posseggo quei libri. Smettetela di ficcarvici il naso e badate a spolverare i miei battelli.»

«Certamente. Pensate di costruire anche un modellino dell’altra nave? Il Fevre Dream?»

Marsh si adagio in una grossa poltrona fin troppo imbottita e aggrotto la fronte. «No,» disse. «No, non lo faro. E una nave che voglio dimenticare. Dunque, pensate soltanto a spolverare e smettetela di tempestarmi con le vostre domande dannatamente sciocche.» Prese un giornale e inizio a leggere del Natchez e delle ultime vanterie di Leathers. La sua governante emise un suono soffocato e finalmente inizio a spolverare. La casa possedeva un’alta torretta rotonda che si affacciava a sud. Di sera, Marsh vi saliva spesso, con un bicchiere di vino o una tazza di caffe, a volte con un pezzo di torta. Non mangiava piu come una volta, da quando c’era stata la guerra. Il cibo non sembrava piu avere lo stesso sapore. Era ancora un uomo massiccio, ma aveva perso almeno una cinquantina di chili, dai tempi di Joshua e del Fevre Dream. La carne gli pendeva da tutte le parti, come se l’avesse acquistata di due misure piu larga, nella previsione che si restringesse. Aveva anche le guance cascanti. «Questo mi rende ancora piu brutto del normale,» borbottava guardandosi allo specchio. Seduto alla finestra della sua torretta, Marsh poteva vedere il fiume. Trascorreva molte notti lassu, a leggere, a bere, e a guardare l’acqua del fiume. Il fiume era bello, alla luce della luna, e scorreva senza sosta, come prima che Marsh nascesse, come avrebbe continuato a scorrere dopo la sua morte e la sua sepoltura. Guardarlo tranquillizzava Marsh, ed egli faceva tesoro di quella sensazione. La maggior parte del tempo si sentiva stanco o melanconico. Aveva letto una poesia di Keats che affermava che non c’era niente di piu triste che la morte della bellezza, e a Marsh sembrava che ogni dannata cosa bella al mondo stesse sfiorendo. Marsh era sempre solo. Era rimasto tanti anni sul fiume che non gli erano rimasti dei veri amici a Galena. Non riceveva mai visite, non parlava mai con nessuno, tranne la sua dannata, noiosa, governante. Quella donna lo irritava moltissimo, ma a Marsh non importava molto; era tutto quello che gli era rimasto per sentirsi vivo. A volte, pensava che la sua vita fosse finita, e la cosa lo faceva tanto arrabbiare che il viso gli diveniva paonazzo. C’erano ancora tante dannatissime cose che non aveva mai fatto, tanti affari mai conclusi… ma non poteva negare che stava diventando vecchio. Era solito portarsi dietro quel vecchio bastone da passeggio di noce nero per aiutarsi a gesticolare, e per essere piu affascinante. Ora aveva un bastone costoso, con il manico d’oro, che lo aiutava a camminare meglio. E aveva delle rughe intorno agli occhi e perfino tra le verruche, e una strana macchia nera sul dorso della mano sinistra. Qualche volta, la guardava e si chiedeva come fosse finita la. Non l’aveva mai notata. Poi imprecava e afferrava un giornale o un libro.

Marsh era seduto in biblioteca a leggere un libro di Dickens che narrava dei suoi viaggi sul fiume, attraverso l’America, quando la sua governante gli porto una lettera. Grugni sorpreso, getto da parte il libro di Dickens, e brontolo a mezza voce, «Dannato sciocco di un inglese, si meriterebbe di essere scagliato nel dannato fiume.» Prese la lettera, la apri, lasciando svolazzare la busta sul pavimento. Era rarissimo che ricevesse una lettera, ma quella era particolarmente bizzarra; era indirizzata alla Compagnia Fevre a St. Louis, ed era stata rispedita a Galena. Abner Marsh spiego il foglio giallo, crespato, e improvvisamente gli si mozzo il fiato.

Era una vecchia carta da lettere, la ricordava bene. L’aveva fatta stampare tredici anni prima, affinche fosse messa nel cassetto della scrivania di ogni cabina di lusso sul suo battello. Sulla sommita del foglio, c’era un bel disegno a inchiostro di un grande battello a ruota laterale, e FEVRE DREAM inciso a lettere forbite. Riconobbe anche la scittura, aggraziata, fluente. Il messaggio era breve:

Caro Abner,

Ho fatto la mia scelta.

Se volete e potete, possiamo incontrarci a New Orleans il piu presto possibile. Mi troverete al Green Tree di Gallatin Street.

— Joshua

«Dannazione! Per tutti i diavoli!» impreco Marsh. «Dopo tutto questo tempo, quel dannato pazzo pensa che basti inviarmi una dannata lettera per farmi fare tutta quella dannatissima strada fino a New Orleans? E senza nemmeno una parola di spiegazione! Chi diavolo crede di essere?»

«Di sicuro io non lo so!» esclamo la governante.

Abner Marsh si alzo faticosamente in piedi. «Donna, dove diavolo avete messo la mia giacca bianca?» ruggi.

