CAPITOLO TREDICESIMO

A bordo del Fevre Dream NEW ORLEANS Agosto 1857

Joshua scelse l’abito bianco per recarsi a pranzo, e Toby supero se stesso. La notizia non aveva tardato a diffondersi, com’era prevedibile, e praticamente l’intero equipaggio del Fevre Dream si rese disponibile per l’occasione. I camerieri, impeccabili nella lindura delle loro eleganti giacche bianche, sciamavano in un flusso continuo tra la cucina e la sala, recando le portate del sontuoso banchetto di Toby offerte su grandi vassoi fumanti e finissime porcellane. Questo il menu servito ai convitati: zuppa di tartaruga e insalata d’aragoste, granchi ripieni e animelle lardellate, pasticcio d’ostriche e costolette di castrato, tartaruga d’acqua dolce, pollo fritto, rape e peperoni imbottiti, roast beef e costolette di vitello impanate, patate irlandesi, mais, carote, carciofi e fagioli, pane, panetti e panini a profusione, vino e liquori del bar e latte fresco procurato in citta, vassoi di burro freschissimo e infine, per dessert, budino di prugne, torta al limone, sorbetti ai vari gusti e pan di spagna con crema al cioccolato.

Mai in vita sua Abner Marsh aveva mangiato pietanze piu succulente di quelle. «Corpo di mille diavoli,» disse, rivolgendosi a York. «Perche non venite piu spesso a pranzo quaggiu?»

Joshua, dal canto suo, quasi non tocco cibo. A vederlo nel luminoso chiarore diurno, sembrava tutt’altra persona; avvizzito, in un certo qual senso, e meno imponente. Sotto i fasci di luce che filtrava dagli osteriggi la sua pelle chiara assumeva un pallore malaticcio, e Marsh vi scorse una terrea patina grigiastra. Inoltre, sembrava che si muovesse con una lentezza letargica, intervallata, talora, da scatti concitati, ed in quelle movenze non c’era nulla della grazia e della possente energia che di norma appartenevano alla sua persona. Ma la diversita piu impressionante la si riscontrava nei suoi occhi. Ombreggiati dall’ampia tesa del cappello bianco ch’egli portava sul capo, gli occhi apparivano stanchi, infinitamente stanchi. Le pupille ridotte a due minuscole capocchie di spillo, e la grigia corolla che le incorniciava, smorta, sbiadita, priva della sua intensita cromatica, quella intensita che cosi sovente Marsh vi aveva scoperto.

Cio nondimeno, Joshua era la, ed era questa l’unica cosa che contava. Era uscito dalla sua cabina in pieno giorno ed aveva percorso i ponti scoperti fino alla scala, poi, giunto nel salone, si era seduto al suo posto per desinare al cospetto di Dio, dell’equipaggio, di tutti. Ed ora, dinanzi ad una simile indiscutibile realta, ogni timore, ogni fola, cui le sue abitudini notturne avevan dato origine, si dissolsero all’istante, e mentre una cascata di luce inondava Joshua York ed il suo candido vestito, tutto parve indicibilmente stupido. Joshua fu tranquillo per tutta la durata del pranzo, limitandosi a dare laconiche risposte a chi gli rivolgeva delle domande, ed interloquendo raramente nella conversazione con commenti personali. Quando venne servito il dessert, sposto da un lato il piatto che gli stava davanti e depose il coltello stancamente. «Chiamate Toby,» disse.

Il cuoco apparve dalla cucina e si fece avanti, sporco di farina e unto d’olio. «Non vi e piaciuto il cibo, Capitan York? Non avete mangiato quasi niente.»

«Era ottimo, Toby. Il fatto e che purtroppo a quest’ora del giorno non ho molto appetito. Pero, fatto sta che sono qui. E credo proprio di aver dato una sufficiente dimostrazione.»

«Si signore. Adesso non ci saranno piu problemi.»

«Perfetto.»

Quando Toby fu ritornato in cucina, York si rivolse a Marsh. «Ho deciso di rimandare la partenza di un giorno ancora,» disse. «Partiremo da qui domani al tramonto, anziche stasera.»

«Bene, d’accordo, Joshua. Mi passereste un’altra fetta di quella torta, per favore?»

