me, che volevano vedere solo sport, spettacoli di varieta, telefilm e pubblicita… soprattutto pubblicita. Il tipo di notizie che mi interessavano non era quello solito: la coppia sorridente e commossa che aveva vinto il premio Consumatore del Mese a Detroit, o i discorsi del Presidente, o la storia dei sei peditaxi distrutti, con undici morti, quando la punta del vecchio Chrysler Building era crollata schiacciando mezzo isolato sulla Quarantaduesima Strada. A me interessavano le vere notizie, il Mondo della pubblicita, gli orari e il numero degli spot giornalieri. Le notizie erano trasmesse alle sei del mattino, dal momento che ci trovavamo dalla parte opposta del globo, e non avevo speranza di vederle a meno di non passare la notte all’albergo… e naturalmente di svegliarmi in tempo. Non era una cosa facile. Svegliarmi diventava sempre piu difficile ogni mattina. L’unica cosa che alla fine poteva indurmi ad uscire dal letto era non tenere Mokie in camera, in maniera che appena aperti gli occhi dovessi alzarmi per cercarne una.

E anche quello che vedevo non era tutto allegro. Una mattina ci fu uno spot della durata di un intero minuto dedicato al mio progetto sui Consumisti Anonimi. Era stato lanciato con un budget di sedici milioni di dollari. Era un grande successo. Ma non era mio.

A questo ero preparato. Quello a cui non ero preparato era il commentatore, con quel sorriso untuoso e avido che ha la gente quando qualcuno mette a segno un buon colpo, il quale termino rendendo omaggio alla nuova dinamica Agenzia che era venuta dal nulla a sfidare i giganti… Haseldyne & Ku.

Il capitano che arrivo in quel momento nella sala, con in mano i pesi per fare i suoi esercizi mattutini, non seppe mai quanto fu fortunato. Lo lasciai vivere. Se non l’avessi sconvolto a tal punto con la mia esplosione di rabbia quando cerco di cambiare canale, mi avrebbe senza dubbio fatto rapporto per comportamento scorretto, ma non credo che avesse mai visto una tale violenza sulla faccia di un uomo. Mi aggrappai con tutte le mie forze al selettore. Non distolsi neanche gli occhi quando lui si allontano di soppiatto, con i suoi pesi in mano. Stavo girando disperatamente il quadrante, alla ricerca di frammenti di notizie. Con duecentocinquanta canali che arrivavano dai satelliti, era come cercare il tagliando vincente in un bidone di spazzatura. Non pensai a quante possibilita avessi. Clic: le previsioni del tempo coreane; clic, uno spot-jockey; clic: un kiddy-porno con partecipazione del pubblico; clic… continuai cosi per un po’. Riuscii a trovare il riassunto conclusivo del notiziario notturno della BBC, e quello mattutino della RussCorp da Vladivostok. Non riuscii a mettere assieme l’intera storia. Non ero sicuro elle tutti i pezzi si incastrassero. Ma la Haseldyne & Ku era una notizia mondiale, e il succo era chiaro. Dambois non mi aveva detto tutta la verita. Mitzi e Desmond Haseldyne avevano incassato i soldi e messo in piedi una nuova agenzia, vero. Ma. non si erano presi solo i soldi. Si erano portati via l’intero dipartimento Intangibili dalla T.G.&S., staff e clienti compresi…

E avevano rubato la mia idea.

La cosa seguente di cui mi resi conto, fu che ero a mezza strada fra la citta e il quartier generale, su quella orribile strada calda e polverosa, e che andavo a piedi.

Non avevo mai provato una rabbia simile. Ero quasi fuori di me… anzi, del tutto, perche altrimenti non mi sarebbe mai venuto in mente di camminare in quell’inferno, dove anche gli indigeni si facevano portare dagli asini o dagli yak. Avevo sete. Avevo ingoiato Mokie su Mokie, mescolate con tutti gli alcolici a disposizione del bar ufficiali. Ma era tutta evaporata lungo la strada, e il residuo rimasto era rabbia concentrata, cristallizzata.

Come potevo tornare alla civilta? Tornare e ottenere giustizia; ottenere quello che mi era dovuto da Mitzi Ku! Doveva esserci un sistema. Ero cappellano. Potevo scrivermi un permesso per gravi motivi familiari? Se no, potevo fingere un collasso nervoso, o trovare un medico amico che mi fornisse pillole. che davano palpitazioni di cuore? Se non potevo fare nessuna di queste cose, quante possibilita avevo di imbarcarmi clandestinamente sul prossimo aereo da carico diretto in America? Altrimenti…

Naturalmente, non potevo fare nessuna di queste cose. Avevo visto cosa succedeva a quei poveri imbecilli piagnucolosi che venivano nel mio ufficio con le loro storie semi-inventate di mogli infedeli e intollerabili dolori al fondo della schiena; non esistevano licenze per gravi motivi familiari, alla Riserva, e nessuna possibilita di imbarcarsi clandestinamente.

