— Un folletto no — affermo Duefiori. — I folletti, loro indossano una specie di tutina verde, con berretti puntuti e delle piccole antenne che gli sbucano dalla testa. Ho visto le figure.

— Dove?

Duefiori esito e si guardo i piedi. — Credo che si chiamasse il 'mormorio, mormorio, mormorio'.

— Il cosa? Si chiamava cosa?

L’ometto prese a un tratto a interessarsi del dorso delle sue mani.

— Il Libro delle Fate-fiore del Piccolo Popolo — mormoro.

Scuotivento non capiva. — Si tratta di un libro che dice come evitarle?

— Oh no — dichiaro in fretta Duefiori. — Dice dove cercarle. Adesso mi ricordo le figure. — Sul viso gli si dipinse un’espressione sognante e dentro di se Scuotivento ebbe un gemito. — C’era anche una fata speciale che veniva a portarti via i denti.

— Cosa? Veniva e ti tirava via i denti…?

— No, no, ti sbagli. Voglio dire: dopo che ti era caduto un dente, uno lo metteva sotto il cuscino, la fata veniva, lo portava via e lasciava una moneta, un rhinu.

— Perche?

— Perche cosa?

— Perche collezionava denti?

— Lo faceva e basta.

Scuotivento ebbe la visione di una strana entita che viveva in un castello fatto di denti. Il genere di visione che si cerca di dimenticare. Senza riuscirci.

— Urgh — si limito a dire.

Cappelli rossi! Si chiedeva se dovesse illuminare il turista su cio che era realmente la vita quando la rana costituiva un buon pasto, la tana di coniglio un posto utile per ripararsi dalla pioggia e un gufo rappresentava una creatura terrorizzante che scivola silenziosa nella notte. I pantaloni di una talpa potevano suonare buffi finche uno non doveva sfilarli personalmente al legittimo proprietario quando quell’antipatica bestiola era rintanata nel suo covo. Quanto ai cappelli rossi, chiunque se ne fosse andato in giro per la foresta facendosi notare con quel colore brillante, lo avrebbe fatto per poco tempo, per pochissimo tempo.

Avrebbe voluto dire all’ometto: 'Ascolta, la vita degli gnomi e dei goblin e breve, ripugnante, bestiale. Come loro'.

Avrebbe voluto dirgli tutto questo e non ne fu capace. Per un uomo come lui, con il pallino di vedere tutto dell’infinito, in realta Duefiori non faceva mai un passo fuori della propria testa. Dirgli la verita sarebbe stato come prendere a calci uno spaniel.

— Swee whee weedle wheet - disse una voce vicino al piede del mago. Questi abbasso gli occhi. Lo gnomo, che si era presentato come Swires, alzo i suoi. Scuotivento aveva un orecchio eccellente per le lingue. Lo gnomo aveva detto: — Ho un sorbetto di tritone avanzato da ieri.

— Splendido — borbotto Scuotivento.

Swires gli diede un’altra manata alla caviglia.

— Quell’altro la, sta bene? — s’informo premuroso.

— Soffre soltanto di uno shock da realta. Non avresti un cappello rosso, per caso?

— Wheet?

— Niente, solo un’idea.

— Io so dove c’e del cibo per voi piu grandi — disse lo gnomo — e anche un riparo. Non e lontano.

Scuotivento guardo il cielo. La luce del giorno stava scomparendo dal paesaggio e le nuvole davano l’impressione di aver sentito parlare della neve e di prendere l’idea in considerazione. Certo, non bisognava per forza fidarsi di persone che vivono nei funghi, ma in quel momento una trappola munita dell’esca di un pasto caldo e di lenzuola pulite avrebbe indotto il mago a batterci su con i pugni per entrarvi.

I tre s’incamminarono. Qualche secondo dopo il Bagaglio si mise cautamente in piedi e prese a seguirli.

— Psst!

Il Bagaglio si giro con precauzione, muovendo le gambette in una manovra complicata, e parve guardare in su.

— E bello essere l’opera di un falegname? — chiese ansioso l’albero. — Fa male?

Sembro che il Bagaglio ci pensasse su. Ogni sua maniglia di ottone, ogni suo foro irradiavano una concentrazione estrema. Poi scrollo il coperchio e si allontano dondolando. Con un sospiro, l’albero si scosse dai rami qualche foglia morta.

Il cottage era piccolo, in cattivo stato, eccessivamente decorato. Doveva essere l’opera di un intagliatore pazzo, decise Scuotivento, uno che aveva fatto un orribile pasticcio prima di essere trascinato via. Ogni porta, ogni imposta esibiva una quantita di grappoli di legno e di fessure a mezzaluna e sopra i muri c’era un trionfo di fregi formati da pigne. Il mago quasi si aspettava che un cuculo gigantesco sbucasse fuori d’improvviso da una finestra del piano superiore.

Noto pure nell’aria il tipico sentore oleoso. Minuscole scintille verdi e purpuree gli sprizzarono dalle unghie.

— Un forte campo magico — borbotto il mago. — Almeno un centinaio di millithaum. [Un Thaum e l’unita base della forza magica, universalmente fissata come la quantita di magia necessaria per creare un piccolo piccione bianco o tre palle da biliardo di dimensioni normali.]

