vicino, e ritrovai lo stesso individuo fuori dal condominio di Mitzi, quando uscii la mattina dopo. Non mi importava. In ufficio mi lasciavano solo, ma anche se non l’avessero fatto, probabilmente non me ne sarei accorto. Ero troppo occupato. Volevo togliermi dalle spalle quel peso di due mondi, e l’unico sistema era vincere quella guerra per loro… in qualche modo.

C’era una dozzina di importanti temi pubblicitari da preparare per le elezioni, e solo pochi giorni di tempo. Diedi l’incarico a Dixmeister di trovare gli spazi sulle varie reti e di occuparsi della produzione, mentre io mi dedicavo completamente alla ricerca degli attori e alla composizione dei copioni.

Normalmente, quando il capo di un progetto dice una cosa del genere, significa che c’e una mezza dozzina di cacciatori di teste che cercano gli attori per lui, e come minimo altrettanti redattori che si occupano dei copioni; quello che gli resta da fare, piu che altro, e dare calci nel sedere per essere sicuro che facciano il lavoro. Nel mio caso, la cosa era leggermente diversa. Avevo lo staff, e li prendevo a calci nel sedere. Ma avevo anche dei progetti personali. Non che mi fossero molto chiari. Ed erano ben lungi dal soddisfarmi. E non c’era nessuno con cui potessi parlarne, per vedere che effetto facevano. Ma erano quelli che mi tenevano in ufficio sedici ore al giorno, invece delle dieci o dodici che sarebbero normalmente bastate. Non mi lamentavo: cos’altro avevo da fare?

Sapevo cosa avrei voluto fare. Ma Mitzi era… come dire? Fuori dalla mia portata? Non proprio. Andavamo a letto insieme tutte le volte che capitava in citta. Ma in un certo modo si, perche il letto era l’unico posto dove la vedessi, e neanche troppo spesso. Avevo scatenato un vespaio fra i Venusiani con le mie notizie, e adesso volavano come impazziti in tutte le direzioni. Quando Mitzi era in citta. partecipava in continuazione a riunioni segrete ad alto livello; quando non era in riunione a New York, era in giro per il mondo. O fuori dal mondo, perche ando sulla Luna per una settimana intera, scambiando furtivi messaggi in codice con uno spedizioniere di Port Kathy, su Venere.

Una sera avevo perso ogni speranza di vederla, ed ero gia andato a dormire, quando nel mezzo di un orribile sogno, in cui un brutto ceffo della Moralita Commerciale si infilava nel mio letto, mi svegliai e scoprii che qualcuno si era davvero infilato nel letto, e che era Mitzi.

Mi ci volle un po’ per svegliarmi del tutto, a causa della stanchezza, e quando ci riuscii, Mitzi si era gia addormentata. Mi accorsi, guardandola, che doveva essere ancora piu stanca di me. Se avessi avuto un briciolo di compassione, l’avrei abbracciata silenziosamente, e l’avrei lasciata dormire per tutta la notte, e io pure. Non potevo. Mi alzai, e preparai un po’ di quel caffe vero dal sapore strano, e mi sedetti sul bordo del letto, finche lei non senti l’odore e comincio a muoversi. Non voleva svegliarsi. Era sepolta sotto le lenzuola, e teneva fuori solo la punta del naso per respirare. C’era un odore caldo e dolce di donna addormentata, che si mescolava con quello del caffe. Si giro dall’altra parte, farfugliando qualcosa… le uniche parole che capii furono «sostituire i fusibili». Aspettai. Poi il ritmo del suo respiro cambio, e capii che era sveglia.

Apri gli occhi. — Ciao, Tenny — disse.

— Ciao, Mitzi. — Le porsi la tazza di caffe, ma lei l’ignoro per un momento, guardandomi molto seria.

— Vuoi davvero sposarmi?

— Puoi scommetterci, se…

Non aspetto che finissi la frase. Annui. — Anch’io — disse. — Se. — Si mise a sedere e prese la tazza. — Bene — disse, cambiando argomento, — come va?

Dissi: — Ho preparato alcuni nuovi argomenti, piuttosto forti. Forse dovremmo vederli assieme.

— E perche? Sei tu il responsabile. — Anche quell’argomento venne abbandonato. Le toccai una spalla. Lei non si sposto, ma non reagi neppure. C’erano molti altri argomenti che mi sarebbe piaciuto discutere. Dove saremmo andati a vivere. Se volevamo dei bambini, e di che sesso. Cosa avremmo fatto per divertirci, e poi, argomento sempre caro a chi e appena fidanzato, quanto e in qual modo ci amavamo l’un l’altra…

Ma non dissi nessuna di queste cose. Invece chiesi: — Cosa volevi dire con «sostituire i fusibili», Mitzi?

Lei si raddrizzo di scatto, facendo rovesciare il caffe nel piattino e fissandomi. — Cosa diavolo mi chiedi, Tenny? — disse con voce dura.

