d'antiquariato. Quella stazione di polizia formato giocattolo era un maledetto museo.
Come tutti gli oggetti che affollavano la scrivania, anche il computer era coperto da uno strato di polvere. Nel fax erano ammonticchiati una dozzina di fogli, e dalle date, Lilith si accorse che la macchina era stata ignorata dal giorno dell'infarto di Travis. Evidentemente fax e computer erano di dominio del vicesceriffo.
Lilith doveva ancora vedere la famosa detenuta. Lo sceriffo Jessop era al piano di sopra, dove si trovavano le celle, mentre lei era bloccata accanto a un telefono che non squillava mai. La sua scrivania era di fronte alla porta aperta dell'ufficio privato dello sceriffo. Alle pareti c'erano delle vetrinette con alcune pistole del primo Ottocento. Alle spalle dello scrittoio di mogano, una mappa ingiallita raffigurava il Mississippi molto prima che gli argini venissero costruiti. Allora aveva un corso diverso, e le sue acque scorrevano limpide, non ancora minacciate dagli scarichi delle industrie chimiche.
Dietro la scrivania dello sceriffo c'era una scaffalatura bassa piena di documenti, libri e una sacca da viaggio in pelle nera che sembrava sul punto di scivolare per terra. Lilith riconobbe l'etichetta color arancione che la contrassegnava come prova. Doveva appartenere alla detenuta. Il giorno dell'omicidio di Babe Laurie era stata consegnata allo sceriffo da Betty Hale, la padrona del bed & breakfast.
Lilith lancio un'occhiata alla scala alla sua destra. Di certo i vecchi gradini avrebbero scricchiolato quando lo sceriffo fosse sceso. Entro con passi felpati nell'ufficio e apri la sacca. In un sacchetto di plastica trasparente c'era una pistola 357 Smith & Wesson. Strano, il manuale della Scuola di polizia diceva a chiare lettere che la carta, e non la plastica, era il materiale migliore per preservare le impronte su una superficie liscia.
Scosse il capo pensando alla dabbenaggine della generazione piu anziana.
Sotto il sacchetto con la pistola c'erano dei vestiti. Le scarpe da corsa erano del tipo piu costoso, e i blue jeans esibivano il marchio di un famoso stilista. Il blazer rivelava tutti i dettagli di un indumento sartoriale, ma nel punto della fodera in cui avrebbe dovuto trovarsi l'etichetta della griffe c'era un piccolo buco. A parte la biancheria di seta, non c'erano oggetti personali che collegassero la detenuta a un nome o un luogo.
Nella tasca laterale della sacca trovo un fascio di cavetti e una scatola di metallo grande come un pacchetto di sigarette alla quale era attaccato un bastoncino d'argento. Sembrava un palmare, ma non poteva esserlo, perche non aveva un display. Eppure alla base c'erano porte di accesso per il computer. Forse era un accessorio del portatile che era nell'altra tasca. Lo tiro fuori e, dopo averlo avviato, cerco di aprire un file, ma il menu principale scomparve, senza neppure consentirle di provare a digitare una
Cosi alla detenuta piacevano computer, pistole potenti e bei vestiti.
Lilith rimise ogni cosa nella sacca e ritorno alla sua scrivania. Alle nove in punto, come le aveva richiesto lo sceriffo, si mise in contatto con l'FBI per ottenere i risultati delle analisi condotte sul proiettile e il numero di serie della pistola. Le risposero che non avevano ancora nulla e che l'avrebbero contattata loro.
Con il pretesto di riferirgli la novita, raggiunse lo sceriffo al piano di sopra.
Su tre celle, una sola era occupata.
Lilith esito accanto alla porta in cima alla rampa. La apri con precauzione, per non far cigolare i cardini. Poco prima aveva irritato Jessop facendo stridere la sua sedia girevole.
Ai tempi dell'infanzia di Lilith, lo sceriffo era stato grande amico di suo padre. La loro amicizia era nata nei bar di Dayborn, alimentata da fiumi di alcol e di chiacchiere. Ma il Tom Jessop che conosceva Lilith non poteva essere la stessa persona che Guy Beaudare ricordava come un uomo eccezionale. I suoi occhi erano cambiati; ora erano piu spenti, stanchi.
Per qualche motivo Jessop era regredito, era diventato un uomo qualsiasi, come molti altri.