York sorrise e gliela porse.

«Capitano, stasera sarebbe meglio che domani,» disse Dan Albright, intento a pulirsi i denti con uno stecchino d’osso. «Sento puzza di burrasca in arrivo.»

«Domani.»

Albright alzo le spalle.

«Toby e Jeb possono restare qui,» riprese York. «Di fatto e mia intenzione utilizzare le unita dell’equipaggio strettamente necessarie a governare il battello. I passeggeri che si troveranno a bordo prima della partenza saranno fatti sbarcare e attenderanno qualche giorno a terra finche non saremo tornati. Non verra accettato a bordo nessun carico di merci, sicche anche gli scaricatori saranno esonerati dal servizio per qualche giorno. Porteremo con noi una sola guardia. E attuabile tutto cio?»

«Ritengo di si,» rispose Marsh, e copri con lo sguardo la lunga tavola. Gli ufficiali stavano tutti guardando Joshua con visibile curiosita.

«Domani al tramonto, allora,» ribadi York. «Adesso vogliate scusarmi. Devo riposare.» Si alzo, e per un breve istante sembro malfermo sulle gambe. Marsh si affretto ad alzarsi a sua volta, ma York gl’impedi con un gesto di soccorrerlo. «Sto bene,» disse. «Ora e meglio che mi ritiri nella mia cabina. Fate in modo che non venga disturbato finche non saremo pronti a lasciare New Orleans.»

«Non scenderete per la cena stasera?» gli chiese Marsh.

«No.» Gli occhi di York scivolarono lungo le pareti del salone. «Decisamente lo preferisco di notte. Lord Byron non si sbagliava. Il giorno e davvero troppo sfarzoso.»

Il Capitano Marsh: «Eh?»

«Non vi ricordate?» fece York. «La poesia che vi recitai ai cantieri di New Albany. Si adatta cosi bene al Fevre Dream. Ella in bellezza incede…»

«…come la notte,» continuo Jeffers, accomodandosi gli occhiali. Abner Marsh si volse a guardarlo, la bocca aperta dallo sbigottimento. Che Jeffers fosse un demonio nel fare i conti e nel giocare a scacchi, beh, era cosa risaputa, ne lo aveva stupito la sua abitudine di frequentare teatri, ma che recitasse poesie gli giungeva davvero nuova.

«Voi conoscete Byron!» esclamo York, estasiato. E tale fu la sua gioia che in quell’istante parve tornare ad essere la persona che fin’allora avevano conosciuto.

«Lo conosco,» ammise Jeffers, inarcando un sopracciglio mentre osservava York. «Capitano, state forse suggerendo che i nostri giorni qui sul Fevre Dream siano giorni trascorsi nella bellezza e nella grazia?» Sorrise. «Beh, per Mister Framm e Mike il Peloso sara una novita di sicuro.»

Mike il Peloso si mise a ridere sguaiatamente. Framm, invece, inalbero la sua protesta, «Ehi, un momento, solo perche ho tre mogli devo esser giudicato un cattivo soggetto? E poi, sapete, ognuna di esse non esiterebbe un istante a farsi garante della mia onesta.»

«Ma di cosa diavolo andate cianciando?» s’intromise Abner Marsh. La maggior parte degli ufficiali e dei membri dell’equipaggio sembravano disorientati almeno quanto lui.

E Joshua, sorridendo evasivamente: «Mister Jeffers mi sta rammentando la strofa finale della poesia di Byron. Prese allora a declamare:

E su quelle gote, e su quella fronte, Cosi dolce, serena, eppur si eloquente, I sorrisi che vincono, i colori che s’accendono, Ma parlano di giorni nella grazia trascorsi, Una mente in pace con tutto quel che v’e intorno, Un cuore che amor sente innocente!

«Siamo innocenti noi, Capitano?» fece Jeffers.

«Nessuno e mai innocente fino in fondo,» replico Joshua York, «ma la poesia, cio nondimeno, giunge anche a me e mi parla, Mister Jeffers. La notte e bella, e possiamo sperare di trovare la pace e l’armonia nel suo cupo splendore. Son troppi gli uomini che temono l’oscurita irragionevolmente.»

«Forse,» dubito Jeffers. «Tuttavia, a volte la si deve temere.»

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