risposte c’erano e ci sarebbero state, ma non era piu necessario fare domande.

Xavier soffriva di una malattia che a poco a poco gli prosciugava le forze.

— Siamo tutti malati — gli disse Joaz. — Non e nulla. Forse il residuo di qualche malattia che abbiamo portato con noi dal nostro mondo. O forse un effetto della droga.

Raccontata la sua storia, Raon ci aveva lasciati per piangere in disparte su cose passate da tempo ma mai accadute. Restammo da soli nella citta della notte eterna, abbandonata dagli uomini e dalle aquile quando il sole aveva smesso di splendere.

— Mi brucia lo stomaco — disse Xavier. — Sento come delle bolle che risalgono dalle viscere, si espandono nello stomaco e mi fanno male. Sto morendo.

Lasciai i due frati e raggiunsi John, intento poco lontano a scrutare il buio di quella notte senza stelle.

— Potrebbe non vedere mai la fine di questa notte — dissi, con la speranza di sbagliarmi.

— Siamo per sempre in stallo — disse John, mostrando il primo accenno d’impazienza dopo molto tempo. — Giorni che non finiscono mai e notti che non hanno mai fine. Dove puo essere la nostra meta?

— Tu hai le risposte — replicai con una certa asprezza. — Tu hai la fede! Tu sai che possiamo e dobbiamo riuscire. Ora cominci ad avere dei dubbi? Rimpianti, forse?

Si volto a guardarmi e nei suoi occhi vividi e infossati colsi un bagliore. John sembrava trarre forza dalle mie stesse parole, sia che lo incoraggiassi sia che lo rimproverassi.

— Stai molto male? — chiese. A modo suo era come se avesse detto: “Abbiamo tutti dei dubbi. E abbiamo fede”.

— Ho dei dolori, ma non molto forti, e un po’ di febbre. Il peso del viaggio si fa sentire.

— Gia — disse lui. — Siamo tutti nelle stesse condizioni, eccetto Xavier che soffre di piu. Potrebbe davvero essere la droga.

— Non ti sei mai lamentato — dissi. — E nemmeno Joaz.

— E tipico di Xavier lagnarsi — rispose. — Si e sempre fatto carico di fardelli altrui. Un uomo generoso e crudele verso se stesso, Matthew.

— Non saprei — dissi.

— Eppure sembri soffrire piu di me.

— Non ti capisco.

John scrollo le spalle. — Siamo un tutt’uno, Matthew. Sono anche spaventato, ma non fa differenza. Dobbiamo andare avanti, finche non troveremo quello che stiamo cercando.

— Ma non Xavier — dissi. — Non possiamo lasciarlo qui?

— Sai che non possiamo.

Si allontano e anch’io mi misi a fissare quell’oscurita infinita. “Niente alba” aveva detto l’uomo alato. Non ci sarebbero state altre albe. Non dubitavo che fosse vero, anche se un tempo avrei rifiutato immediatamente l’idea, invece di accettarla senza capirla.

— Aiutatemi — ci supplicava Xavier. — Aiutatemi.

Quelle parole mi scossero riportandomi alla realta. Al monastero la gente rideva di Xavier. Era sempre malinconico, ma non rendeva tristi gli altri. Sentiva davvero le cose in modo piu profondo rispetto a noi. Forse si era fatto carico di tutti i nostri fardelli, un peso che, se fosse morto, sarebbe ritornato a gravare su di noi.

Le sue invocazioni d’aiuto erano autentiche.

Tornai sui miei passi e mi inginocchiai accanto a lui. Anche John gli era accanto e Joaz gli teneva il capo tra le mani.

— Cosa possiamo fare, Fratello? — chiesi.

— Mi fa male — si lamento. — Mi fa davvero male. Veramente. — Pareva disperato nel tentativo di convincerci, come se pensasse che non credessimo alla sua agonia.

— Dormi, Fratello — disse John stranamente.

— Si, dormi un po’ ora che e buio — aggiunse Joaz. Prima d’ora non avevano mai voluto che qualcuno dormisse.

— Zitti — disse Xavier improvvisamente. Mi afferro il braccio.

— Che c’e? — chiese Joaz quasi teneramente.

