CENTRO INTOSSICAZIONI ACUTE DIVISIONE TERAPIA INTENSIVA

Uno degli istruttori soffio in un fischietto, vicino al mio orecchio destro. Quando il suono smise di rimbalzarmi nel cranio, vidi che un’amazzone, con la stessa tuta degli altri, ma fornita di una striscia d’oro sulla giacca, camminava impettita verso di noi. Ci guardava con disgusto. — Mio Dio — disse rivolta al pazzo con il fischietto, — ogni mese sono peggio. E va bene. Voi! — sbraito, salendo su una cassetta per vederci meglio, e sottolineando i suoi ordini con un colpo del suo fischietto che quasi mi stacco la testa e la mando a rotolare verso le baracche. — Fate attenzione! Vedete quel cartello? «Divisione terapia intensiva.» La parola piu importante e intensiva. Noi ci sforzeremo intensamente. Voi vi sforzerete intensamente, ve lo garantisco io. Ma malgrado tutti i nostri sforzi, di solito non abbiamo successo. Basta leggere le statistiche. Su dieci di voi, quattro usciranno puliti… e ci ricascheranno entro un mese. Tre svilupperanno sintomi fisici o psiconeurotici incapacitanti, e avranno bisogno di un trattamento prolungato. Prolungato fino alla fine della loro vita, che di solito e molto breve. E due di voi non arriveranno alla fine della cura. — Fece un sorriso gentile… lei almeno doveva pensare che fosse gentile. Erano passate almeno sei ore di troppo senza che prendessi una pillola, e in quel momento neanche la Madonna mi sarebbe sembrata gentile.

Un altro devastante fischio. Aveva fatto un secondo di pausa, e non voleva che ci mettessimo a sognare ad occhi aperti. — Il vostro trattamento — disse, — avverra in due fasi. La prima e quella spiacevole. Vi riduciamo la dose al minimo, vi nutriamo per accrescere la resistenza, vi alleniamo per sviluppare il tono muscolare, vi insegniamo nuovi comportamenti per spezzare le abitudini dei movimenti che rinforzano la dipendenza. E qualche altra cosa. E si comincia subito. Stendetevi a pancia in giu, tutti, e fate cinquanta piegamenti sulle braccia. Poi vi spogliate e andate a fare la doccia!

Cinquanta piegamenti! Ci guardammo l’un l’altro increduli, nell’alba grigia e scura. Non avevo mai fatto cinquanta piegamenti in tutta la mia vita, e non credevo che fosse possibile farli in una volta sola… finche non scoprii che non si poteva fare la doccia, non si poteva mangiare, non si poteva lasciare il cortile… e soprattutto non ci sarebbero state pillole finche non li avessi fatti tutti e cinquanta.

Divenne possibile, perfino per quelli che pesavano un quintale e mezzo.

La signora non aveva mentito. La Fase Uno era spiacevole, non c’erano dubbi. L’unico modo in cui riuscii a superare ognuna di quelle miserevoli ore, fu di pensare alla benedetta pillola verde che sarebbe arrivata alla fine del giorno. Non mi portarono via le pillole; solo mi costrinsero a guadagnarmele. E la cosa orribile consisteva in questo: che piu miglioravo nel guadagnarmele, meno ne ricevevo; il terzo giorno cominciarono a togliermi un pezzettino di pillola; il sesto le tagliarono a meta. Tre di noi avevano una dipendenza da pillole in seguito a intossicazione da Mokie. Gli altri avevano ogni altra intossicazione immaginabile. La donna grassa, che scoprii si chiamava Marie, era cibo-dipendente; sbuffava come un mantice nella corsa a ostacoli, ma correva sempre, perche non c’era altro modo di arrivare alla sala mensa. Un ometto dai capelli scuri, di nome Jimmy Paleologue, era stato un tecnico campbelliano, prestato dalla sua Agenzia all’esercito, per insegnare la civilta ai Maori della Nuova Zelanda. Era troppo esperto per farsi prendere dagli stimoli campbelliani, ma era inesplicabilmente caduto nella trappola di un campione gratuito di Caffeissimo. — Era collegato a una lotteria — spiego timidamente, mentre stavamo distesi sul terreno fangoso, ansimando fra i piegamenti sulle ginocchia e l’arrampicata sulla fune. — Il primo premio era un appartamento di tre stanze, e io pensavo di sposarmi… — Mentre si trascinava tremante lungo l’ultimo tratto dei cinque chilometri di corsa, aveva ormai smesso di pensarci.

Il centro si trovava in un sobborgo, chiamato Rochester, e una volta era stato il campus di una universita. Gli edifici avevano ancora i nomi incisi sulle pareti di cemento: Dipartimento di Psicologia, Sezione Economia, Fisica Applicata, e cosi via. C’era una massa di liquido fangoso a un’estremita del terreno e per quel che riguardava l’ambiente fisico, quella era la parte peggiore. Lo chiamavano «Lago Ontario». Quando il vento soffiava da nord, la puzza faceva svenire. Alcuni dei vecchi edifici fungevano da dormitori, altri da sale da terapia, da mensa, da uffici. Ma ce n’erano un paio ai confini del campus a cui non eravamo ammessi. Non erano disabitati. Di tanto in tanto vi scorgevamo delle creature miserabili come noi, che venivano fatte entrare e uscire, ma chiunque fossero, non potevamo mescolarci a loro. — Tenny — ansimo Marie, appoggiandosi a me mentre passavamo vicino a loro, diretti verso la nostra terapia pomeridiana. — Cosa credi che facciano la dentro? — Una donna in tuta da ginnastica rosa (anche i loro istruttori erano diversi dai nostri) si sporse dalla porta di uno de li edifici, e getto qualcosa nel buone della spazzatura, guardandoci torva. Quando fu entrata, tirai per un braccio Marie.

