— Non ce ne sono nemmeno sui tronchi. L’aria e limpida, ma non vi e nulla che vola.
— Be’ — disse Xavier con una certa logica — dubito che gli insetti si siano estinti dall’ultima volta che ci siamo fermati.
Continuai la mia ispezione. John parlava con Joaz a bassa voce. Avrei potuto sentire quello che stavano dicendo, se avessi voluto, ma non me ne diedi la pena.
Nonostante l’umidita e la monotonia dei colori, il posto mi parve molto bello. Veli di nebbiolina salivano dal suolo verso l’aria calda offuscando la cortina di verde e mitigandone l’intensita del colore. A parte il debole rumore dell’acqua che gocciolava sull’erba c’era un gran silenzio. Non vi era vento a far frusciare i rami ne animali a scuoterli.
Eppure qualcosa si muoveva.
Di sfuggita, con la coda dell’occhio, intravidi una sagoma, ma fu sufficiente a farmi cambiar strada per inseguirla. Non sapevo cosa potesse muoversi cosi silenziosamente nel folto della vegetazione, ma ero certo che fosse reale e non uno scherzo delle ombre.
Avvicinandomi maldestramente al luogo dove avevo visto il movimento, spaventai la creatura che, prima di fuggire, si fermo un istante a guardarmi.
Era un animale piccolo e snello, simile a un cavallo ma delle dimensioni di una lepre. Sul dorso la pelliccia era color bronzo, mentre sul ventre sfumava nel bianco dell’ermellino. L’animale aveva una lunga criniera argentata e luminosi occhi color rame. La coda ondeggiava come una fiamma d’argento, oscillando e sventolando, mentre l’animale si allontanava velocemente tra i rami intricati senza muovere nemmeno una foglia.
Lo vidi per un istante mentre saltava nell’impenetrabile vegetazione, ma di una cosa ero sicuro: tra le orecchie appuntite della creatura c’era un corno perlaceo, sottile e ritorto, che risplendeva riflettendo sulla sua superficie lucida e levigata la luce del sole.
L’animale era un unicorno. Ma se quello era l’unicorno delle leggende che avevo sentito in gioventu, allora i miti avevano travisato tutta la realta tramandandone una pallida versione.
Mi allontanai con riluttanza, sapendo che non potevo inseguirlo, e ritornai dai miei compagni.
— Ho visto un unicorno — dissi, incerto. Non sapevo se aspettarmi canzonature o totale indifferenza.
— Dov’era? — domando John.
— Nella foresta.
— Sei sicuro? — chiese da parte sua Joaz.
— Sono sicuro.
Scrutarono gli alberi intorno a noi. Non si udivano rumori, niente si muoveva. Mi rendevo conto che Joaz e Xavier avevano assunto una posizione neutra: non erano scettici ma allo stesso tempo non mi credevano. Solo John era convinto che avessi visto davvero l’unicorno. Mi conosceva abbastanza bene da saper interpretare la mia voce.
— Come puo una leggenda del passato diventare una realta del futuro? — domandai.
John mi scruto attentamente. — Qui, tu sei diverso — disse. — Al monastero, tra le montagne, e anche molto prima di allora, non facevi mai domande. Conoscevi gia tutte le risposte che ti interessavano. Qui ti guardi continuamente intorno alla ricerca di qualcosa di nuovo, sempre in cerca di spiegazioni.
Era vero. Mi piaceva sapere dov’ero e cosa stavo facendo. Mi ero sentito a mio agio nel mio tempo, avevo conosciuto il mondo e cio che conteneva. Non avevo mai dovuto sorprendermi ne cambiare idee. Non mi ero mai sentito come ora, fin da quando ero bambino.
— Non e una risposta — gli feci notare.
— Ci sono molteplici realta, Matthew — disse Joaz. — Forse nel tempo tutti i sogni possono avverarsi.
— Ma non c’e stato il tempo! — dissi. — Negli ultimi giorni ci siamo appena mossi, rispetto a quello che abbiamo visto nelle prime ore, quando il passato ci scorreva accanto. E anche a quella velocita la vita si evolveva lentamente.
— La vita — disse Joaz — ma non l’Uomo. La vita dell’Uomo era invisibile. Matthew, non sappiamo se le ere che abbiamo visto in poche ore sono trascorse piu velocemente dei minuti che adesso pensiamo stiano scorrendo a una velocita normale. Il tempo non procede in modo costante, non te ne sei accorto? Dell’“adesso” non possiamo dire a quale distanza sia rispetto a quando siamo partiti, ne che l’inizio del tempo sia molto piu oltre. Il tempo non e distanza, Matthew. Non e una dimensione, una misura, una quantita fissa. E una percezione del tutto nuova. Non riesci a usare gli occhi e vederlo?
