ficcandosi le mani in tasca. Vorrebbe avere il suo spago con i dischi che girano.

Gli piace stare li dietro nella panetteria dove il pavimento e bianco di farina… piu bianco delle pareti fuligginose e del soffitto. Anche le suole spesse dei suoi stivaletti sono incrostate di bianco e c’e del bianco persino sulle stringhe e negli occhielli e sotto le unghie e sulla pelle screpolata e rugosa delle mani.

Si rilassa, qui… accovacciandosi quasi contro la parete… appoggiandosi all’indietro in modo da far reclinare il berretto da giocatore di pallabase con la «D» in avanti sugli occhi. Gli piace l’odore della farina, della pasta per il pane, dei panini e delle paste che cuociono nel forno. Il forno sta scoppiettando e lo rende sonnacchioso.

Dolcezza… tepore… sonno…

A un tratto sta cadendo, si sta contorcendo, batte con la testa contro la parete. Qualcuno gli ha fatto lo sgambetto e le gambe gli si sono piegate sotto.

Non ricordo altro. Vedo tutto con chiarezza, ma non so perche accadde. E come quando andavo al cinema. La prima volta non capivo mai, perche tutto si svolgeva troppo rapidamente, ma dopo aver visto il film tre o quattro volte, di solito capivo quel che dicevano. Devo farmelo spiegare dal dottor Strauss.

14 aprile Il dottor Strauss dice che l’importante e continuare a rievocare i ricordi, come quelli che ho rievocato ieri, e scriverli. In seguito, quando vado nel suo studio, possiamo parlarne.

Il dottor Strauss e uno psichiatra e un neurochirurgo. Non lo sapevo, credevo che fosse un semplice medico. Ma quando sono andato nel suo studio stamane mi ha spiegato quanto e importante che io impari a conoscermi, in modo da poter capire le mie difficolta. Gli ho detto che non incontravo difficolta.

Ha riso, poi si e alzato dalla sua poltroncina e si e avvicinato alla finestra. «Quanto piu diventerai intelligente, tanto piu numerose saranno le difficolta che incontrerai, Charlie. Il tuo sviluppo intellettuale superera lo sviluppo emotivo. E constaterai, credo, che, progredendo, vorrai parlarmi di molte cose. Desidero soltanto che tu ricordi una cosa: questo e il luogo nel quale dovrai venire quando avrai bisogno di aiuto.»

Ancora non so di che cosa parlasse, ma ha detto che anche se non capisco i miei sogni o i miei ricordi, o la

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