— A me sembra che stessi parlando di sabotare qualcosa. Proiettori campbelliani, giusto? State infiltrando degli agenti nelle unita limbali per danneggiare le apparecchiature?

— Stai zitto, Tenny.

—  Perche in questo caso — continuai con aria ragionevole, — non credo che funzionerebbe. Vedi, il viaggio fino a Venere e lungo, e ci saranno squadre di manutenzione tenute sveglie a rotazione. Non avranno altro da fare che controllare e ricontrollare l’equipaggiamento. Avranno un sacco di tempo per aggiustare quello che avrete sabotato.

Questo la scosse. Mise giu la tazza sul comodino, fissandomi.

— L’altra cosa che non mi convince, in questa faccenda — continuai, — e che quando scopriranno che c’e stato un sabotaggio, cominceranno a cercare i responsabili. E vero che i servizi di controspionaggio terrestre riposano sugli allori… e un sacco di tempo che non devono preoccuparsi di niente. Pero voi potreste risvegliarli.

— Tenny — esplose Mitzi, — piantala. Fai il tuo maledetto lavoro. Lascia che ci preoccupiamo noi della sicurezza.

Cosi feci quello che avrei dovuto fare subito. Spensi la luce, mi infilai a letto e la presi fra le braccia. Non parlammo piu. Mentre scivolavo nel sonno, mi resi conto che stava piangendo. Non ne rimasi sorpreso. Era un pessimo modo di passare il tempo per una copia di fidanzatini, quello, ma era 1 unico che avessimo. Non potevamo parlare normalmente, per il semplice fatto che lei aveva dei segreti che doveva proteggere.

E io avevo il mio.

Il sedici ottobre comparvero le decorazioni natalizie, con le tradizionali dieci settimane di anticipo. Il giorno delle elezioni si avvicinava.

Sono gli ultimi dieci giorni della campagna quelli che contano. Io ero pronto. Avevo fatto tutto quello che avevo potuto escogitare, e l’avevo fatto bene. Filava tutto liscio, in quei giorni, a parte una certa tendenza a tremare quando c’era una lattina di Mokie nella stanza (effetto della terapia di rigetto, se non lo sapeste), e una considerevole perdita di peso. La gente aveva smesso di dirmi che bell’aspetto avevo. Non ce n’era bisogno. Avevo esattamente l’aspetto che avrebbe chiunque quando ogni notte si sogna la lobotomia. Dixmeister entrava e usciva dal mio ufficio, tutto eccitato dalle sue nuove responsabilita, intimorito dai nuovi temi che gli andavo svelando. — E roba davvero forte, signor Tarb — mi disse a disagio. — Siete sicuro di non spingervi troppo in la?

— Se fosse cosi — dissi con un sorriso — non credi che la signorina Ku mi avrebbe bloccato? — Forse l’avrebbe fatto, se gliel’avessi detto. Ma ormai era troppo tardi. Dovevo andare avanti.

Lo fermai mentre si voltava per uscire. — Dixmeister, ho ricevuto una lamentela dalle reti per dei segnali imperfetti nelle nostre trasmissioni.

— Difetti di trasmissione? Accidenti, signor Tarb, non ho visto nessuna nota…

— Arriveranno fra poco. A me l’hanno detto direttamente per telefono. Percio voglio vederci chiaro. Portami il diagramma dei collegamenti di questo edificio. Voglio vedere dove finisce ogni segnale, dal punto di origine al centralino telefonico esterno.

— Senz’altro, signor Tarb! Volete solo le trasmissioni commerciali, naturalmente?

— Naturalmente no. Voglio tutto. E lo voglio subito.

— Ci vorra qualche ora, signor Tarb — si lamento. Aveva famiglia, e stava pensando a cosa avrebbe detto sua moglie se non tornava per la sera del Primo Regalo.

— Ce le hai le ore — gli dissi. Infatti era cosi. E non volevo che le passasse a cercare note dalle reti che non sarebbero arrivate, o a raccontare a qualcun altro dello staff quello che il signor Tarb stava facendo in quel momento. Quando mi ebbe trasmesso sul video l’intero sistema di circuiti, ne feci una copia su carta, me la misi in tasca, e lo portai con me a ispezionare fisicamente il posto dove tutte le linee convergevano: la sala comunicazioni, in cantina.

— Non sono mai stato in cantina, signor Tarb — si lamento lui. — Non possiamo lasciare l’incarico alla compagnia dei telefoni?

— No, se vogliamo essere promossi, Dixmeister — gli dissi gentilmente, e cosi scendemmo con l’ascensore fin dove poteva scendere, poi facemmo altri due piani col montacarichi. La cantina era sporca, squallida, scura, soffocante… era un sacco di cose che cominciavano per «S», anche solitaria. C’erano centinaia di metri quadrati di spazio, ma era tropo brutta per essere affittata, perno per la notte soltanto. Era proprio quello che mi ci voleva.

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