«La prova non e valida», ho detto. «So quello che lei sta cercando. Conosco il tipo di reazioni che dovrei avere per creare un certo quadro di quello che e la mia mente. Non devo fare altro che…»
Ha alzato gli occhi su di me, in attesa.
«Non devo fare altro…»
Ma poi mi ha colpito come un pugno su un lato della testa la consapevolezza che non ricordavo che cosa dovevo fare. Era come se avessi guardato l’intera cosa con chiarezza sulla lavagna della mia mente ma. ora che mi apprestavo a leggerla, in parte era stata cancellata e il resto non aveva alcun senso.
A tutta prima mi sono rifiutato di crederci. Ho esaminato le schede in preda al panico, cosi in fretta da non riuscire a parlare. Avrei voluto lacerare le macchie d’inchiostro per far si che si rivelassero. In qualche punto di quelle macchie d’inchiostro v’erano risposte che avevo saputo soltanto pochi momenti prima. Non proprio nelle macchie di inchiostro, ma in quella parte della mia mente che avrebbe dato loro una forma e un significato e proiettato la mia impronta su di esse. Non ne ero capace. Tutto era scomparso.
«Questa e una donna…» ho detto, «…inginocchiata e intenta a lavare pavimenti. Cioe, no… e un uomo che impugna un coltello». E nel momento stesso in cui pronunciavo queste parole mi sono reso conto di quel che dicevo e, interrompendomi, sono partito in un’altra direzione. «Due persone che si contendono qualcosa… una bambola, per esempio… ed entrambe stanno tirando, per cui sembra che la romperanno in due e… no!… sono piuttosto due facce che si fissano attraverso la finestra e…»
Ho spazzato via le schede dal tavolo e mi sono alzato.
«Non piu prove. Basta con le altre prove.»
«Sta bene, Charlie. Per oggi basta.»
«Non soltanto per oggi. Qui non ci tornero piu. Qualsiasi cosa rimanga in me che possa esserle utile, la trovera nei rapporti sui progressi. Ho finito di percorrere il labirinto. Non sono piu una cavia. Ho tatto abbastanza. Adesso voglio essere lasciato in pace.»
«Va bene, Charlie, Capisco.»
«No, non capisce, perche non sta succedendo a lei e nessuno puo capire tranne me. Non gliene voglio. Lei ha il suo lavoro da sbrigare e la sua laurea da prendere, e… oh, si, non me lo dica, so che ha preso parte a questo esperimento soprattutto per amore dell’umanita, ma in ogni modo ha ancora la sua vita da vivere, e il caso vuole che non siamo alla stessa altezza. Io ho superato il suo piano salendo, e ora me lo lascio indietro scendendo, e non credo che riprendero ancora questo ascensore. Pertanto, salutiamoci.»
«Non credi che dovresti parlare con il dottor…»
«Saluti tutti per me, vuole? Non me la sento di affrontare di nuovo nessuno di loro.»
Prima che avesse potuto aggiungere qualche altra cosa, sono uscito dal laboratorio, ho preso l’ascensore e sono uscito dalla Beekman per l’ultima volta.
Mi sono alzato, ho chiuso gli occhi e ho veduto Charlie, me stesso, a sei o sette anni seduto alla tavola da pranzo con un libro di scuola, mentre imparava a leggere e ripeteva piu e piu volte le parole con mia madre seduta accanto a lui, accanto a me…
«Riprova.»
«
«No! Non
«
«No! Non ti stai applicando. Riprova!»
«Lascia in pace il bambino. Lo hai atterrito.»
«Deve imparare. E troppo pigro per concentrarsi.»
«E piu tardo degli altri bambini. Dagli tempo.»
«E normale. Non c’e niente che non sia a posto in lui. E soltanto pigro. Dovra imparare.»
E poi, nell’alzare gli occhi dalla tavola, mi e parso di aver veduto me stesso, attraverso gli occhi di Charlie, tenere in mano
Devo tentare di avvinghiarmi ad alcune delle cose che ho imparato. Ti prego, Dio, non togliermi tutto.
Invece di camminare galleggiavo nello spazio, non nitido e ben definito, ma con una pellicola grigia dappertutto. So quello che mi sta accadendo, ma non posso farci niente. Cammino oppure mi limito a restare ritto sul marciapiede e a guardar passare ia gente. Alcuni mi sbirciano e altri no, ma nessuno mi dice nulla… tranne un tale che si e avvicinato una notte e mi ha domandato se volevo una donna. Mi ha accompagnato in un posto. Voleva dieci dollari anticipati e glieli ho dati, ma non e piu tornato.
E allora ho ricordato quanto ero stato stupido.
«Passando per la scala antincendio. Dall’appartamento di Fay. Sono stata da lei per avere tue notizie e mi ha detto che era preoccupata… Sembra che ti stia comportando in modo strano… che disturbi i vicini. Cosi ho deciso di farmi viva. Ho riordinato un po’. Mi son detta che non ti sarebbe dispiaciuto.»
«Mi dispiace… moltissimo. Voglio che non venga nessuno qui a compatirmi.»
E andata allo specchio a pettinarsi. «Non mi trovo qui per compatirti. Ma perche compatisco me stessa.»
«Che cosa vorresti dire?»
«Le mie parole non vogliono dire nulla», ha alzato le spalle. «Sono, semplicemente… come una poesia. Volevo parlarti.»
«Che cosa e successo al giardino zoologico?»
«Oh, smettila, Charlie. Niente schermaglie con me. Ho aspettato anche troppo che tu ti decidessi a venire da me. Ho deciso di venire io da te.»
«Perche?»
«Perche c’e ancora tempo. E voglio passarlo con te.»
«Che cos’e? Una canzonetta?»
«Charlie, non ridere di me.»
«Non sto ridendo. Ma non posso permettermi di passare il tempo con qualcuno… ne rimane appena a sufficienza per me.»
«Non posso credere che tu voglia rimanere completamente solo.»
«E cosi.»
«Siamo stati ben poco insieme prima di perderci di vista. Avevamo cose di cui parlare e cose da fare insieme. Non e durato molto a lungo, ma e stato qualcosa. Sta’ a sentire, lo sapevamo che questo sarebbe potuto accadere. Non era un segreto. Io non me ne sono andata, Charlie, ho soltanto aspettato. Tu ti trovi di nuovo al mio