vuole, e se ne rendono conto ben presto.»

Siamo discesi dalla macchina per dirigerci a piedi verso uno dei villini. All’interno le pareti erano di piastrelle bianche e nell’edificio regnava un odore di disinfettante. Il vestibolo al pianterreno si apriva su una sala di ricreazione nella quale sedevano settantacinque ragazzi in attesa che suonasse il campanello del pranzo. Ad attrarre immediatamente il mio sguardo e stato uno dei ragazzi piu grandi su una sedia in un angolo, intento a cullare tra le braccia uno degli altri ragazzi, sui quattordici o quindici anni. Si sono voltati tutti a guardarci quando siamo entrati e alcuni dei piu audaci sono venuti a fissarmi da vicino.

«Non badi a loro», ha detto Winslow, vedendo la mia espressione. «Non le faranno alcun male.»

La responsabile delle pulizie, una bella donna di ossatura robusta, con le maniche rimboccate e un grembiule di cotone sulla camicetta bianca inamidata, e venuta verso di noi. Dalla cintura le pendeva un mazzo di chiavi che tintinnavano a ogni suo movimento, e soltanto quando si e voltata ho veduto che il lato sinistro della sua faccia era deturpato da una grande voglia color vino.

«Non mi aspettavo gente oggi, Ray», ha detto. «Di solito lei accompagna i visitatori il giovedi.»

«Le presento il signor Gordon, Thelma, dell’universita Beekman. Vuole soltanto dare un’occhiata in giro e farsi un’idea del lavoro che svolgiamo qui. Sapevo che per lei non avrebbe fatto alcuna differenza, Thelma. Qualsiasi giorno le va bene.»

«Gia», ha riso la donna con vigorosa cordialita, «ma il mercoledi voltiamo i materassi. Il giovedi c’e un odore molto migliore qui dentro».

Ho notato che rimaneva alla mia sinistra, per nascondermi la macchia sulla faccia. Mi ha accompagnato nel dormitorio, nella lavanderia, nei ripostigli e nella sala da pranzo, con le tavole gia apparecchiate in attesa che il cibo venisse portato dalle cucine. Sorrideva, parlando, e la sua espressione e i capelli raccolti in una crocchia sul capo la facevano somigliare a una ballerina di Lautrec; ma non mi guardava mai negli occhi. Mi sono domandato come sarebbe vivere qui sorvegliato da lei.

«Sono molto buoni, in questo villino», ha detto. «Ma sa com’e: trecento ragazzi, settantacinque per piano, e appena cinque di noi a sorvegliarli… Non e facile tenerli sotto controllo. Pero qui si sta molto meglio che nei villini sporchi. Il personale, in quelli, non resiste molto a lungo. Con i bambini non ci si bada troppo, ma quando diventano adulti e continuano a non saper badare a se stessi, la faccenda diventa rivoltante e disastrosa.»

«Lei sembra essere una persona molto gentile». ho osservato. «I ragazzi sono fortunati ad averla come loro governante.»

Ha riso di cuore, sempre guardando diritto dinanzi a se, e ha mostrato i denti candidi. «Non sono migliore ne peggiore delle altre. Voglio un gran bene ai miei ragazzi. Non e un lavoro da nulla, ma e soddisfacente se si pensa quanto hanno bisogno di noi.» Il sorriso le e dileguato dalle labbra per un momento. «I ragazzi normali crescono troppo rapidamente e non hanno piu bisogno di nessuno… se ne vanno per conto loro… dimenticano chi li ha amati e ha avuto cura di loro. Ma questi fanciulli hanno bisogno di tutto cio che siamo in grado di dare… per tutta la vita.»

Si e messa di nuovo a ridere, imbarazzata dalla propria serieta. «E duro lavorare qui, ma ne vale la pena.»

Al pianterreno, dove Winslow ci stava aspettando. e suonato il campanello e i ragazzi sono entrati in fila nella sala da pranzo. Ho notato che il ragazzo grande, il quale aveva tenuto in grembo il piu piccolo, lo stava ora guidando verso la tavola e lo teneva per mano.

«E una gran cosa», ho detto, accennando con la testa da quella parte.

Anche Winslow ha annuito. «Il piu grande si chiama Jerry, e l’altro Dusty. Ci capita spesso, qui, di vedere situazioni del genere. Quando nessun altro ha tempo da dedicare ai ragazzi, essi capiscono abbastanza per trovare tra loro contatti umani e affetto.»

Mentre, diretti verso la scuola, passavamo davanti a uno degli altri villini, ho udito un urlo, seguito da un lamento, raccolto ed echeggiato da due o tre altre voci. V’erano sbarre alle finestre.

