— No! — protestai. — Non puoi. Lo ucciderai.
— Moriremo tutti, se restiamo qui.
— E questione di poche ore, non puo succedere niente.
— No! Puo succedere eccome, e succedera. Dobbiamo andare. Quello che importa sono le nostre menti, non i nostri corpi. Coraggio, fede e speranza, e questo cio che conta. Dobbiamo proseguire!
Ci ritrovammo di nuovo in marcia, sebbene non ricordo come fosse stata presa la decisione, ma non attraversammo il grande fiume, non ci dirigemmo neanche dove puntavamo prima di fermarci, cominciammo semplicemente a camminare.
Passammo vicino al lago.
Tutto intorno a quel gioiello grezzo, tranne dallo stretto sentiero che stavamo seguendo, si irradiavano i fili d’acqua che lo alimentavano e lo avevano creato e che un tempo ne avevano sostenuto la vitalita. Questi torrenti compivano il loro misterioso pellegrinaggio da ogni punto della superficie terrestre, per offrire ognuno il proprio dono di prosperita e lucentezza. L’essenza delle acque della Terra era concentrata li per elargire cio che avevano raggiunto, per creare una divinita, un dio dell’acqua generato in una valle lontana, eterno in un istante senza tempo.
E il nuovo mondo era presieduto dai contorni sfumati del sole e della luna e da una mobile fugacita. Dalla loro unione nasceva lo splendore che la loro presenza rischiarava. Li noi eravamo stranieri, non avevamo nulla a che fare con quel mondo. Per noi in pratica non esisteva.
— Non e il nostro mondo, Joaz — disse Xavier. — Non abbiamo alcun diritto qui.
— Dobbiamo proseguire — disse il frate, testardo. All’improvviso mi accorsi che anche Joaz era molto, molto stanco.
— Joaz, credi veramente che ce ne andremo mai da qui? — domando Xavier con rassegnazione.
John, la guida, si volto senza smettere di camminare e disse: — Dobbiamo avere fede.
E forse fu proprio la fede a condurci fuori da quel territorio e in un’altra epoca. Non ne sono sicuro.
18. La citta della notte perenne
Incontrammo Raon il Reietto in una citta dove, come lui stesso disse, era sempre notte. Era un’antica citta, ma ormai eravamo nel piu antico dei mondi, dove tutto era segnato dalle carezze di migliaia di anni. Non solo cio che era stato costruito dall’Uomo, ma anche quello che aveva creato la natura.
Vivendo in un presente in perenne movimento avevo individuato nel tempo la piu importante di tutte le cause. Il flusso del tempo, credevo, determinava cambiamenti, invecchiava tutte le cose e le faceva evolvere. Adesso ero incline a considerare il tempo come l’ultimo di tutti gli effetti: una classificazione arbitraria imposta all’incessante e casuale flusso degli eventi dalla pochezza della comprensione umana e dalla mancanza di prospettiva.
C’era ben altro che il semplice ticchettio di un orologio, nei secoli vissuti dalla citta dove la notte era eterna.
Raon ci racconto la storia della citta. Parlava in prima persona, ma anche come se raccontasse un mito… qualcosa di non reale e tanto meno parte del suo passato.
— La vedevo cavalcare giu per il pendio ogni mattina — ci racconto — quando le stelle piu luminose erano ancora visibili nel cielo d’occidente e solo le vette dei monti erano illuminate dal sole. Montava un cavallo bianchissimo seduta su una sella dorata di cuoio levigato, e anche le sue vesti erano gialle e splendenti.
“Mentre cavalcava, la seguivo dal cielo, con le ali semichiuse per sfruttare il sostegno dell’aria e mantenermi alla sua andatura. La seguivo ogni giorno, dal momento in cui compariva fino a quando lasciava la valle, molto oltre questa citta.
“Guardava in alto un paio di volte e sorrideva alla mia veglia solitaria, salutandomi con gli occhi. Allora planavo sulla brezza e restavo sospeso accanto al suo cavallo, parlandole della citta, della valle e del mio amore per lei. E all’improvviso, a est, il sole faceva capolino all’orizzonte, indugiando mentre noi attraversavamo il mondo.
“Non parlava mai, mi sorrideva solamente. Le sue labbra erano lisce e morbide, il viso pallido, gli occhi azzurri. Ogni suo sorriso m’induceva a parlare in fretta e le mie parole mi uscivano di bocca con tale velocita che non sapevo piu che cosa dicessi.