CAPITOLO TRENTUNESIMO

NEW ORLEANS Maggio 1870

Di notte, Gallatin Street sembrava la strada maestra per l’inferno, penso Abner Marsh, mentre la percorreva in fretta. Su di essa si affacciavano sale da ballo, saloon, e bordelli, tutti affollati, sporchi e rumorosi, e i marciapiedi brulicavano di ubriachi, prostitute e ladruncoli. Le prostitute gli facevano cenno, mentre passava, inviti irridenti che divenivano veri e propri dileggi, quando Marsh li ignorava. Uomini duri, dagli occhi gelidi, con coltelli e pugni di ferro lo valutavano con un aperto disprezzo, e cio fece desiderare a Marsh di non sembrare troppo ricco o troppo dannatamente vecchio. Attraverso la strada, per evitare una folla di uomini fermi di fronte ad una sala da ballo e che inpugnavano dei randelli di quercia, e si ritrovo di fronte al Green Tree. Era una sala da ballo come tutte le altre, un buco infernale circondato da altri buchi infernali. Marsh si si fece largo tra la folla ed entro. L’interno era affollato, fumoso, e buio. Coppie danzavano stancamente nell’atmosfera bluastra, al suono di una musica assordante, volgare. Uno degli uomini, un colosso mal rasato, con una camicia di flanella rossa, barcollava sulla pista da ballo con una dama che sembrava aver perduto conoscenza. L’uomo le stava strizzando i seni attraverso il sottile abito di calico, come se la stesse sorreggendo, mentre la trascinava. Gli altri danzatori li ignoravano. Le donne erano tutte ragazze tipiche delle sale da ballo: vestiti di calico consumati, scarpe a brandelli. Mentre Marsh guardava, l’uomo in camicia rossa inciampo, fece cadere la sua dama, e vi crollo sopra, e, subito dopo, si udi uno scroscio di risa. L’uomo impreco e si rimise in piedi, mentre la donna rimase stesa sul pavimento. Poi, quando le risate cessarono, si chino su di lei, l’afferro per il davanti del vestito e la tiro su. Il tessuto si lacero e lui, sogghignando, strappo completamente l’abito e lo getto via. La donna, sotto, non indossava niente, tranne una giarrettiera rossa intorno ad una coscia bianca e sottile, con un piccolo pugnale infilato all’interno. L’elsa era rosa e a forma di cuore. L’uomo in rosso aveva cominciato a sbottonarsi i pantaloni, quando due buttafuori gli si affiancarono da entrambi i lati. Erano uomini massicci e con la faccia rossa, armati di pugni di ferro e spessi manganelli di legno. «Portatela di sopra,» grugni uno di loro. L’uomo in camicia rossa inizio una sfilza di bestemmie, ma alla fine sollevo la donna su una spalla e passo barcollando attraverso il fumo, accompagnato da altre risate. «Volete ballare, signore?» bisbiglio all’orecchio di Marsh una voce strascicata di donna. Marsh si volto e aggrotto le ciglia. La donna doveva pesare quanto lui. La sua carnagione era di un bianco pastoso, ed era nuda come il giorno in cui era nata, tranne una sottile cintura di pelle da cui pendevano due coltelli. Gli sorrise e gli carezzo la guancia, prima che egli si voltasse di botto ed iniziasse ad aprirsi la strada tra la folla. Fece un giro completo del locale, in cerca di Joshua. In un angolo particolarmente rumoroso, una dozzina di uomini si affollavano intorno ad una scatola di legno, ruttando e imprecando mentre assistevano ad una lotta tra topi. Intorno al bar gli uomini erano il doppio, quasi tutti armati e dallo sguardo truce. Marsh mormoro delle scuse e si fece largo, spintonando un giovane dall’aspetto magro, con una garrota che pendeva dalla cintura, il quale stava chiacchierando vivacemente con un uomo basso, armato di un paio di pistole. L’uomo con la garrota smise di parlare e fisso Marsh con sguardo malevolo, fin quando l’altro non gli urlo qualcosa che gli fece riprendere la conversazione.

«Whiskey,» ordino Marsh, appoggiandosi al bancone del bar.

«Questo whiskey vi fara un buco allo stomaco, Abner,» gli disse tranquillamente il barista, con voce appena sufficiente a superare il fracasso. Abner Marsh rimase a bocca aperta. L’uomo che gli sorrideva da dietro il bancone indossava pantaloni a sacco rozzamente cuciti e tenuti su da una cintura di corda, una camicia bianca cosi sporca che era quasi grigia, e un gile grigio. Ma il suo volto era quello di tredici anni fa, pallido, privo di rughe, contornato da bianchi capelli lisci, adesso un po’ scompigliati. Gli occhi grigi di Joshua York sembrarono brillare di luce propria nell’oscurita della sala da ballo. Allungo la mano attraverso il bancone e afferro il braccio di Marsh. «Andiamo di sopra,» disse in tono urgente, «dove possiamo parlare.» Mentre aggirava il bancone del bar, l’altro

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