dall’altra parte della porta.
— Era morta.
Quelle parole, pronunciate per la seconda volta, finalmente mi raggiunsero: barcollai in preda alle vertigini. I miei pensieri erano confusi, mescolati a strane emozioni e nuove implicazioni.
John mi abbraccio.
— Non l’hai visto? — gli chiesi.
— Ero li.
— Era il mio sogno.
— Si, lo so. Me lo ricordo.
— Era il mio sogno.
— Era anche il suo — disse John. — Non sei solo. Non c’e niente di nuovo.
— Non ci credo.
— No — disse — suppongo di no.
Il cantore di sogni rimase seduto, immobile come una statua di marmo, ancora un minuto. Poi il suo vecchio corpo parve semplicemente afflosciarsi. Le labbra tremarono, i fili bianchi della barba vibrarono come corde d’arpa. La schiena sussulto, mentre lunghi, dolorosi singhiozzi minacciavano di schiantare quelle vecchie ossa.
— Era morta — ripetei lentamente, e cominciai a capire.
21. Il mare di sangue
La torre si ergeva solitaria nell’oceano come un ago conficcato nella sonnolenta superficie di un mare color del vino. L’acqua, di un rosso cupo, rifletteva l’immagine di un cielo rossastro.
Le nuvole, simili a grandi chiazze marrone bruciato, si trascinavano stancamente per il cielo unendosi e staccandosi, e lasciavano nell’umida atmosfera una scia di perle rubiconde frutto della traspirazione aerea. Nella parte di cielo scoperta comparivano strisce e striature, macchie e chiazze di rosa tenue, di rosso acceso e di un bel rosso magenta. All’orizzonte la polvere sembrava un fastoso drappeggio che rifletteva la luce rossastra del cielo e delle nuvole.
Il mare pareva uno specchio di vetro fuso rosso ciliegia dai riflessi accesi, calmo e immobile come uno stagno. Non c’era vento a turbare la sua serenita, niente era visibile sotto la sua piatta distesa. Non galleggiavano alghe, ne si vedevano guizzi di pesci argentati intorno alla base cilindrica della torre.
Rosso, rosso dappertutto; il cielo, le nuvole, la polvere. Persino la lucente torre d’acciaio risplendeva di rosso poiche non vi era altro colore da riflettere. Avevamo l’impressione di galleggiare in un liquido racchiuso in una boccia di cristallo rossa. Il mondo sembrava una ferita aperta che versava sangue arterioso.
Guardavamo increduli le pigre nuvole agitarsi nel cielo e urtarsi in una fuga frettolosa, come se un’improvvisa folata di vento le avesse sospinte e poi abbandonate all’improvviso. I vapori che si dileguavano dai contorni delle nuvole si dissolvevano come fumo, ma la massa delle nubi rimaneva inalterata.
Poi la superficie dell’oceano mostro una certa turbolenza, e lentamente comparve un’increspatura, poi un’altra, e un’altra ancora… e il mare si risveglio violentemente mentre il cielo riversava su di noi una pioggia di sangue. Le gocce offuscavano il paesaggio e lo trasformavano in uno scenario informe. A quella distanza ravvicinata riuscivamo a vedere attraverso la cortina di pioggia. Erano gocce d’acqua, non di sangue.
Mi voltai verso John, che stava accanto a me, mentre il cantore di sogni si era tenuto a una certa distanza lasciandoci soli a osservare.
— E reale? — domandai in generale, rivolgendomi poi al cantore di sogni. — O e un’altra delle tue illusioni?
— Tutte le mie illusioni sono reali — affermo il vecchio canuto.
— Ma siamo qui o tra qualche istante ci risveglieremo ritrovandoci sulla stessa collina?
— La collina e svanita — disse il cantore di sogni. — Siamo qui, in questo luogo.
— Allora anche tu puoi muoverti nel tempo?
— Non esiste piu il tempo — mi rammento John.
— Non lo so — confessai. — A volte una cosa sembra essere il tempo, altre volte sembra esserlo un’altra. Se il tempo non esiste, cosa cambia? Ma se il tempo esiste, perche non possiamo vedere i cambiamenti?