— Sento avvicinarsi qualcuno.

Si udi un suono distante e ossessionante, come un flauto suonato in sordina, senza melodia, senza cambio di tonalita. La nota aumentava e diminuiva d’intensita in modo irregolare.

— E un uccello — decreto Joaz. — Un uccello notturno.

— Sta albeggiando — disse John serenamente.

— Un nuovo giorno! — esclamo Joaz felice. — Xavier… — Guardo verso di lui, ma Xavier non ascoltava.

— Sta morendo lentamente — disse John.

Era questo che voleva dire quando aveva invitato Xavier a dormire.

Aveva ragione. Mentre il sole sorgeva, vedemmo Xavier scivolare nella piu completa immobilita.

Fu Joaz, l’amico di Xavier, ad alzarsi per primo dopo aver appoggiato gentilmente la testa del morto sul terreno.

La citta era stata completamente cancellata dallo scorrere del tempo.

— Il Reietto aveva detto la verita — dissi. — Per la citta, almeno, era sempre notte.

19. Sotto stelle invernali

Nel crepuscolo dominava il grigio. Le pietre sgretolate, le finestre incrinate, l’edera che avvolgeva come in un sudario l’edificio… tutto era grigio. Di giorno avrebbe potuto dare una sensazione di serenita: un edificio frusto che mostrava la sua eta nella polvere che il vento aveva eroso dai muri e nelle pietre che le bufere avevano scalzato dai bastioni e fatto cadere nel fossato pieno di fango secco.

Ma quando le ombre della sera e il pallido bagliore della luna scendevano sulla costruzione, i muri ormai sgretolati e i torrioni un tempo austeri assumevano un aspetto feroce, svettando fieramente nel cielo in un’eco di antiche glorie. Le fenditure che l’eta aveva scavato erano nascoste da nere ombre taglienti che restituivano ai muri la loro antica solennita.

Alla luce del giorno la cittadella era un cadavere, un fragile guscio, sperduta e dimenticata. Ma la notte del nostro arrivo era ammantata d’ombra e, mascherata, aspettava baldanzosa lo scorrere delle ore notturne.

Sembrava che la luce effimera, apparsa solo dopo la morte di Xavier, ci avesse accompagnato da una notte a un’altra notte. Giungemmo alla cittadella per invaderla, penetrarla e rivelarne il vuoto, per dimostrare la sua vacuita e negarne la pretenziosita.

Il portone d’ingresso pendeva dai cardini, il ponte levatoio era stato da lungo tempo sostituito da pietre accatastate nel fossato asciutto per formare una strada rialzata. Di notte il buio avvolgeva quella zona e nascondeva abilmente il suo stato d’abbandono. Ma quella notte attraversammo quel manto invisibile, superammo il ponte di pietre, ci aprimmo un varco tra la porta scardinata e il freddo muro di pietra.

Nella destra Joaz reggeva una torcia per illuminare la strada, nella sinistra un lungo bastone per tastare il terreno. L’aria, carica di polvere, brillava alla luce tremolante della torcia. Ci fermammo per assaporare quell’atmosfera. Mi ero aspettato una sensazione di infinita tristezza e di maestosita ormai tramontata, ma restai deluso. Provai invece un sentimento di estraneita e di asprezza e di remoti ricordi.

Percorremmo facilmente i corridoi orientandoci senza difficolta, ma la torcia raramente riusciva a illuminare il soffitto oltre al pavimento e sentivo che la nostra presenza nel castello era insignificante, esattamente come quella delle formiche o dei ragni che si muovevano freneticamente nelle sue cavita.

Giungemmo nel salone principale, un grande ambiente il cui soffitto era di sicuro il tetto della cittadella. Le pareti erano traforate da balconate e finestre che lasciavano immaginare la presenza di una moltitudine di stanze e stanzini raggruppati come un favo intorno al salone centrale. La stanza aveva sette lati, presumibilmente perche il numero sette aveva un significato mistico per gli architetti del castello che lo avevano progettato adottando una forma cosi inusuale.

Nel salone un tempo vi erano tavoli di quercia, sedie e panche, ma qualcuno, ormai morto da molto tempo,

Вы читаете Il giogo del tempo
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату