riposo. Stava per ordinare l'attacco finale — ormai il Castello distava si e no cento metri — quando si udi un boato tremendo e un proiettile di proporzioni mai viste comincio a rotolare giu per la china, in direzione dei quaranta generali. I quali, senza aspettare comandi, fecero dietrofront e si ritirarono verso il basso a tutta velocita. La loro velocita, pero, era molto inferiore a quella della misteriosa valanga, che in pochi secondi fu loro sopra, ne schiaccio una ventina come se fossero prugne mature e continuo a precipitare a valle: attraverso il cancello, respinse la cavalleria di don Prezzemolo che si preparava all'attacco e rovescio il calesse delle Contesse del Ciliegio.

Quando si arresto, si vide che non si trattava di una mina magnetica o di una botte di dinamite, ma dello sventurato Barone Melarancia.

— Cugino carissimo! — grido affettuosamente Donna Prima, accorrendo verso di lui impolverata e scarmigliata.

— Signora, non ho l'onore di conoscervi. Non sono mai stato in Africa.

— Ma sono io, Donna Prima.

— O cielo, ma che cosa vi e saltato in mente di tingervi di nero?

— E' stato per ragioni strategiche. Ma voi piuttosto, come mai siete piombato giu a quel modo?

— Sono venuto in vostro soccorso. In un modo un po' violento, lo ammetto. Ma non avevo altra scelta. Ci ho messo tutta la notte a liberarmi dalla cantina, dove quei banditi mi avevano rinchiuso. Figuratevi che ho rosicchiato la porta con i denti.

— Avrete rosicchiato una mezza dozzina di botti, — borbotto Pomodoro, livido.

— Una volta giunto all'aperto, mi sono lasciato rotolare giu per la china, travolgendo una tribu di negri, certamente assoldata da quei briganti per occupare il Castello.

Quando Donna Prima gli spiego che si trattava di quaranta generali, il povero Barone non riusciva a darsi pace, ma in fondo si sentiva orgoglioso della propria forza.

Il Principe Limone, che aveva finito di prendere il bagno nella sua tenda proprio in quel momento, nel costatare le perdite del suo esercito credette che il nemico avesse fatto una sortita e fu molto contrariato quando gli fecero osservare che il disastro era stato prodotto da un alleato pieno di buone intenzioni.

— Io non ho firmato alleanze con nessuno. Le mie guerre le combatto da solo, — disse sdegnosamente. E radunate le truppe che gli restavano — tra generali, soldati e generi diversi una trentina di uomini — fece questo discorso:

— Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io.

I Principi non apprezzano l'amicizia. Cosi riescono sempre ad avere amici pericolosi, e allora si consolano citando proverbi che non hanno ne capo ne coda.

Dopo un quarto d'ora fu lanciato un secondo attacco. Dieci uomini scelti marciarono di corsa su per la salita, lanciando urla selvagge per spaventare almeno i bambini e le donne che si trovavano tra gli assediati. Essi furono accolti con molta cortesia, anzi, con troppa. Cipollino aveva fatto applicare potenti pompe da incendio ai tini piu panciuti della cantina. Quando gli assaltatori furono a tiro ordino:

— Vino!

— Avrebbe dovuto ordinare fuoco! — osserveranno i soliti critici militari; ma quelle erano pompe per spegnere il fuoco, non per accenderlo.

Gli assaltatori furono innaffiati dai robusti getti rossi e profumati. Il vino entrava loro nella bocca e nel naso, minacciando di affogarli: era vino buono, ma il troppo stroppia.

Fecero dietro-front piuttosto a malincuore e volarono giu per la discesa. Giunsero all'accampamento completamente ubriachi, con grande scandalo delle Contesse.

Figuratevi poi gli strilli del Principe:

— Vergogna, bere vino rosso a digiuno! Ecco altri dieci uomini fuori combattimento.

I dieci guerrieri, infatti, uno dopo l'altro, si sdraiarono ai piedi di Sua Altezza e cominciarono a russare della grossa.

La situazione diventava di minuto in minuto piu tragica. Pomodoro si metteva le mani nei capelli e tempestava Mister Carotino:

— Consigliate qualche cosa! Siete, si o no, il Consigliere Militare Straniero?

Al Castello invece, come potete immaginare, l'entusiasmo era al colmo.

Una buona meta dei nemici era ormai liquidata. Forse fra poco si sarebbe vista spuntare una bandiera bianca laggiu, tra i due pilastri rossi del cancello.

Capitolo XXIII

Sor Pisello cambia bandiera e Cipollino torna in galera

No, e inutile che io tenti di ingannarvi: tra i pilastri del cancello non spunto mai la bandiera bianca. Spunto invece un'intera divisione di Limoncini giunta di rinforzo dalla capitale, e ai nostri non resto che scegliere tra la resa o la fuga.

Cipollino tento la fuga dalla parte della cantina ma la galleria che conduceva al bosco risulto occupata dalle truppe del Principe.

Chi aveva svelato loro il segreto della galleria?

Anche questo non ve lo posso nascondere: era stato Pisello. Vista la mala parata l'avvocato, purtroppo, era passato al nemico, per paura di essere impiccato una seconda volta.

La gioia di Pomodoro per la cattura di Cipollino fu tale che tutti gli altri prigionieri furono lasciati liberi e tornarono alle loro case, mentre Ciliegino fu messo in castigo in soffitta.

Cipollino fu accompagnato all'ergastolo da una intera compagnia di Limoncini, e rinchiuso in una cella sotterranea.

Due volte al giorno un Limonaccio di guardia gli portava una zuppa di pane e acqua in una ciotola. Cipollino la mandava giu senza nemmeno vederla, un po' perche aveva fame, un po' perche in carcere non accendevano mai la luce. Il resto della giornata Cipollino restava sdraiato sul tavolaccio a pensare.

— Se potessi incontrare il mio babbo, — pensava, — se almeno potessi fargli sapere che sono qui anch'io.

Giorno e notte una pattuglia di Limoncini passeggiava davanti alla porta della cella, battendo forte i tacchi.

— Mettetevi almeno i tacchi di gomma! — gridava Cipollino, che non riusciva a dormire. Ma quelli non si voltavano nemmeno.

Dopo una settimana lo vennero a prendere e lo portarono in cortile per fare una passeggiata. Cipollino dovette sgridare le sue gambe perche non erano piu abituate a sostenerlo, poi dovette prendersela con gli occhi perche non erano piu abituati alla luce e non riuscivano ad aprirsi.

Il cortile era rotondo, e gli ergastolani, vestiti tutti di una divisa a strisce bianche e nere, passeggiavano in tondo, in fila indiana.

Era severamente proibito parlare. Al centro del circolo un Limonaccio segnava il passo con il tamburo:

— Uno… due… uno… due…

Cipollino entro nella fila e si trovo a camminare dietro un vecchio dalle spalle curve e dai capelli grigi: di quando in quando tossiva, e le sue spalle sussultavano dolorosamente.

— Povero vecchio, — pensava Cipollino, — se non fosse tanto vecchio assomiglierebbe al mio babbo.

A un tratto il prigioniero fu colto da un accesso di tosse cosi forte che barcollo e dovette appoggiarsi al muro per non cadere. Cipollino si affretto a sorreggerlo e fisso il suo volto solcato da mille rughe. Anche il prigioniero lo guardo con gli occhi semispenti, poi lo afferro per le spalle e sussurro:

— Cipollino… figlio mio…

— Babbo! Come siete invecchiato!

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