“Le raccontai della mia vita, quella di Raon il Reietto che volava nel cielo silenzioso della valle sopra le case degli uomini e sotto i rifugi delle aquile, perche uomini e aquile erano miei nemici. Le confidai cosa pensavo e cosa provavo quando mi lasciavo andare nell’aria carica di pioggia o quando volteggiavo sotto le nuvole luminose nelle notti di plenilunio. Le dissi che non ero ne uomo ne uccello, ma qualcosa di diverso. Non nuovo, perche la mia specie era sulla Terra sin dalla comparsa dell’uomo e degli uccelli.
“E lei sorrideva, come se capisse.
“Cosi le dissi che l’amavo, che era la donna piu bella del mondo, che era una dea. La mia dea dell’alba, cosi la chiamai, poiche quello era il momento in cui compariva cavalcando sulla collina.
“A volte, alla fine della giornata, quando mi nascondevo dalla temibile umanita e dalle grandi aquile di montagna, mi domandavo se anche lei fosse una reietta a causa della sua bellezza. Per quale altro motivo cavalcava solo quando il sole raggiungeva la sommita della collina?
“Poi arrivarono i soldati e fui costretto a essere sempre guardingo, a trovare nuovi rifugi e a nascondermi in modo piu astuto quando dormivo. Vivevo piu vicino alle aquile, perche quelle erano meno pericolose degli uomini. I soldati percorsero la valle in lungo e in largo, mentre il sole riluceva sulle loro armature e dai loro occhi sgorgava solo odio. Consumarono le ricchezze della citta e posero delle sentinelle a guardia del loro sonno.
“Inevitabilmente scoprirono la mia dea e le sue cavalcate solitarie alle prime luci del mattino. Negli attimi in cui riuscivo furtivamente a volarle accanto cercai di metterla in guardia.
“Non parole d’amore, ma di avvertimento. Pero alle mie parole lei rispondeva ugualmente solo con il suo bel sorriso.
“Un giorno i soldati si appostarono per aspettarla, acquattati in silenzio tra i cespugli sul ciglio della strada, appena fuori della citta. Sapevo che l’avrebbero fatto. Tenevano gli occhi fissi sulla sommita della collina o si guardavano con sicumera. Non si accorsero di me che mi libravo nel cielo, incurante per una volta dei loro occhi e delle loro frecce, e aspettavo freneticamente il momento in cui il suo vestito d’oro, illuminato dal sole nascente, sarebbe apparso sulla cima della collina.
“Quando finalmente lo vidi comparire, mi lanciai a capofitto verso di lei sfrecciando davanti al suo cavallo bianco per cercare di farla tornare indietro. Le gridai parole piene di angoscia, supplicandola di andarsene da li.
“Ma lei mi rivolse quel suo meraviglioso sorriso e continuo ad avanzare. Mi lanciai piu volte in picchiata, sforzandomi di farle capire il mio messaggio, dicendole nel linguaggio della disperazione che c’era pericolo, che non doveva proseguire.
“E lei ricompenso con mille sorrisi i miei sforzi.
“Quando raggiunse il luogo in cui erano nascosti i soldati, questi saltarono fuori e la disarcionarono. Io li assalii, lanciandomi contro le loro armature e allontanando con le mani le loro spade. Piansi mentre i loro colpi mi laceravano le ali, ma continuai freneticamente quella battaglia senza speranza. E piansi ancora di piu per quello che fui costretto a vedere.
“Cercai di avvicinarmi al punto in cui giaceva a terra, dove i soldati ci avevano abbandonato al dolore e all’orrore. I suoi occhi erano chiusi e la veste dorata era macchiata di sangue dov’era stata strappata. Mentre le guardavo il viso, mi resi conto che, quando lei era comparsa sulla collina, il primo raggio di sole si era fatto strada nel cielo, ma che adesso era buio come a mezzanotte.
“Lei apri gli occhi e sorrise.
“Capii che il sole non sarebbe mai piu sorto.”
Era una storia, e solo una storia, che Roan ci racconto nell’oscurita stellata della citta deserta. Ma il tempo, lo sapevamo, spesso si prendeva gioco della realta e rendeva bugiarda la verita.
Cominciavo, credo, ad avvicinarmi ai miei compagni. Non avevo piu bisogno di porre tante domande. Avevo imparato a non cercare ragioni, perche le ragioni erano solo le illusioni del nostro vecchio modo di pensare. Le