Ero bloccato.

Ero anche sul punto di sentirmi male. Il troppo bere e le notti insonni non erano stati la cura migliore per il mio fisico impregnato di Mokie. Il sole era senza pieta, e ogni volta che un veicolo mi superava, mi sembrava di sputare i polmoni a forza di tossire. C’erano anche un sacco di veicoli; si era sparsa la voce che finalmente l’operazione stava per cominciare. Da un momento all’altro. I grossi pezzi di attacco erano stati sistemati. Alle truppe erano stati forniti gli obbiettivi designati. I supporti logistici erano operativi.

Mi fermai di colpo in mezzo alla strada, oscillando sulle gambe e cercando di raccogliere le idee. C’era un significato, qui, una speranza… Ma certo! Una volta conclusa l’operazione saremmo stati rispediti nella civilta. Sarei stato ancora in servizio, ma in qualche base in America, dove mi sarebbe stato facile ottenere un permesso di quarantott’ore, per poter tornare a New York e affrontare Mitzi e farle sputare…

— Tenny! — grido una voce. — Oh, Tenny, grazie al cielo ti ho trovato… Sei nei guai!

Socchiusi gli occhi, nella polvere e nel riflesso del sole. Un «taxi» Uygura due ruote mi si era fermato vicino, e ne stava scendendo Gert Martels, con la faccia preoccupata. — Il colonnello e sul piede di guerra! Dobbiamo ripulirti prima che ti trovi!

Mi mossi incespicando verso il suono della sua voce. — Al diavolo il colonnello — gracchiai.

— Ti prego, Tenny — mi imploro, — sali sul taxi. Stenditi giu, cosi se passa la Polizia Militare non ti vede.

— Che mi vedano! — La cosa strana del sergente maggiore Martels, era che continuava a sparire: per un po’ era una figura di fumo nero, contro il cielo accecante; per un po’ era perfettamente chiara, e potevo perfino leggere l’espressione sul suo viso: preoccupazione, ribrezzo; poi, curiosamente, sollievo.

— Hai un attacco cardiaco! — grido. — Grazie al Cielo! Il colonnello non potra dire niente di fronte a un attacco cardiaco! Autista! Sai dove essere ospedale militare? Vai presto, bene? — E venni trascinato sul carrettino dalle braccia forti di Gert Martels.

— Chi ha bisogno di un ospedale? — chiesi rabbiosamente. — Io non ho bisogno di nessun ospedale. Tutto quello che mi serve e una Mokie… — Ma non ebbi la mia Mokie. Non ebbi niente. Anche se l’avessi avuta, non avrei potuto farmene niente, perche proprio in quel momento il cielo si oscuro e mi si chiuse attorno come un bozzolo di lana nera, e per dieci ore non seppi piu niente.

2

Non furono ore oziose. La prescrizione per l’attacco di cuore era: reidratazione; fresco; riposo. Fortunatamente era la stessa indicata per i postumi di una sbronza. Ebbi quanto ordinato dal dottore. E vero che in quel momento non lo sapevo, perche all’inizio ero incosciente, e in seguito imbottito di sonniferi. Avevo una vaga consapevolezza di aghi con soluzioni saline e zuccherose che ogni tanto mi venivano infilati nel braccio, e di essere costretto a svegliarmi per ingoiare immense quantita di liquidi. E i sogni. Oh, i sogni. Sogni brutti. Sogni di Mitzi e Des Haseldyne che se la spassavano come maiali nei loro lussuosi attici, e si sganasciavano dalle risate quando pensavano a quel povero scemo di Tennison Tarb.

E quando mi svegliai, finalmente, pensai che stavo ancora sognando, perche c’era un sergente chino su di me con un dito sulle labbra. — Tenente Tarb? Mi sentite? Non dite niente… Fate solo cenno di si, se potete…

Il mio errore fu di fare come mi aveva detto. Feci cenno di si. La cima della testa mi si stacco, e rotolo in terra, esplodendo di dolore ad ogni rimbalzo.

— Immagino che abbiate un gran mal di testa, vero? Peccato… sentite, c’e un problema.

Il fatto che ci fosse un problema non era una novita per me. Restava solo da sapere a quale problema si riferisse. Sorpresa: non era nessuno di quelli di cui fossi consapevole, e non era tanto un problema mio, quanto di Gert Martels. Guardandosi intorno per vedere se arrivava l’infermiera, il sergente si chino cosi vicino al mio orecchio che il suo fiato mi faceva solletico ai peli, e sussurro: — Gert ha quel brutto vizio, lo saprete…

— Quale brutto vizio? — chiesi.

— Non lo sapete? — Sembro sorpreso, poi imbarazzato. — Be’ — disse con riluttanza, — lo so che sembra proprio una cosa schifosa, ma un sacco di gente quando si trova esposta a ogni genere di influenza, lontano dalla civilta…

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