Winslow e parso a disagio per la prima volta in tutta la mattinata. «Quello e un villino speciale di sicurezza», ha spiegato. «Ritardati mentali in preda a turbe emotive. Quando e probabile che possano fare del male a se stessi o agli altri, li mettiamo nel villino K. Vi rimangono chiusi continuamente.»

«Hanno qui pazienti con turbe emotive? Ma non dovrebbero essere ricoverati in ospedali psichiatrici?»

«Oh, certo», ha risposto, «ma e una cosa difficile ad accertarsi. A volte la linea di confine che li separa dalle turbe emotive scompare soltanto dopo qualche tempo che si trovano qui. Altri ci vengono affidati dai tribunali e non possiamo fare altro che ospitarli, anche se in realta non abbiamo posto per loro. La vera difficolta sta nel fatto che non c’e piu posto per nessuno in nessun luogo. Lo sa quanti sono i prenotati che aspettano di entrare da noi? Millequattrocento. E alla fine dell’anno potremo forse avere posto per venti o trenta pazienti».

«Dove si trovano adesso questi millequattrocento?»

«A casa loro, in attesa di un posto libero qui o in qualche altro istituto. Vede, il problema dello spazio da noi non e come il consueto affollamento degli ospedali. I nostri pazienti di solito vengono per restare tutta la vita.»

Mentre ci avvicinavamo alla nuova scuola, un edificio di un piano in vetro e cemento, con ampie finestre, ho cercato di immaginare che cosa si sarebbe provato percorrendo quei corridoi come pazienti. Mi sono raffigurato nella fila di uomini e di ragazzi che aspettavano di entrare in aula. Forse sarei stato uno di quelli che spingevano un altro ragazzo su una sedia a rotelle o guidavano qualcuno tenendolo per mano o cullavano tra le braccia un compagno piu piccolo.

In una delle aule di falegnameria, dove alcuni ragazzi grandi stavano costruendo banchi sotto la sorveglianza di un maestro, tutti si sono raggruppati intorno a me, osservandomi incuriositi. L’insegnante ha deposto la sega ed e venuto verso di noi.

«Le presento il signor Gordon dell’universita Beekman», ha detto Winslow. «Vuole dare un’occhiata a qualcuno dei nostri pazienti. Ha intenzione di acquistare la clinica.»

L’insegnante si e messo a ridere e ha accennato ai suoi allievi. «Be’, se l’ac-cquista d-deve p-prenderci i- insieme ad essa.»

Mentre mi faceva visitare l’aula ho notato lo strano silenzio dei ragazzi. Continuavano il loro lavoro di levigatura o verniciatura dei banchi appena costruiti, ma non parlavano.

«Q-questi s-sono i m-miei a-allievi s-silenziosi, s-sa». ha detto l’insegnante, quasi avesse intuito la mia domanda inespressa. «S-ordom-muti.»

«Ne abbiamo centosei», si e affrettato a spiegare Winslow, «per uno studio speciale finanziato dal governo federale».

Quale incredibile cosa! Quanto meno avevano di altri esseri umani. Mentalmente ritardati, sordi, muti… eppure levigavano banchi con entusiasmo.

Uno dei ragazzi che stava stringendo un blocco di legno entro una morsa, ha interrotto il lavoro, ha toccato Winslow sul braccio e ha additato l’angolo in cui numerosi oggetti terminati stavano asciugando su scaffali. Il ragazzo ha indicato un sostegno per paralume, sul secondo scaffale, accennando poi a se stesso. Era un lavoro rudimentale, sbilenco, con il mastice che aveva riempito le connessure visibilissimo e la verniciatura troppo spessa e non uniforme. Winslow e l’insegnante lo hanno lodato entusiasticamente e il ragazzo ha sorriso tutto orgoglioso, guardandomi e aspettandosi una lode anche da me.

«Si», ho annuito, pronunciando con enfasi esagerata le parole, «bellissimo… splendido». L’ho detto perche lui ne aveva bisogno, ma mi sentivo vuoto dentro. Il ragazzo mi ha sorriso e quando ci siamo accinti ad andarcene e venuto a toccarmi il braccio come per dirmi arrivederci. La commozione mi ha soffocato e ho stentato molto a dominarmi finche non siamo usciti di nuovo nel corridoio.

La direttrice della scuola e una donna piccola di statura, grassoccia, materna, che mi ha fatto sedere di fronte a un diagramma ben disegnato dal quale risultano i vari tipi di pazienti, la specializzazione assegnata a ciascuna categoria e le materie studiate.

«Naturalmente», ha spiegato, «non ospitiamo piu molti di coloro che hanno un quoziente di intelligenza meno basso. Ad essi, quelli con un quoziente di intelligenza di sessanta o settanta, si provvede in misura sempre maggiore nelle scuole cittadine, in classi speciali, oppure vi sono enti comunali che se ne occupano. Quasi tutti

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