volta cominciato, uno non poteva farne altro che collezionarle.

Mi lavai in fretta, e uscii a tutta velocita. Per le sette ero all’interno dell’Universita della Columbia per la Propaganda e la Pubblicita, intento a consultare il catalogo e iscrivermi ai corsi. C’erano moltissimi insegnamenti opzionali che valevano per il dottorato; ne presi alcuni dei piu interessanti: Storia, Matematica (si tratta delle tecniche di campionatura, soprattutto). Anche Composizione Creativa. Avevo pensato che era un corso facile, soprattutto, ma anche che se scrivere slogan per gli Intangibili non fosse stato possibile, avrebbe potuto servirmi. Se non avessi potuto scrivere cose importanti, almeno potevo tirar fuori qualche romanzo. Certo, non c’e da farci molti soldi. Ma c’e sempre un mercato, perche c’e sempre qualche disadattato nel mondo che non ce la fa a seguire lo sport o le storie all’Omni-V, e non trova niente di meglio da fare che leggere. Ci avevo provato anch’io, una volta o due, chiamando sullo schermo qualcuno dei vecchi classici. E una roba un po’ eccentrica, ma il mercato esiste, e non c’e niente di male a farci un po’ di soldi.

Un’altra cosa buffa della depressione e questa: quando uno c’e in mezzo, sembra tutto cosi difficile e ci sono tante cose di cui. preoccuparsi, che diventa quasi impossibile fare una mossa qualsiasi Ma non appena fatto il primo passo, il secondo diventa piu facile, e il terzo… E infatti, quello stesso giorno decisi anche che dovevo fare qualcosa per le Mokie. Non darci un taglio netto. E neppure cominciare subito a diminuirle. La prima cosa da fare era analizzare il problema. Cosi cominciai con annotare il momento in cui prendevo ogni Mokie. Continuai per una settimana, e volete saperlo?: ne prendevo di media quaranta al giorno! E non era neanche che mi piacessero tanto.

Decisi di fare qualcosa. Non intendevo piantarla completamente, perche ciascuna Mokie, presa a se, non era male. In effetti, sono davvero una miscela dissetante e gustosa delle migliori essenze di cioccolato, estratto di caffe sintetico e alcuni analoghi della cocaina, per dargli quel tocco in piu. E piuttosto buona. Il problema non era smettere, ma diminuire. Messo in questi termini, era un problema di programmazione e di logistica, come quando si calcola la miscela ottimale di impatti sul consumatore per uno spot. Quaranta Mokie al giorno era assurdo. Circa otto, calcolai, era la misura giusta. Abbastanza per darmi quel piccolo stimolo ogni volta, ma non tante da attutirmi le papille.

Una Mokie ogni due ore, calcolai, sarebbe stato l’ideale. Cosi preparai un piccolo calendario:

6.00 8.00 10.00

e cosi via fino alle dieci di sera, quando potevo tirar fuori Nelson Rockwell dal letto, prendermi l’ultima per conciliarmi il sonno, e addormentarmi.

Quando rifeci il conto, scoprii che una Mokie ogni due ore per sedici ore di veglia, faceva nove invece di otto… a meno che non volessi rinunciare alla prima appena sveglio, o all’ultima prima di dormire. Non volevo farlo. Comunque, nove non erano mica troppe. Ero molto orgoglioso del mio programmino. Era talmente semplice e efficace, che non riuscivo a capire come mai nessuno ci avesse pensato prima di me.

E per la miseria, ci riuscii. Per quasi una giornata intera.

Mi ci volle un certo sforzo di volonta per attendere le prime due ore, fino alle otto, ma me la presi comoda con la colazione, e rimasi nella doccia fino a quando gli altri inquilini non cominciarono a bussare. Quella delle dieci era ancora lontana, ma presi tempo camminando fino all’Agenzia, poi escogitai un altro trucco. Mi spedirono subito a fare un sacco di commissioni. Non guardai neppure l’orologio mentre pedalavo da un posto all’altro… be’, non sempre: aspettavo di fermarmi, poi guardavo l’orologio e calcolavo quante altre fermate dovevo fare prima della prossima Mokie. Dicevo a me stesso: Non allo studio geografico, non alla banca, non a teatro per i biglietti di Wixon… quando arrivero al ristorante dove ieri sera il signor Xen si e dimenticato gli occhiali, allora sara il momento della prossima. Funziono ottimamente. Be’, quasi. Ci fu un piccolo inconveniente subito dopo pranzo, quando guardai male l’ora e presi all’una la Mokie delle due. Ma non era niente di grave. Decisi di usare le ore dispari invece delle pari, per il resto del giorno. Me la vidi male per un po’, nel pomeriggio, quando mi fecero aspettare fino alle 15.14 per un pacco che non arrivava mai, ma finii la giornata secondo i calcoli.