— E il caos, Matthew — rispose John. — Il tempo era solo “l’ordine” degli eventi, un’imposizione dell’uomo. Abbiamo sempre dovuto rendere artificiale il mondo per poterlo comprendere perche le nostre menti non sono in grado di accettare la realta. Gli animali procedono per istinto, stimolo e reazione. Noi procediamo per il Tempo: la disposizione dei cambiamenti si adatta al nostro sistema artificiale chiamato logica, o ragione, o causa-effetto. La nostra percezione e mutata. Abbiamo visto troppo. Abbiamo visto cose che non possono adattarsi allo schema e la nostra mente lo ha abbandonato del tutto. Lo schema ha funzionato solo in modo parziale, all’interno di un campo assai ristretto. Gli altri viaggiatori nel tempo non si sono spinti abbastanza lontano, non hanno visto abbastanza. Che la tua vita sia di settanta o di duecentosettant’anni fa poca differenza. Abbiamo visto tutto, Matthew, dall’inizio alla fine, miliardi di anni. Siamo venuti per vedere, siamo venuti per cercare risposte, non per fuggire. Abbiamo perso il tempo. Per sempre.
Allora, mi domandai, come avremmo mai trovato quello che eravamo venuti a vedere? Se eravamo in balia del caos, come avremmo individuato un essere ben preciso? Prima di morire Joaz mi aveva dato una risposta: “Trova l’Uomo Futuro, lui portera ordine nel caos. Alla fine del caos c’e un nuovo ordine, l’ordine di una percezione completamente nuova”.
Ma era vero? Come poteva saperlo Joaz?
John non lo sapeva. Era chiaro. Lui aveva sempre la sua fede, ma nulla di piu. Il suo sogno si era dimostrato troppo grande per lui. Aveva lottato tanto per cercare di vedere e di capire, ma non vi era riuscito. Avrebbe rinunciato definitivamente se non fosse stato per la fede.
Come aveva detto John, eravamo venuti per cercare delle risposte, non per fuggire. Ma lo avevamo fatto? John aveva tentato di fuggire ma aveva fallito. Per molti anni anch’io avevo cercato una via di fuga interiore, non esteriore, dal sogno che il vecchio e la sua arpa mi avevano riportato alla mente e dalla sua tragica conclusione. Nessuno di noi due, credo, era venuto solo per trovare risposte.
Ma ormai erano rimaste solo risposte. E sogni. E fede.
— Non so perche il cielo e rosso — stava dicendo a John il cantore di sogni. — Non capisco. Eppure sono stato io a creare questo mondo. L’ho plasmato con la mia arpa.
— Allora e solo un altro sogno? — domando John.
— Non lo so — confesso il vecchio. — A volte non sono sicuro di quello che creo.
John mi diede un’occhiata penetrante ed espressiva che pero non riuscii a interpretare. Per evitare il suo sguardo mi voltai verso la finestra e osservai le enormi gocce cadere dalle nubi scure e velare con gli spruzzi la superficie dell’acqua. Cadevano sempre piu veloci e sempre piu fitte, come se il cielo cercasse di liberarsi in pochi minuti di un pesante fardello. E mentre guardavo, lentamente, comincio a spiovere.
Il cielo e l’orizzonte ritornarono visibili ma non ben definiti, poiche il rosso non e un colore violento, ma ora li vedevo, non erano piu confusi in tutto quello scompiglio. A qualche centinaio di metri dalla base della torre, una testa nera, tonda e lucente come quella di una foca, irruppe improvvisamente in quel mondo tutto rosso. Emerse dalle onde su un collo serico che, come quello di un serpente, sembrava non avere mai fine. Affioro sempre di piu finche finalmente la parte superiore del tronco affusolato del mostro marino si trovo fuor d’acqua. Il resto del corpo massiccio rimase nascosto sotto le onde rosse, mentre le piccole increspature sollevate dalle enormi pinne si diramavano tutto intorno.
— Ce n’e un altro — disse John, che intanto mi aveva raggiunto, quando l’apparire della creatura mi aveva lasciato senza fiato. Indico un’altra testa nera che emergeva dal mare.
Le bestie sembravano sorridere in maniera stupida, avevano occhi minuscoli e piccole orecchie ai lati della testa. Nell’insieme assomigliavano alle foche e anche la loro pelliccia, liscia e lucente, era caratteristica di quella specie. Solo il lungo collo e la stazza imponente le rendevano diverse. Mi domandai se fossero i loro antenati. O forse i loro discendenti. O semplicemente il risultato di una coincidenza dovuta a un adattamento simile.
— Mi chiedo cosa siano — disse pensoso il cantore di sogni. A volte dava l’impressione di essere