apprezzasse il cibo della mensa, il tenente aveva sempre il privilegio di essere stato occupato m doveri di emergenza durante le ore di mensa, e di doversi accontentare di uno «spuntino» nella sala privata ufficiali. Il tenente, aggiunse con aria innocente, aveva anche il privilegio di portare con se la propria assistente, qualora lo ritenesse necessario.

Perche mai, mi chiesi beatamente, avevo avuto tanta riluttanza ad abbandonare l’ossessiva scalata al successo del mondo pubblicitario, per venire in quel paradiso terrestre?

Be’, proprio un paradiso non era. Le notti erano ancora un inferno. Gli alloggiamenti «regolari» si rivelarono baracche di schiuma solidificata, circondate da trincee. L’unica «aria condizionata» di cui disponessero erano dei piccoli ventilatori a batterie solari, e le pareti di schiuma durante il giorno assorbivano ogni caloria dell’accecante sole del Gobi, per restituircele di notte. Poi c’erano gli insetti. C’erano anche gli incessanti versi notturni degli animali nei recinti fuori dal campo. E c’erano le ore insonni. miserabili, in cui pensava a quello che poteva fare Mitzi, e a chi si era preso il mio lavoro alla Taunton, Gatchweiler e Schocken. C’era anche il fatto che il calore del deserto prosciugava dal mio corpo le Mokie con la stessa velocita con cui le ingurgitavo, ed ogni giorno diventavo piu magro e piu teso. Il secondo giorno Gert Martels mi guardo allarmata. — Il tenente — disse — lavora troppo. — Nulla di piu falso, naturalmente: doveva ancora venire un soldato da me per ricevere conforto spirituale. — Suggerirei che il tenente si scriva un permesso e si prenda una giornata di liberta.

— Un permesso per andar dove, in questo inferno? — sbottai, poi ci ripensai. Non avevo gia avuto una conversazione simile a quella una volta… su Venere… con Mitzi? — Be’ — dissi ripensandoci, — immagino che fra dieci anni mi pentirei di non aver visto tutto quello che c’e da vedere. Solo che vieni anche tu.

Cosi, venti minuti piu tardi, sedevamo schiena a schiena su una specie di carrettino a quattro ruote, con una tendina sulla testa, pedalando lungo la strada polverosa verso la metropoli di Urumqi. Automezzi militari ci passavano accanto ruggendo e sollevando ondate di polvere alte un paio di metri. Che bel divertimento! La conversazione era quasi impossibile, non solo perche guardavamo in due direzioni opposte, ma perche meta del temo dovevamo tossire per liberarci la gola dalla polvere, fino a quando Gert non tiro fuori delle specie di mascherine da chirurgo da metterci sul naso e sulla bocca.

Fortunatamente Urumqi (pronunciato U-RUM-ci… il che dice molto sugli Uygur) non era molto lontana. E non era neppure molto di niente, una volta arrivati. La strada principale aveva dei veri alberi, una doppia fila, ma sotto gli alberi c’era solo polvere gialla. Niente erba, niente fiori. C’erano una dozzina di Uygur, con mascherine di loro fattura, che scopavano le foglie cadute. Come se nell’aria non ci fosse gia abbastanza polvere, quelli ne sollevavano a nuvole, in caso rimanessimo a corto. — Voglio una Mokie — gridai raucamente, e Gert si volto a dirmi: — Resistete, tenente!

— Mi chiamo Tenny.

— Resisti, Tenny, siamo quasi arrivati. Laggiu, vedi? Spaccio Militare, e hanno tutte le Mokie che vuoi.

Infatti era cosi; e non solo quello: avevano un bar, e una tavola calda con cibi di marca, aperta a tutti i ranghi, e un circolo ufficiali con Omni-V via satellite. E toilette con lo scarico! E (questo vi da un’idea di quale celestiale lusso fosse, dopo quarantott’ore sul campo) fu solo aver notato tutte queste cose, che mi accorsi dell’aria condizionata. — Quanti permessi posso firmarmi? — chiesi.

— Tutti quelli che vuoi — disse Gert, e ci dirigemmo per prima cosa alla tavola calda. Quando dissi che offrivo io, lei sembro divertita, ma non sollevo obiezioni ci mangiammo panini con Tacchino del Fattore e Panevero, insieme a una mezza dozzina di Mokie, comodamente seduti a un tavolo vicino alla finestra, guardando sdegnosamente gli indigeni di fuori. — Ci sono posti peggiori di questo — annuncio Gert, ordinando un altro Caffeissimo.

Allungai una mano e le toccai i nastrini sul petto. Lei non si ritrasse. — Tu ne avrai visto qualcuno, vero?

La sua espressione si scuri. — Penso che la Nuova Guinea sia stato il peggiore — disse, come se il ricordo ancora le pesasse.

Annuii. Tutti sapevano della Nuova Guinea, e di come centinaia di indigeni erano morti nei disordini che si erano verificati quando il Caffeissimo e il Manzovero erano finiti.