— Andiamo a dare un’occhiata — dissi, guardandomi attorno per vedere se non c’erano tute blu nei dintorni. Non pensavo che potessero esserci delle pillole verdi, nel bidone, e sono sicuro che Marie non si aspettava di trovarci qualche boccone di cibo. Con nostro disappunto, era proprio cosi. Trovammo solo un paio di stivaletti dorati e una pistola giocattolo, rotta, con l’impugnatura di finto avorio. Non volevano dire niente per me, ma Marie emise un gridolino.

— Oh, mio Dio, Tenny, sono oggetti da collezionismo! Mia sorella ne aveva. Questi sono una Replica Autentica in Miniatura delle Scarpe da Bambino dei Gangster del Ventesimo Secolo in Bronzo…, queste sono di Bugs Moran, credo… E sono sicura che la pistola appartiene alla Collezione di Armi da Fuoco Intagliate della Frontiera. La dentro fanno la Terapia di Rigetto… Prima ti fanno smettere di averne bisogno, poi te le fanno odiare! Forse e questa la Fase Due?

A questo punto l’istruttore urlo alle nostre spalle: — Bene, voi due fannulloni, se avete tempo di starvene li a chiacchierare, avrete anche tempo per fare un po’ di piegamenti supplementari. Diciamo cinquanta! E muovetevi, perche sapete cosa succede se arrivate tardi alla terapia!

Lo sapevamo.

Quando non facevo piegamenti, non correvo, non saltavo, non mi facevo riaggiustare la testa, mangiavo… ogni dieci minuti, a quanto pareva. Cibo semplice e genuino, come Pane del Fornaio, e Manzovero, e Succobuono, e non c’era da discutere: ripulivo il piatto ogni volta, altrimenti erano cinquanta piegamenti sulle braccia per dessert. Non che cinquanta piegamenti in piu facessero molta differenza. Ne facevo quattro o cinquecento al giorno, piu quelli sulle ginocchia e quelli per toccarsi la punta dei piedi, e quaranta vasche al giorno nella piscina. C’era posto solo per tre alla volta, e facevano sempre in modo che fossimo tutti e tre piu o meno alla pari… Provate a indovinare cosa succedeva a chi arrivava ultimo?

Avevamo cominciato in quaranta, poi scendemmo a trentuno, a venticinque, a ventidue… Quella che mi colpi piu duramente fu Marie. Era riuscita a perdere una ventina di chili, e adesso riusciva a mangiare i suoi pasti (tavolette di vitamine e proteine, e poche anche di quelle) senza piagnucolare, quando il dodicesimo giorno, mentre si arrampicava sulla rete, spalanco la bocca, annaspo e rotolo a terra. Era morta. Non mori del tutto, perche tirarono fuori l’unita di rianimazione cardiaca, e la spedirono via su un’ambulanza pneumatica, ma era troppo morta per tornare nel nostro gruppo.

E per tutto il tempo, i nervi mi strisciavano sotto la pelle, e quello che desideravo di piu al mondo era dare una randellata in testa all’infermiere, portargli via le chiavi, e aprire l’armadietto dove tenevano le pillole. Ma non lo feci.

La cosa strana e che dopo due settimane, con la razione ridotta a un quarto di pillola, cominciai a sentirmi leggermente meglio. Non bene. Solo meno peggio, meno teso, meno ossessionato dalla pillola. — E una falsa sensazione di benessere — ansimo Paleologue quando glielo dissi, appena usciti alla piscina, in attesa di partire per la corsa di tre chilometri. — Capitano questi momenti di rilassamento, ma non vogliono dire niente. Ho gia visto gente con la sindrome di Campbell…

Gli risi in faccia. Certe cose poteva raccontarle a qualcun altro: era il mio corpo, no? Potevo perfino trovare il tempo per pensare qualcosa di diverso dalle pillole verdi. Una volta arrivai a mettermi in fila per l’unico telefono pubblico, con tutte le intenzioni di chiamare Mitzi. E ci sarei anche riuscito, se non mi avesse preso uno di quegli attacchi di nausea, che mi costrinse a correre ai cessi; e dopo non ci fu piu tempo per ricominciare la fila da capo.

Altre due settimane passarono, e arrivo la fine della Fase Uno, quella spiacevole.

Povero ingenuo. Non avevo chiesto ai nostri istruttori come sarebbe stata la Fase Due. Avevo pensato che se la Uno era definita spiacevole, la Due sarebbe stata almeno decente.

Questo prima di iniziare la terapia di rigetto e la disintossicazione finale, e di scoprire che la Fase Due certamente non si poteva chiamare semplicemente spiacevole. Era molto di piu che

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