— C’e magia dappertutto in questo posto — osservo Swires. — Da queste parti viveva una vecchia strega. Se ne e andata molto tempo fa ma la magia tiene in piedi la casa.

— Ehi, quella porta ha qualcosa di strano — dichiaro Duefiori.

— Perche una casa dovrebbe avere bisogno della magia per stare in piedi? — chiese Scuotivento.

Duefiori tocco una parete. — E tutta appiccicosa!

— Torrone — disse Swires.

— Accipicchia! Un vero cottage di marzapane! Scuotivento, un vero…

Il mago annui con aria cupa. — Gia, la Scuola di Architettura Pasticcera. Non si e mai affermata. — Guardo sospettoso il batacchio di liquerizia.

— Si potrebbe dire che il cottage si rigenera — spiego Swires. — Davvero straordinario. Oggigiorno e impossibile avere un posto del genere, non si trova il marzapane.

— Davvero? — fu il lugubre commento di Scuotivento.

— Entrate, ma attenzione allo zerbino — li ammoni lo gnomo.

— Perche?

— Zucchero filato.

Il grande Disco rotava lento sotto il sole che percorreva faticosamente il suo cammino e la luce del giorno indugiava nelle vallate per poi finalmente ritirarsi con il calar della notte.

Nella sua fredda stanza all’Universita Invisibile, Trymon era chino sul libro e muoveva le labbra mentre col dito seguiva l’antica scrittura, a lui poco familiare. Lesse che la Grande Piramide di Tsort, da lungo tempo scomparsa, era formata da un milione e tremiladieci blocchi calcarei. Lesse che per erigerla diecimila schiavi erano morti sul lavoro. Apprese che era formata da un labirinto di passaggi segreti, con le pareti decorate con la saggezza distillata dell’antico Tsort. Lesse che la sua altezza piu la lunghezza divisa per meta della larghezza era esattamente pari a 1,67563, o precisamente 1.237,98712567 volte la differenza tra la distanza dal sole e il peso di una piccola arancia. Apprese che erano stati dedicati alla sua costruzione ben sessanta anni.

Secondo lui, una gran fatica soltanto per affilare una lama di rasoio.

E nella Foresta di Skund, Duefiori e Scuotivento consumavano un pasto consistente in mensola di marzapane. E pensavano con nostalgia alle cipolle in agrodolce.

E molto lontano, sebbene fisso su una rotta di collisione, il massimo eroe mai prodotto dal Disco si arrotolava una sigaretta, inconsapevole del ruolo che lo attendeva.

Era una vera opera d’arte quella che rigirava con dita esperte perche, al pari di molti maghi girovaghi dai quali aveva appreso l’arte, lui aveva l’abitudine di mettere da parte i mozziconi in un sacchetto di pelle e di arrotolarli per farne nuove sigarette. Secondo l’implacabile legge del calcolo delle probabilita, parte di quel tabacco ormai era stata fumata ripetutamente da molti anni. La cosa che il nostro eroe stava cercando invano di accendere era… be’, ci si sarebbe potuto asfaltare una strada.

Tanto grande era la reputazione di questa persona che un gruppo di cavalieri nomadi l’avevano rispettosamente invitata a unirsi a loro intorno a un fuoco di sterco di cavallo. I nomadi delle regioni centrali di solito migravano per l’inverno verso l’orlo de! Disco. Quelli appartenevano a una tribu che aveva piantato ie tende di feltro durante una tremenda ondata di caldo di -3 gradi. E se ne andavano in giro con il naso spellato a lamentarsi di un colpo di calore.

Il capo dei barbari domando: — Quali sono dunque le cose piu grandi che un uomo puo trovare nella vita? — E questo, negli ambienti barbari, il genere di domanda che si deve fare per mantenere vivo lo spirito della steppa.

L’uomo alla sua destra ingollo pensieroso il suo cocktail di latte di giumenta e sangue di gatto delle nevi, e parlo cosi: — L’orizzonte tonificante della steppa, il vento nei capelli, montare un cavallo fresco.

L’uomo alla sua sinistra dichiaro: — Il grido dell’aquila bianca alta nel cielo, la neve che cade sulla foresta, una buona freccia al proprio arco.

Il capo annui e disse: — Di sicuro e la vista del tuo nemico trucidato, l’umiliazione della sua tribu e il lamento delle sue donne.

Un tale sfoggio di truculenza fu accolto dai suoi baffuti compagni con un mormorio generale di approvazione.

Poi il capotribu si volse rispettosamente al suo ospite, un ometto occupato a riscaldarsi i geloni al fuoco e gli chiese: — Ma il nostro ospite, il cui nome e leggendario, deve dirci sinceramente: quali sono per un uomo le cose piu grandi della vita?

L’ospite s’interruppe mentre tentava ancora una volta di accendersi la sigaretta.

— Che disci? — biascico con la bocca sdentata.

— Ho detto: quali sono per un uomo le cose piu grandi della vita?

I guerrieri si chinarono attenti, ansiosi di udire la risposta.

L’ospite riflette a lungo e poi dichiaro: — Acqua calda, un buon dentista e carta igienica morbida.

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