bisogno delle tue bugie, che non ti piace dar la caccia ai pirati, e preferisci far la scimmia tra i rami. Ma io sono un investigatore serio, il piu serio d'Europa e d'America, e non posso tenere al mio servizio un buffoncello. Basta cosi: sei licenziato.

— Padrone, padrone, lasciatemi parlare.

— Parla quanto vuoi, ma io non mi fermero certo ad ascoltarti Ho ben altro da fare. Addio, Segugio, ti auguro di trovare una professione piu allegra e un padrone meno severo. Ed auguro a me stesso di trovare un aiutante piu serio. Giusto ho adocchiato ieri, nel parco del Castello, un Mastino che fa al fatto mio: onesto, modesto e dignitoso. Non gli passa nemmeno per la testa di mettersi a darla caccia ai bruchi su per le querce. Addio, dunque, o cane infedele.

A sentirsi insultare a quel modo, il povero Segugio scoppio a piangere.

— Padrone, padrone, state attento, altrimenti finirete come me.

— Mi fai ridere. Non mi sono mai arrampicato su una pianta in vita mia, e non sara il tuo esempio a farmi cambiare abitudini.

Ma proprio mentre pronunciava queste nobili parole, Mister Carotino si senti afferrare alla vita da qualcosa che lo stringeva fino a farlo soffocare: udi il rumore di una molla che scattava e costato che stava volando a sua volta tra i rami degli alberi. Anzi, noto che si trattava della stessa quercia sulla quale si era arrampicato Segugio, e quando il volo fini egli si trovo a due palmi dalla coda del suo cane, bene assicurato al tronco da una solida fune.

— Ve l'avevo detto, — disse il cane, nel suo solito tono lamentoso. — Ve l'avevo molto, molto detto.

Carotino faceva sforzi terribili per mantenere la sua dignita in quella scomoda posizione.

— Tu non mi hai detto un bel niente. Il tuo dovere sarebbe stato di avvertirmi che stavo per cadere in un tranello, invece di farmi perdere il tempo in chiacchiere.

Segugio si morse la lingua per non rispondere. Capiva benissimo lo stato d'animo del suo padrone, e non desiderava procurargli altri dispiaceri.

— Eccoci dunque in trappola, — riflette Carotino. — Pensiamo ora come uscirne.

— Non vi sara tanto facile, — disse una vocina ai loro piedi.

— Ma questa, — penso Carotino, — questa e la voce della bella prigioniera.

Guardo in basso, aspettandosi di vedere comparire una schiera di terribili pirati col coltello fra i denti, e in mezzo a loro una principessa in lacrime: vide invece un gruppetto di ragazzini che si rotolavano per terra dalle risa.

Ravanella, Patatina, Fagiolino e Tomatino si abbracciavano ridendo, poi improvvisarono un gaio girotondo attorno alla quercia.

— Lor signori, — comincio con aria severa l'investigatore, — lor signori avranno la bonta di spiegarmi che scherzo e questo.

— Noi non siamo signori, — rispose Fagiolino — siamo pirati.

— E noi siamo principesse prigioniere.

— Mi facciano subito scendere di qui, altrimenti saro costretto a prendere severi provvedimenti.

— Prenderemo molti, molti provvedimenti, — aggiunse il cane agitando rabbiosamente il suo mozzicone di coda.

— Non credo che potrete prendere ne molti ne pochi provvedimenti fin che starete in quella posizione, — disse Ravanella.

— E noi cercheremo di lasciarvi lassu il piu a lungo possibile, — rincaro Tomatino.

— La situazione mi sembra chiara, — bisbiglio Carotino nell'orecchio di Segugio.

— Molto, molto chiara, — approvo tristemente Segugio.

— Siamo prigionieri di una banda di ragazzi, — continuo l'investigatore. — Quale disonore per me. Inoltre si tratta quasi certamente di ragazzi assoldati dagli evasi per farci perdere le loro tracce.

— Si tratta molto, molto certamente di ragazzi assoldati, — ammise il cane. — Solo mi meraviglio della bravura con cui ci hanno preparato questa trappola.

Segugio si sarebbe meravigliato anche di piu se avesse saputo che la trappola era stata preparata da Ciliegino in persona. Il Visconte aveva letto molti libri di caccia grossa e conosceva ogni sorta di avventure di viaggio. Una volta tanto, aveva deciso di risolvere da solo la situazione, senza ricorrere all'aiuto di Cipollino e c'era riuscito brillantemente.

Nascosto dietro un cespuglio, osservava la scena, soddisfatto del suo lavoro.

— Ecco due avversari, — pensava, — immobilizzati per un pezzo.

E fregandosi le mani si allontano.

Ravanella e gli altri si diressero verso la grotta per dar l'annuncio dell'impresa a Cipollino. Ma giunti alla grotta non trovarono piu nessuno. La grotta era deserta. Le ceneri del focolare erano fredde.

Capitolo XVII

Cipollino fa amicizia con un Orso senza malizia

Torniamo, come si dice, un passo indietro, altrimenti non riusciremo a sapere che cosa e accaduto nella grotta.

Zucchina e Mirtillo non si potevano dar pace per la perdita della casetta. Si erano tanto affezionati a quei centodiciotto mattoni, che li consideravano come centodiciotto figli. La sventura li aveva fatti diventare amici, anzi, Zucchina aveva perfino promesso al sor Mirtillo:

— Se riusciremo a rientrare in possesso della nostra casina, verrete ad abitare con me.

Mirtillo aveva accettato con le lacrime agli occhi. Ormai Zucchina, come avrete notato, non diceva piu la mia сasina, ma la nostra casina, e altrettanto faceva Mirtillo. Il quale pero rimpiangeva molto anche la sua mezza forbice, la lametta arrugginita avuta in eredita dal bisnonno e le altre proprieta perdute.

Una volta litigarono perfino per stabilire chi dei due volesse piu bene alla casina. Il sor Zucchina sosteneva che Mirtillo non poteva volerle bene quanto lui:

— Io ho sudato tutta la vita per costruirla.

— Ma ci avete abitato cosi poco: io invece ci ho abitato quasi una settimana.

Questi litigi pero finivano presto. Presto infatti scendeva la sera e c'era troppo da pensare a tenere indietro i lupi per stare a discutere di proprieta immobiliari.

In quel bosco c'erano lupi, orsi ed altre fiere selvagge, ed ogni sera bisognava accendere un gran fuoco attorno alla grotta per sventarne gli assalti.

I lupi venivano fino a pochi metri dalla grotta e lanciavano occhiate terribili alla sora Zucca, che essendo tonda e grassa prometteva di essere un bel boccone.

— E' inutile che mi guardiate tanto, — gridava indignata la sora Zucca, — non e ancora nato il lupo che mi mangera.

Alla fine i lupi avevano tanta fame che si facevano supplichevoli.

— Sora Zucca, — bisbigliavano attraverso il fuoco, — ci dia almeno un dito. Che cos'e un dito per lei? Ne ha dieci alle mani e dieci ai piedi, e in tutto fanno venti.

— Per essere dei lupi selvaggi, — rispondeva la sora Zucca, — sapete bene l'aritmetica. Ma questo non vi servira a niente.

I lupi brontolavano un poco, poi si allontanavano e per consolarsi sbranavano tutte le lepri di passaggio.

Piu tardi arrivava l'Orso, e anche lui gettava occhiate languide alla sora Zucca:

— Quanto mi piacete, signora Zucca, — diceva l'Orso.

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