risatine dei soldati attorno a lei (e noto per la prima volta che molti di loro hanno un’aria esausta e abbattuta: alcuni si radunano attorno a noi, altri portano via il corpo del ragazzo morto e altri ancora invitano la gente dietro la carrozza a superarci e proseguire il cammino. Molti soldati sembrano feriti: alcuni zoppicano, altri tengono un braccio appeso a fasce logore, altri hanno bende sporche attorno alla testa come bandane grigie.)

«Il cancello non e molto robusto», dico e sento che le mie parole sono deboli come questi soldati sporchi e raccogliticci. «Avevamo paura di un saccheggio, se avessimo provato a tener duro», continuo. «C’erano soldati da quelle parti; hanno cercato di prendere il castello, ieri», dico.

Gli occhi della luogotenente si stringono. «Che soldati?»

«Non lo so.»

«Uniformi?» chiede. Getta uno sguardo malizioso intorno. «Meglio delle nostre?»

«Non e che li abbiamo visti.»

«Armamenti pesanti? Cosa avevano?» continua e, davanti alla mia esitazione, agita una mano e suggerisce: «Carri armati, autoblindo, cannoni…?»

Scrollo le spalle. «Non lo so. Artiglieria, mitragliatrici, granate…»

«Mortaio», dici tu, deglutendo, con gli occhi sbigottiti che passano da me a lei.

Metto la mia mano sulla tua. «Non sono sicuro che fosse un mortaio», dico alla luogotenente. «Penso che fosse… una granata da fucile?»

La nostra luogotenente annuisce con gravita, sembra pensarci un momento, poi dice: «Andiamo a dare un’occhiata a questo castello, Abel, d’accordo?»

«E abbastanza facile da trovare», le dico. Mi volto per un attimo verso la direzione da cui siamo venuti. «Basta…»

«No», dice lei aprendo lo sportello della carrozza e tirandosi su fino a sedersi accanto a te. Sposta di lato un paio di borse per mettersi piu comoda e si posa il fucile sulle ginocchia. «Portateci voi al castello», dice. «Ho sempre desiderato viaggiare su una carrozza come questa.» Accarezza la morbida superficie del sedile. «E un po’ di conoscenza del luogo potrebbe essere utile.» Infila una mano all’interno della giacca — qualcosa di nero, da cerimonia, a brandelli, macchiata e sporca di terra — poi estrae una lucente scatoletta d’argento, la apre e ci invita a servirci. «Sigaretta?»

Rifiutiamo entrambi; lei ne estrae una e rimette via la scatola d’argento.

«Tornare indietro non mi sembra una buona idea», dico, sforzandomi di suonare ragionevole.

Si sta togliendo il berretto e si passa una mano fra i ricci corti e bruno topo. «Be’, pazienza», dice, aggrottando le ciglia mentre ispeziona l’interno del berretto e passa un dito sull’orlo. «Consideratevi requisiti.» Si rimette il berretto e mi guarda con un sorrisetto freddo. «Giri la carrozza e torniamo indietro.» Estrae un accendino dal taschino sul petto.

«Ma siamo partiti all’alba», protesto. «E abbiamo seguito la corrente. Non ce la faremo prima di notte…»

Scuote rapidamente la testa. «Metteremo i camion davanti.» Da un colpo al berretto. «Non avete idea di come si sposta la gente quando si vede arrivare contro un camion con una mitragliatrice; resterete sbalorditi. Non ci vorra troppo tempo.» Fa roteare con delicatezza la sigaretta fra due dita mentre con l’altra mano aziona l’accendino. «Giri la carrozza, Abel», dice attraverso una nuvola di fumo.

Il camion che adesso e davanti a noi e stato spinto nel campo; stanno aspirando il gasolio dal serbatoio. Facciamo manovra nello spazio davanti al cancello e un paio di jeep e due camion a tre assi con teloni mimetici avanzano dal loro nascondiglio nel bosco. I soldati che avevano esaminato i resti del furgone in fiamme caricano bidoni di benzina e fusti di plastica sul cassone di uno dei camion, che si mette sulla strada davanti a noi, in mezzo alla corrente di profughi, suonando il clacson, mentre un soldato si sporge dalla cabina da cui spunta la canna di una mitragliatrice. La folla si apre e si disperde alla vista del camion come l’acqua davanti alla prua di una nave; faccio fatica a tenergli dietro. Le cavalle vanno al piccolo galoppo per la prima volta in tutto il giorno.

