Jeffers richiuse il libro.
«Vaneggiamenti,» commento Marsh. «Sembra il delirio di un febbricitante.»
Jonathan Jeffers abbozzo un pallido sorriso. «Del Signore qui non c’e neppure l’ombra,» sospiro. «A mio avviso, Byron possedeva due concezioni diverse dell’oscurita. In quella poesia s’avverte una preziosa, lieve innocenza. Mi domando se il Capitano York la conosce.»
«Naturale,» disse Marsh, sporgendosi in avanti dalla poltrona. «Date un po’ qua.» Protese la mano.
Jeffers gli porse il libro. «Cominciate ad interessarvi di poesia, Capitano?»
«Questo non vi riguarda.» Marsh fece scivolare in tasca il libro di poesie. «Non avete nulla di cui occuparvi nel vostro ufficio?»
«Certamente,» replico Jeffers, e prese congedo.
Per tre o quattro minuti, Abner Marsh resto immobile, li nella biblioteca, pervaso da una stranissima sensazione; quella poesia aveva avuto il potere di turbarlo profondamente. Dopotutto, penso, questa faccenda delle poesie poteva avere un qualche significato. Decise cosi di dare un’occhiata a quel libro a tempo perso, e scoprirlo da solo.
Buona parte del pomeriggio e della prima serata impegnarono il Capitano Marsh in una serie di incombenze che gli tolsero dalla mente quel proposito, sicche il libro fini dimenticato in tasca. Karl Framm aveva in programma una cena al St. Charles di New Orleans, e Marsh decise di fargli compagnia. Era quasi mezzanotte quando fecero ritorno al Fevre Dream. Fu allora che il libro gli capito di nuovo tra le mani, mentre si svestiva nella sua cabina. Lo appoggio con delicatezza sul comodino, indosso la camicia da notte e si dispose ad una breve lettura al lume di candela.
Letta di notte, nella penombra solitaria dell’angusta cabina,
Sul frontespizio del libro vi era un ritratto di Byron. Marsh lo esamino attentamente. Sembrava decisamente attraente, bruno e sensuale come un creolo; era piu che comprensibile che ottenesse tanto successo con le donne nonostante fosse presumibilmente zoppo. Naturalmente era anche un nobile. Lo si leggeva sotto la sua immagine:
Abner Marsh si soffermo su quel volto, studiandolo per un po’, e si scopri invidioso dei bei tratti del poeta. La bellezza era qualcosa che non aveva mai vissuto dal di dentro; sognare battelli grandiosi, magnifici, compensava forse la cospicua carenza di bellezza ch’egli sapeva in se. Con quella sua mole mastodontica, le sue verruche, quel naso spiaccicato sulla faccia, Marsh non s’era mai dato troppa pena per le donne. Da giovane, quando discendeva il fiume a bordo di chiatte e zattere, frequentava certi posti a Natchez-sotto-la-collina e a New Orleans dove un marinaio poteva assicurarsi una notte di sollazzo ad un prezzo ragionevole. E in seguito, quando la Fevre River Packets andava a gonfie vele, c’era stata qualche donna di Galena, di Dubuque o di St. Paul che avrebbero acconsentito a sposarlo; rispettabili vedove dai corpi tozzi e dai volti marcati, consapevoli di qual buon partito fosse un uomo come lui, grande e grosso, forte e sano, e proprietario di tutti quei battelli. Ma l’interesse per lui non aveva tardato a svanire dopo la rovinosa gelata che aveva decimato la sua flotta; ad ogni buon conto, non era quello il genere di donne che suscitava i desideri di Marsh. Questi, infatti, quando si concedeva tali pensieri, il che non accadeva di frequente, sognava donne leggiadre, fiere ed eleganti come i suoi battelli, non dissimili dalle brune bellezze creole e meticce di New Orleans.
Marsh sbuffo sonoramente e spense la candela. Cerco di dormire. Ma inquietanti presenze infestavano i suoi sogni; fievoli parole echeggiavano minacciose nei recessi ottenebrati della sua mente.
Abner Marsh si drizzo a sedere nel letto. Era perfettamente sveglio, e nelle orecchie rimbombavano i tonfi martellanti del suo cuore. «Dannazione,» mormoro. Trovo un fiammifero, accese la candela sul comodino ed apri il libro di poesie alla pagina che riportava il ritratto di Byron. «Dannazione,» ripete.