— No — confessai. — Non ne sono capace. Non ci riesco affatto. Non vedo altro che confusione e sconcerto.
— Povero Matthew — intervenne John. — Osservare con tanto impegno e vedere cosi poco.
Sorrise ironicamente. A un tratto mi sentii un bambino e lui era l’adulto che mi sorrideva dall’alto della sua esperienza e della sua sicurezza. Era cosi che gli apparivo, quand’era piu giovane?
— Vorrei non essere mai venuto — dissi.
Era un’affermazione sacrilega che rattristo subito John. Sapevo che si sentiva responsabile della mia presenza. Sapevo anche che mi voleva li, al suo fianco, per assistere alla realizzazione del suo sogno. Se mai il suo sogno si fosse realizzato.
— Mi dispiace — dissi. — Non volevo dirlo, ma e tutto cosi strano. Siete cambiati moltissimo, e ora siete molto piu avanti di me. Non riusciro mai a capire. Sono fuori posto. Non sono nel mio tipo di mondo. Sono un peso per voi.
— No — disse John. — Non un peso, ma una fonte di forza. Abbiamo tutti bisogno di qualcuno a cui appoggiarci, Matthew. Quanto piu abbiamo delle necessita tanto piu abbiamo bisogno dell’appoggio di qualcuno. Questa ricerca non puo avere successo senza di te. Forse, alla fine, avremo bisogno dei tuoi occhi per sapere che ci siamo riusciti, e non dei nostri. Vediamo cose diverse, ma questo significa solo che insieme vediamo di piu.
Era sincero. Avrei voluto potergli credere, ma sapevo che da lui avevo sempre tratto la mia forza. Era possibile che due persone traessero cio di cui avevano bisogno l’una dall’altra? Da dove veniva tutta questa forza?
Non sapevo rispondere, non era il tipo di problemi per me. Non ero un pensatore, non nel modo in cui lo erano Joaz o Alvaro. Ero un uomo normale e tranquillo che viveva la sua vita, invece di cercarla.
Un tempo era John a essere perso nel mio mondo. Ora ero io a essere perso nel suo.
17. Altre terre, altri Signori
Il sole era una sfera cremisi nel cielo d’occidente. Una scia di nubi rosa e viola se ne stava immobile sotto il sole come un cuscino sul quale riposare. Nella penombra dell’est altri ciuffi di nuvole sorgevano dalle montagne schiudendosi come fiori. In alto il cielo era piu limpido, interrotto solo dalla faccia argentea e sfregiata della luna al suo zenit. Era una luna assai piu grande del normale, e a occhio nudo mostrava molti piu dettagli della sua superficie inalterata nei secoli. L’uomo che sorrideva e la vecchia signora con il suo fardello di fascine che ero solito vedervi da bambino non erano piu visibili. Sebbene le fattezze del satellite fossero le stesse, ora la sua vicinanza creava l’illusione di sinuosi dragoni cinesi che combattevano contro oscure figure blu incappucciate come monaci.
— Non e affatto quello che mi aspettavo — si lamento Fra Xavier asciugandosi il sudore che gli colava sulle guance. Il viaggio iniziava a pesargli parecchio. Xavier non era in piena salute e cominciava a sembrare spaventato e riluttante. Mentre peggiorava, io mi ero acclimatato un poco, e ora provavo pena per lui.
— Altre terre — disse Fra Joaz, come se quella fosse una spiegazione sufficiente. John non fece alcun commento. Entrambi soffrivano per il caldo, ma non cosi tanto come il grassoccio Xavier.
— Forse e un’illusione, o forse no — commentai. — Non durera per sempre. Ci dev’essere qualcosa al di la, qualcosa al di fuori.
Xavier restava in silenzio, risparmiando il fiato per camminare. Non appariva per nulla rassicurato. Aveva sul viso una smorfia di sofferenza, ma non chiese di riposare. Ci eravamo gia fermati una volta in quella terra desolata che sembrava estendersi all’infinito nel tempo e nello spazio.
Anche con la luce del sole e della luna la Terra era poco illuminata. Il sole era molto fioco e la luna, nonostante la vicinanza, sembrava meno nitida e piu rossastra. Una terza fonte di luce proveniva da sud, come