Una delle jeep ci segue da vicino. Anche su di essa c’e una mitragliatrice, montata su un treppiede dietro i sedili anteriori. La seconda jeep resta indietro: due soldati e i nostri domestici seppelliranno il giovane morto e poi ci raggiungeranno.

La carrozza sussulta, ondeggia, trema; il vento umido mi sferza la faccia, e freddo e violento. L’ombra della carrozza, con le ruote che tremolano, si allunga oltre il ciglio della strada nella luce acquosa del sole. La luogotenente sembra soddisfatta e se ne sta seduta con le gambe accavallate e il fucile in equilibrio contro una coscia; il berretto e posato su una borsa accanto a lei, e la mano tira distrattamente all’indietro i capelli, scuri come una foresta carbonizzata. Sorride a turno a me e a te. Tu mi guardi e posi una mano guantata sulla mia.

Dietro di noi, il flusso dei profughi si richiude e continua il cammino. Il furgone in fiamme fa un rumore simile a una tosse lontana e una scura bolla di fumo sale nel cielo grigio, unendosi al fumo di tutto cio che brucia nella pianura, veicoli, fattorie, case.

DUE

E cosi siamo diretti al castello. Non pensavo di rivederlo cosi presto; anzi, ero quasi sicuro che non l’avrei visto mai piu. Mi sento uno sciocco, come uno che alla stazione si e separato con cerimonie lunghe e toccanti da un amico intimo, per scoprire subito dopo che a causa di un equivoco sono saliti entrambi sul medesimo treno. Eppure, mentre i camion svoltano dalla strada principale, lasciandosi alle spalle la fila dei profughi, mi chiedo che accoglienza ci aspetta. Mentre ci avviciniamo cerco ansiosamente tracce di fumo: ho paura che i soldati comparsi ieri possano aver saccheggiato la casa e averle dato fuoco. Per ora, comunque, il cielo sopra gli alberi che circondano il castello mostra solo le nubi grigie che si spostano da nord.

Mentre avanziamo, la luogotenente controlla l’interno della carrozza, scoprendo molte cose che la affascinano. Mi volto quando trova il portagioie, dietro i tuoi piedi; ti pieghi e lo stringi al petto ma lei lo afferra e vince la tua resistenza con uno sguardo dolcemente ammonitore, oltre che con una forza tanto maggiore. Esamina un gioiello alla volta, provandosene alcuni sul petto, attorno al polso o a un dito; poi scoppia a ridere e te li restituisce, a parte un piccolo anello d’oro bianco con un rubino.

«Questo posso tenerlo?» ti chiede. La carrozza sobbalza rumorosamente per una buca e devo tornare a guardare avanti; la tua testa e premuta contro la mia nuca mentre tiro le redini per tener lontane le cavalle da una fila di buche sulla strada. Sento che le fai cenno di si.

«Grazie, Morgan», dice la luogotenente, e ha un’aria molto soddisfatta.

Da qualche minuto sembra addormentata (mi dai un colpetto sulla schiena per indicarmela, e c’e un sorrisetto sulle tue labbra mentre accenni alla sua testa penzoloni). Non ne sono sicuro; il viso della nostra luogotenente non mi sembra del tutto disteso, come succede a chi si addormenta per davvero. Forse ci sta sempre osservando e aspetta di vedere cosa faremo.

Comunque stessero le cose, adesso si raddrizza, si guarda intorno, chiede dove siamo ed estrae dalla giacca una piccola radio. L’avvicina alla bocca, parla brevemente e i camion davanti grugniscono e si fermano sulla strada sterrata. Avanzo con la carrozza fino a raggiungerli; la jeep ronza in folle alle nostre spalle. Manchera mezzo chilometro all’inizio del viale del castello, nascosto oltre una curva dietro gli scheletri umidi e scuri degli alberi.

«C’e una portineria?» mi chiede sottovoce la luogotenente. Faccio cenno di si con la testa.

«C’e qualche altra strada per evitare la portineria?»

«Non per i camion», le rispondo.

«E con la jeep?»

«Credo di si.»

Si alza di scatto, scuotendo la carrozza, si tocca il berretto rivolta a te e fa un cenno a me. «Ci guidera lei. Prenderemo la jeep.» Mi rivolgi un’occhiata spaventata e stendi la mano verso di me. «Rotula», dice la nostra luogotenente a uno degli uomini sulla jeep. «Da’ un’occhiata ai cavalli.»

La luogotenente da ordini che non sento agli uomini sui camion, poi salta sulla jeep e si mette al volante. Il soldato seduto accanto a lei tiene in mano un tubo verde oliva lungo circa un metro e mezzo. Immagino sia un

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