Marsh si vesti in un lampo. Provava il desiderio ardente di una compagnia gagliarda, qualcosa di possente, come i muscoli di Mike e la sua spranga di ferro, o Jonathan Jeffers con il suo bastone. Ma quella era una faccenda privata tra lui e Joshua, e si era impegnato a non farne parola ad alcuno.
Si getto un po’ d’acqua sulla faccia, s’armo del bastone di noce e usci sul ponte, desiderando come non mai d’avere un prete a bordo o magari Un crocifisso. In tasca aveva il libro di poesie. Laggiu, presso il pontile d’imbarco, un altro battello cominciava a fumare mentre si procedeva a caricarvi le merci; Marsh senti il canto sommesso e melanconico dei manovali che trasportavano i colli lungo le passerelle.
Giunto alla porta della cabina di Joshua, Abner Marsh sollevo il bastone per bussare, poi un’ondata improvvisa di dubbi lo sommerse, facendolo esitare. Joshua aveva lasciato il preciso ordine di non essere disturbato. E cio che Marsh aveva intenzione di dirgli lo avrebbe di certo contrariato enormemente. Chissa, forse era tutta una colossale cretinata … quella poesia doveva averlo tormentato procurandogli insulsi incubi, o forse aveva mangiato qualcosa di indigesto. Eppure… eppure…
Era ancora piantato la davanti con il bastone sollevato, la fronte corrugata da dubbi e incertezze, quando la porta della cabina si apri silenziosamente.
All’interno della cabina era buio come nel ventre di una vacca. Le stelle e la luna scagliavano radi barlumi attraverso lo squarcio della porta, ma oltre la soglia tutto era avvolto da una vellutata, compatta oscurita. A pochi passi di distanza dalla porta s’indovinava la sagoma ombrosa di una figura eretta. La luna lambi i piedi nudi e la vaga forma dell’uomo si materializzo confusamente alla percezione visiva. «Entrate, Abner,» si udi dalle tenebre la voce di Joshua, un aspro sussurro.
Abner Marsh varco la soglia.
L’ombra si mosse, e d’improvviso la porta si chiuse. Marsh senti la chiave girare nella serratura. Ora il buio fu totale. Non riusciva piu a distinguere la minima parvenza d’un oggetto. Una mano possente lo afferro fermamente per un braccio e lo trasse in avanti. Poi lo sospinse all’indietro, e, per un istante, il Capitano fu preda della paura, finche non senti la rassicurante consistenza della sedia sotto di lui.
Un fruscio nell’oscurita. Marsh si guardo intorno, cieco, sforzandosi di scorgere una qualche forma coerente nella fitta tela del buio. Senti quindi le sue stesse labbra schiudersi e profferire, «Non avevo bussato.»
«No,» giunse pronta la risposta di Joshua. «Vi ho sentito arrivare. Inoltre, vi stavo aspettando, Abner.»
«Lo aveva detto che sareste venuto,» si aggiunse una seconda voce, giungendo da un altro punto della cabina buia. Una voce di donna, sommessa, amara. Valerie.
«Voi,» disse Marsh, sopraffatto dallo stupore. Non s’era aspettato una simile evenienza. Era confuso, adirato, incerto, e la presenza di Valerie non gli facilitava di certo le cose. «Cosa ci fate
«Potrei chiedere lo stesso a voi,» replico lei senza alterare il suo tono pacato. «Io sono qui perche Joshua ha bisogno di me, Capitano Marsh. Per aiutarlo. Ed e ben piu di quanto abbiate fatto voi, a dispetto di tutte le vostre belle parole. Voi e quelli della vostra razza, con tutti quei sospetti, tutte le vostre pie…»
«Basta, Valerie,» la interruppe Joshua bruscamente. «Abner, io non conosco il motivo di questa vostra visita, sapevo tuttavia che prima o poi sareste venuto. Avrei dovuto scegliermi un socio meno arguto, uno stolto che avrebbe eseguito ogni mio ordine senza discutere. Siete troppo perspicace, per il vostro bene forse, e per il mio anche. Sapevo che sarebbe stata solo questione di tempo, ma infine avreste tratto le vostre conclusioni dalle confidenze di cui vi ho messo a parte lassu, a Natchez. Vi ho scoperto piu volte a scrutarci, a studiarci. Ne sono