Quando Lilith apri la porta, lo sceriffo era nel corridoio davanti alla cella di Mallory. La pancia gli debordava oltre la cintura e i capelli radi, un tempo folti e neri, erano ormai grigi. Dove l'ampia falda dello Stetson gli proteggeva la fronte, la pelle era rimasta pallida, in forte contrasto con il naso e le guance bruciate dal sole.
Lo sceriffo si allontano dalla cella e si appoggio al muro del corridoio, dando la possibilita a Lilith di dare una prima occhiata alla detenuta. Mallory indossava un abito a strisce con la scritta: «Prigione distrettuale di St. Jude».
Lilith trattenne il respiro.
Era l'angelo del cimitero in carne e ossa. I capelli le scendevano sulle spalle in luminosi riccioli biondi. Gli occhi, innaturalmente verdi, parevano quelli di un animale in agguato. Per un attimo si focalizzarono su Lilith, poi passarono oltre. Benche Mallory fosse dietro le sbarre, Lilith porto istintivamente la mano alla pistola. Dal suo sguardo era chiaro che quella donna non era un angelo, ma una creatura diabolica.
Lo sceriffo le si rivolgeva nel tono che gli adulti riservano ai bambini innocenti.
Poi si rese conto che Jessop non stava parlando con Mallory, ma con il ricordo che aveva di lei a sette anni.
«Allora, Kathy» disse, prendendo una sigaretta dal taschino e infilandosela nell'angolo della bocca. «Di' un po'» e apri una scatola di fiammiferi, si accese la sigaretta e osservo il fumo che entrava nella cella, «com'e tornare a casa dopo tutti questi anni?»
«Non sarebbe poi cosi male,» rispose Mallory «se solo la gente non impiegasse mezza giornata a finire una frase.» E poi, rivolta al muro: «Non chiamarmi Kathy».
La testa di Jessop si giro di scatto. Si era improvvisamente accorto che in fondo al corridoio era apparsa la sua vice. «Che c'e? Parla.»
«Ho chiamato l'FBI, signore.» La voce di Lilith era bassa e debole.
Raddrizzo le spalle e disse, piu forte: «Non hanno ancora scoperto la provenienza della pistola ma ci stanno lavorando, signore».
«Bene, ragazza. Grazie infinite per essere salita fin qui per darmi questa informazione inutile. Ora tornatene giu al tuo posto. E bada al telefono.»
Lilith si morse le labbra per paura che le sfuggisse una rispostaccia. Non sarebbe stato bello essere licenziata il primo giorno di lavoro. Come Augusta aveva intuito, Lilith era ambiziosa.
Il volto dello sceriffo era paonazzo, a conferma del suo pessimo carattere. «Cosa diavolo stai aspettando, ragazza?»
Mallory fissava Lilith con un sorriso inquietante e pieno di disprezzo: «Non dovresti permettergli di chiamarti 'ragazza', a meno che non ti autorizzi a chiamarlo 'grassone'».
Lo sceriffo punto il dito contro la sua vice e urlo: «Muoviti, ragazza! Subito!».
E Lilith si mosse, sbattendosi la porta alle spalle e scendendo i gradini a due alla volta.
Arrivata in fondo alle scale si trovo di fronte una donna di mezza eta in tailleur grigio che sbraitava fissandola con occhi furibondi.
Dietro la donna c'era un ragazzo magro, piu o meno dell'eta di Lilith.
Aveva occhi nocciola con ciglia folte, e capelli castano chiaro come quelli della donna. Ma, diversamente da lei, era tranquillo. Troppo tranquillo. Aveva tutte e due le mani bendate.
Forse era sotto sedativi?
Comincio a disegnare cerchi con le mani. Quella semplice attivita pareva impegnare tutta la sua attenzione.
Certo. Portava le solite calze rosse e la camicia dello stesse colore ben infilata nei blue jeans. Dall'aspetto innocente e dal vorticare nervoso delle mani, Lilith comprese che il bambino di cui aveva ricordo non era mai cresciuto. Gli altri ragazzini lo chiamavano l'idiota, e a sei anni Lilith aveva creduto che quello fosse il suo vero nome. Suo padre l'aveva fatta ricredere a suon di schiaffoni.
«Ciao, Ira» gli disse. «Come va?»
La donna urlante si calmo. Il volto irato si distese in un sorriso quando si rivolse al figlio.
«Saluta la vicesceriffo, Ira.»
«Saluta la vicesceriffo» ripete Ira.
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