La sera non ando cosi bene. La Mokie delle cinque servi a festeggiare la fine della giornata lavorativa; perfetto. Aspettare fino alle sette fu piu dura, ma me la cavai, tirando la cena per le lunghe. Poi tornai nella mia stanza, e santo cielo, le nove sembravano lontanissime! Alle otto e un quarto presi una Mokie dal pacco da sei e la tenni in mano. Avevo acceso l’Omni-V, e c’era una di quelle grandiose epopee storiche sui primi tempi delle vendite per corrispondenza, ma io non riuscivo a seguire la vicenda. Gli occhi mi andavano continuamente all’orologio. Otto e diciotto. Otto e venti. Otto e ventidue… alle otto e cinquanta la vista mi si comincio ad appannare, ma tenni duro fino alle nove in punto, prima di tirare la linguetta.

La bevvi, assaporandola orgoglioso perche avevo resistito.

Poi fui costretto a guardare in faccia la realta: dovevo aspettare fino alle sei del mattino-sei lunghe ore! — prima di bere la prossima.

Era piu di quanto potessi sopportare. Prima che Charlie Bergholm uscisse sbadigliando dal letto, per farmi posto, ne avevo fatto fuori un’intera confezione da sei.

Finalmente cominciarono i corsi all’universita. Ogni tanto facevo alcuni tentativi per diminuire le Mokie, ma poi decisi che la cosa importante era occuparmi del resto della mia vita. E una parte della mia vita stava acquistando un’importanza che non avevo previsto.

E buffo. E come se una persona avesse solo una certa quantita di amore e di tenerezza da usare. Mi dicevo che l’intossicazione da Mokie non era poi cosi brutta; non interferiva con il mio lavoro, tutto sommato; certamente non mi faceva valere di meno… ma non ci credevo. Piu in basso cadevo ai miei stessi occhi, piu stima lasciavo da parte senza un posto adatto per investirla.

La vita di un diplomatico e piena di complicati tabu e vuoti. Eravamo su Venere, circondati da ottocentomila nemici irriducibili. Noi eravamo solo centootto. In circostanze del genere, come si fa a stringere amicizia? E ancor piu, come si fa per… be’, per l’amore? Avete a disposizione una cinquantina di candidate del sesso opposto fra cui scegliere. Probabilmente una dozzina, o piu sono sposate (voglio dire fedelmente sposate), e un’altra dozzina o piu sono troppo vecchie, e circa altrettante troppo giovani. Se siete fortunati, possono esserci al massimo dieci possibili amanti nel mucchio, e che probabilita ci sono che una di queste vi interessi, e sia interessata a voi? Mica tante. La condizione dei diplomatici e simile a quella dei superstiti del Bounty sull’isola di Pitcairn. Quando Mitzi Ku era arrivata, per me era stata una fortuna insperata. Ci eravamo piaciuti. Avevamo le stesse idee nei confronti del sesso. Lei era stata un grande aiuto per me, e io per lei. Non solo per l’atto fisico del sesso, ma per tutte quelle cose che insieme ad esso tengono unita una coppia, come le chiacchiere a letto, e ricordarsi dei rispettivi compleanni. Era bello avere Mitzi per queste cose. Era forse l’accessorio piu prezioso fornitomi dall’ambasciata. E io l’apprezzavo molto. Eravamo molto sinceri e senza reticenze l’uno con l’altra, ma c’era una parola che nessuno di noi aveva mai detto. Questa parola era «amore».

E adesso non c’era piu nessun modo per dirgliela. Mitzi era salita tanto velocemente quanto velocemente io ero sceso. Non la vedevo per settimane intere, se non di sfuggita. Non avevo dimenticato che mi aveva promesso di procurarmi un posto d’apprendista negli Intangibili. Ma pensavo che lei se ne fosse dimenticata… fino a quando non portai il pranzo a Val Dambois e la trovai nel suo ufficio. Non solo li. Abbracciati. E quando aprii la porta si staccarono di scatto. — Accidenti, Tarb — grido Dambois, — non sei capace di bussare?

— Scusate — dissi con un’alzata di spalle. Misi il suo soiaburger sulla scrivania e mi voltai per uscire. Non avevo alcun desiderio di interrompere le loro effusioni… o se ce l’avevo, di sicuro non volevo farlo vedere. Mitzi allungo una mano per fermarmi. Mi guardo con quel particolare sguardo da uccello negli occhi luminosi e mi fece un cenno con la testa.

— Val — disse, — possiamo finire piu tardi. Tenny? Credo che possano fare qualcosa per te negli Intangibili. Vieni, scendiamo insieme e vediamo cosa riusciamo a combinare.

Era l’ora di pranzo, cosi dovemmo aspettare l’ascensore. Mi sentivo nervoso. Mi chiedevo, alquanto a disagio, perche non mi avesse chiamato se si era aperta una possibilita di lavoro, e se le sarebbe mai venuto in mente se io non fossi apparso proprio allora. Non erano pensieri molto gratificanti. Cercai di fare conversazione. — Che cosa stavate cospirando voi due? — chiesi scherzando. Il modo in cui lei mi guardo mi fece pensare che il mio tono era stato un po’ troppo aspro. Cercai di rimediare: — Credo di essere un po’ teso — mi scusai, pensando che lei l’avrebbe ritenuto naturale da parte di un mokomane. Ma non era affatto per quello.

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