sparse qua e la, pochi metri sotto ai nostri piedi. E noi stavamo cadendo, lentamente.
— Tre… — L’astronave non ando oltre. Ci fu un lampo troppo luminoso, e io vidi l’orizzonte abbassarsi di colpo quando la coda della nave si inclino… e poi urto il terreno, e noi rotolammo, orribilmente, sparpagliandoci, pezzi di persone e di macchina. Poi, roteando, scivolammo e ci fermammo tra gli scossoni, e io cercai di liberarmi, ma la mia gamba era inchiodata sotto la mole della nave: un dolore atroce e uno scricchiolio secco quando la trave mi schiaccio la gamba; il fischio stridulo dell’aria che sfuggiva dallo scafandro squarciato; poi l’impianto antitrauma si accese,
Lo Scafandro e fatto in modo da salvare la maggior parte del corpo di chi lo porta. Se perdi una parte d’un braccio o di una gamba, uno dei sedici diaframmi affilati come rasoi si chiude intorno all’arto con la forza d’una pressa idraulica, prima che tu abbia il tempo di morire di decompressione esplosiva. Poi l’impianto antitrauma cauterizza il moncherino, sostituisce il sangue perduto e ti riempie di antishock e di liquido euforizzante. Percio muori felice oppure, se i tuoi camerati ti tirano avanti e vincono la battaglia, alla fine ti riportano su, al pronto soccorso dell’astronave.
Mentre io dormivo avvolto in una coltre nera, vincemmo quel round.
Mi risvegliai all’infermeria. Era affollata. Io ero al centro d’una lunga fila di cuccette, ognuna delle quali ospitava qualcuno salvato per tre quarti (o anche meno) dagli impianti dello scafandro. Eravamo completamente ignorati dai due dottori dell’astronave, che stavano sotto la luce viva accanto ai tavoli operatori, assorti nei loro riti cruenti. Se guardavi socchiudendo gli occhi in quella luce viva, avevi l’impressione che il sangue sulle loro tuniche verdi fosse grasso, i corpi fasciati fossero strane macchine morbide che essi stavano riparando. Ma le macchine gridavano nel sonno e i meccanici borbottavano frasi tranquillizzanti mentre manovravano gli attrezzi sporchi. Io guardavo e dormivo e mi svegliavo in posti sempre diversi.
Alla fine mi svegliai in un’infermeria regolare. Ero imbragato con le cinghie, venivo alimentato per fleboclisi, e avevo gli elettrodi dei biosensori attaccati un po’ dappertutto, ma non c’era personale medico in giro.
Nella stanzetta c’era solo un’altra persona, ed era Marygay, che dormiva nella cuccetta accanto alla mia. Aveva il braccio destro amputato appena sopra il gomito.
Non la svegliai; restai a guardarla a lungo, cercando di districare i miei sentimenti; cercai di escludere l’effetto delle droghe psicotrope. Nel guardare il suo moncherino, non riuscivo a provare ne pieta ne ripugnanza. Cercai di impormi prima una reazione, poi l’altra, ma non accadde niente. Era come se lei fosse sempre stata cosi. Erano le droghe, il condizionamento, l’amore? Avrei dovuto aspettare, per scoprirlo.
Ella apri gli occhi all’improvviso e capii che era sveglia da un po’, e aveva voluto lasciarmi il tempo di pensare. — Ciao, giocattolo rotto — mi disse.
— Come… Come stai? — Domanda intelligente.
Marygay si porto un dito alle labbra e mi mando un bacio, in un gesto che le era abituale. — Stordita, stupido. Sono felice di non essere piu un soldato. — Sorrise. — Te lo hanno detto? Ci portano a Paradiso.
— No. Sapevo pero che ci portavano li o sulla Terra.
— Paradiso sara meglio. — Qualunque posto sarebbe stato meglio. — Vorrei che ci fossimo gia.
— Quanto? — domandai. — Quanto ci vuole prima che ci arriviamo?
Lei si giro e guardo il soffitto. — E chi lo sa. Non hai parlato con nessuno?
— Mi sono appena svegliato.
— C’e una nuova direttiva: prima non si erano presi il disturbo di parlarne. La
— E sarebbero?
— Non lo so. Abbiamo perso gia un buon terzo degli effettivi. Ma adesso siamo diretti verso Aleph-7. A caccia di mutande. — Era il nuovo termine in gergo per un tipo d’operazione il cui scopo principale consisteva nel rastrellare manufatti taurani, e prigionieri, se possibile. Cercai di pensare da dove potesse venire quel termine, ma l’unica spiegazione che trovai era veramente idiota.