— E un lavoro sacrosanto, Gert — dissi con voce piena di comprensione. — Non restano molte riserve di selvaggi. Spazzarle via e necessario… un lavoro duro, ma qualcuno deve farlo. — Lei non rispose. Bevve un sorso di Caffeissimo senza guardarmi. Dissi: — So che quello che ho fatto io non si puo paragonare a quello che avete fatto voi veterani. Ma ho passato sei anni su Venere, sai.

— Vice console e addetto morale — disse lei annuendo. Lo sapeva.

— Be’, i Venusiani non sono molto meglio di questi selvaggi. Fanatici, antivendite, retrogradi… togli loro un po’ di tecnologia, e andrebbero benissimo in questa riserva! — Indicai con un gesto la strada fuori. Un gruppo di soldati semplici bighellonavano presso l’ingresso dell’albergo, cercando di attirare gli Uygur con Mokie, visori tascabili, Nic-O-Chew, ma gli indigeni si limitavano a scuotere la testa sorridendo, e se ne andavano. — Scommetto che la maggior parte non sanno neppure che esiste la civilta. Vivono cosi da secoli.

Lei guardo la strada, con espressione indecifrabile. — C’e dell’altro, Tenny. Noi non siamo i primi invasori che vedono. Ci sono stati i Manciu, i Mongoli, gli Han, e sono sopravvissuti a tutti.

Tossicchiai… ma non per la polvere. — Invasori non e esattamente la parola che avrei scelto, Gert. Noi siamo civilizzatori. Quello che stiamo facendo qui e una missione importante.

— Importante lo e senza dubbio — disse lei secca, con un tono che mi colse di sorpresa. — L’ultima prima del grande assalto, eh? Non hai mai pensato che c’e una progressione logica: Nuova Guinea, Sudan, Gobi? E poi… — D’improvviso si interruppe e si guardo intorno, come se temesse che qualcuno potesse sentirla.

Questo potevo capirlo bene, perche stava dicendo cose che avrebbero potuto costarle care, se fossero finite alle orecchie della gente sbagliata. Ero sicuro che lei non le pensasse sul serio. Non nel fondo del suo cuore. Le truppe combattenti, la punta di lancia della civilta, non potevano essere biasimate se ogni tanto si facevano venire delle strane idee. Nella societa civile, discorsi del genere potevano portare a un sacco di guai. Ma qui… — Sei sotto tensione, Gert — dissi gentilmente. — Prendi un altro Caffeissimo, ti fara bene.

Lei mi guardo in silenzio per un momento, poi rise. — Va bene, Tenny — disse, facendo un cenno alla cameriera indigena. — Sai una cosa? Sarai un ottimo cappellano.

Mi ci volle un momento per rispondere… Per qualche ragione, non sembrava un complimento. — Grazie — dissi alla fine.

— E per aiutarti nella tua missione — disse lei, — sara meglio che ti spieghi quali sono i tuoi doveri. Ci sono due generi di persone che verranno da te per aiuto. Il primo, e composto da quelli che sono preoccupati per qualche cosa: hanno ricevuto una lettera dalla fidanzata o dal fidanzato che vuole piantarli, oppure pensano che la loro mamma stia male, o sono convinti di diventare pazzi. Il modo per aiutarli, e dirgli che non si preoccupino e dargli un permesso di ventiquattr’ore. Il secondo genere, e quello dei piantagrane. Non sanno stare in formazione, dormono durante le guardie, non superano l’ispezione. Quello che devi fare con loro, e mandare una nota al sergente maggiore, dicendogli di sospendere per una settimana i permessi, e di dir loro che devono cominciare a preoccuparsi. Ogni tanto capita qualcuno con un vero problema, e quello che devi fare…

L’ascoltai annuendo di tanto in tanto, e in effetti mi sentivo piuttosto bene. Allora non sapevo che due di queste persone con dei veri problemi le conoscevo.

E che entrambe erano sedute al mio tavolo.

I doveri di cappellano non erano assillanti. Mi lasciavano un sacco di tempo per lunghi pranzi ad ora tarda nella mensa ufficiali, e per uscite serali a Urumqi. Mi lasciavano anche il tempo per chiedermi, piuttosto frequentemente all’inizio, cosa diavolo ci facessi li: perche l’operazione per, la quale eravamo stati spediti da un emisfero all’altro sembrava non dovesse mai cominciare… Qualunque cosa dovesse cominciare. Quando chiesi lumi a Gert Martens, lei alzo le spalle e disse che era la buona vecchia tradizione militare: muoversi in gran fretta e aspettare, cosi smisi di preoccuparmi. Presi a vivere alla giornata. Il vecchio albergo di Urumqi che era stato requisito come spaccio militare mi divenne familiare quanto la mia tenda di schiuma… Anzi, era all’albergo che passavo le mie notti tutte le volte che potevo, non solo a causa dell’aria condizionata, ma perche ognuna delle vecchie e malconce camere aveva un bagno privato, cori water, vasca da bagno e doccia. Spesso funzionavano tutti e tre. E nella sala ufficiali c’era l’Omni-V.

Non che fossero tutte rose. Tanto per cominciare, quello che volevo vedere io erano i notiziari. Per poterli avere, dovevo passare davanti a tutti gli altri ufficiali, affamati di civilta, la maggior parte di grado piu elevato di

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