Bussarono alla porta, e il dottor Foster entro a passo di carica, facendo svolazzare le mani. — Ancora in
Esamino prima il moncherino di Marygay, poi il mio. Ci caccio in bocca i termometri, in modo che non potessimo parlare. Poi parlo lui, in tono serio e brusco.
— Non ho intenzione di indorarvi la pillola. Siete tutti e due imbottiti fino alle orecchie di fluido euforizzante, e le mutilazioni che avete subito non vi daranno fastidio fino a quando non smettero di darvi quella roba. Per mia comodita, vi terro drogati fino all’arrivo a Paradiso. Ho ventuno amputati di cui occuparmi. E non siamo in grado di occuparci di ventun casi psichiatrici.
'Godetevi la vostra serenita, finche l’avete. Specialmente voi due, dato che probabilmente vorrete restare insieme. Le protesi che vi metteranno a Paradiso funzioneranno benissimo, ma ogni volta che tu guarderai la gamba meccanica di lui, e tu il braccio meccanico di lei, comincerete a pensare, tutti e due, che l’altro e piu fortunato. Continuerete a rievocare ricordi dolorosi… e probabile che in meno di una settimana finirete per detestarvi. Oppure potrete conservare una specie di torvo amore reciproco per il resto della vostra vita.
'O magari riuscirete a trascenderlo. A darvi reciprocamente forza. Solo, cercate di non ingannare voi stessi, se poi vi accorgerete che non funziona.'
Controllo i termometri e prese un appunto sul taccuino. — Il dottore queste cose le sa, anche se vi pare un po’ strambo, con la vostra mentalita antiquata. — Mi tolse il termometro dalla bocca e mi diede una lieve pacca sulla spalla. Poi, imparzialmente, fece lo stesso con Marygay. Quando fu arrivato sulla porta, disse: — Andremo in inserzione in un campo collapsar fra circa sei ore. Una delle infermiere vi portera alle vasche.
Andammo nelle vasche, tanto piu comode e sicure dei vecchi gusci individuali antiaccelerazione, e piombammo nel campo collapsar di Tet-2, cominciando immediatamente le pazzesche manovre evasive a cinquanta gravita che ci avrebbero protetti dagli incrociatori nemici quando saremmo sgusciati fuori nei pressi di Aleph-7, un microsecondo piu tardi.
Com’era prevedibile, la campagna di Aleph-7 fu un fallimento sconsolante, e la nostra astronave se ne allontano zoppicando, con due campagne all’attivo e un totale di cinquantaquattro morti e di trentanove invalidi, per dirigersi su Paradiso. C’erano solo dodici soldati ancora in grado di combattere, ma non scalpitavano precisamente per farlo.
Ci vollero tre balzi da una collapsar all’altra per arrivare a Paradiso. Nessuna astronave ci andava mai direttamente dopo una battaglia, anche se qualche volta il ritardo costava delle vite in piu. Era l’unico posto, oltre alla Terra, che i taurani non dovevano assolutamente trovare.
Paradiso era un delizioso mondo incontaminato, simile alla Terra… cioe, a quello che sarebbe stata la Terra se gli uomini l’avessero trattata con comprensione e non con avidita. Foreste vergini, spiagge bianche, deserti intatti. Le poche dozzine di citta si fondevano perfettamente nell’ambiente (una era completamente sotterranea), oppure erano fiere affermazioni dell’ingegnosita umana: Oceanus, in una barriera corallina, con sei braccia d’acqua sopra il tetto trasparente; Boreas, sulla vetta spianata di una montagna nelle desolate zone polari; e la favolosa Skye, un’enorme localita di villeggiatura, volante, che si spostava da un continente agli altri, sospinta dagli alisei.
Sbarcammo, come tutti gli altri, nella citta della giungla, Threshold. Ospedale per tre quarti, e di gran lunga la maggiore citta del pianeta, ma dall’alto, scendendo dall’orbita, era impossibile vederla. L’unico segno di civilta era una breve pista che apparve all’improvviso, una piccola traccia bianca che appariva insignificante accanto alla maestosa foresta pluviale che si estendeva da oriente, e all’immenso oceano che dominava l’altro orizzonte.
Quando si arrivava sotto la copertura arborea, si vedeva molto meglio la citta. I bassi edifici di pietra locale e di legno sorgevano fra i tronchi del diametro di tre metri; erano collegati da discreti viottoli pavimentati di sassi, e c’era un’ampia passeggiata che arrivava fino alla spiaggia. La luce del sole scendeva a sprazzi tra le fronde, e nell’aria c’era un miscuglio di dolci aromi della foresta e di odore salmastro.
Venni a sapere in seguito che la citta si estendeva su un’area di oltre 200 chilometri quadrati, e che si