Sul tavolino del soggiorno scopri subito una serie di ritagli di giornale che parlavano del dottor Kevorkian, il noto medico che aiutava i pazienti a suicidarsi, piu altri articoli sul suicidio assistito.
Calhoun penso che si trattava di un argomento che aveva una certa attinenza con l’eutanasia e che a David sarebbe piaciuto fare quattro chiacchiere con Clyde Devonshire.
In camera da letto, ordinata come il soggiorno, ando direttamente alla scrivania, cercando in particolare delle fotografie, ma non ne trovo. Aprendo l’armadio, invece, scopri tutto un armamentario sado-maso, che comprendeva articoli di cuoio nero con borchie di metallo e catene. Su un ripiano erano allineate riviste e videocassette dello stesso genere.
Calhoun si chiese sogghignando che cosa avrebbe rivelato la ricerca al computer e continuo a girare per l’appartamento, sperando di trovare qualche foto in cui Clyde fosse ritratto con i suoi tatuaggi in mostra, ma non ne trovo.
Stava per ritornare nel soggiorno, quando udi sbattere il portoncino al piano terreno e poi dei passi che salivano le scale. In una frazione di secondo, si chiese se valeva la pena tentare la fuga, ma poi decise di rimanere e si mise davanti alla porta d’ingresso, che apri nel momento in cui il legittimo inquilino vi arrivo davanti.
«Clyde Devonshire?» domando seccamente.
«Si…» rispose Clyde, spaventato. «Che diavolo sta succedendo?»
Calhoun si presento e gli porse il proprio biglietto da visita, aggiungendo: «La stavo aspettando. Entri».
«E un investigatore?» chiese Clyde prendendo il biglietto.
«Si. Ero un poliziotto di Stato, ma poi il governatore ha deciso che ero troppo vecchio e cosi mi sono messo a fare l’investigatore. Mi sono seduto qui ad aspettarla per farle qualche domanda.»
«Be’, mi ha spaventato a morte», ammise Clyde, mettendosi una mano sul petto e lasciando andare un sospiro di sollievo. «Non sono abituato a tornare a casa e trovare qualcuno nel mio appartamento.»
«Mi spiace. Forse avrei fatto meglio ad aspettare sulle scale.»
«Non sarebbe stato comodo. Si sieda. Posso offrirle qualcosa?» Clyde Devonshire poso sul divano il pacchetto che aveva in mano e ando in cucina. «Ho del caffe, oppure…»
«Ce l’ha una birra?»
«Certo.»
Mentre il padrone di casa era in cucina, Phil Calhoun diede un’occhiata al sacchetto gettato sul divano: conteneva alcune videocassette simili a quelle trovate nell’armadio.
Clyde torno in soggiorno con due birre e si accorse che il sacchetto era stato aperto. Lo prese, dicendo: «Per divertirsi un po’», e ne chiuse accuratamente la sommita.
«Ho notato», commento Calhoun.
«Lei e etero?»
«A dire il vero, ormai non sono quasi piu niente.» Calhoun osservo bene il suo interlocutore. Aveva circa trent’anni, era di media altezza, ben piazzato, con i capelli castano chiari.
«Che genere di domande mi voleva fare?» chiese Clyde.
«Conosceva il dottor Hodges?»
L’uomo gli rispose con una breve risata sarcastica. «Perche mai dovrebbe indagare su quell’essere detestabile che ormai fa parte di una storia passata?»
«A quanto pare, non ne ha una grande opinione.»
«Era un miserabile bastardo, che aveva un concetto antiquato del ruolo degli infermieri. Pensava che fossimo forme di vita inferiori, destinate a svolgere il lavoro sporco e a non mettere mai in discussione gli ordini dei medici.»
«Lei sa chi lo ha ucciso?»
«Non sono stato io, se e questo che pensa. Ma, se lo scopre, me lo faccia sapere, perche mi piacerebbe offrirgli una birra.»
«Lei ha un tatuaggio?» domando ancora Calhoun.
«Certo, ne ho parecchi.»
«Dove?»
«Vuole vederli?» Alla risposta affermativa, Clyde si tolse la camicia e assunse diverse posizioni da culturista, poi rise. Aveva un tatuaggio a forma di catena intorno ai polsi, un drago sul braccio destro e un paio di spade incrociate sopra i capezzoli.
«Le due spade me le sono fatte fare nel New Hampshire, quando ero ancora a scuola, gli altri a San Diego.»
«Mi mostri meglio quelli sui polsi.»
«Eh, no», rispose Clyde, rimettendosi la camicia. «Se le faccio vedere tutto la prima volta, poi non ritorna piu.»
«Lei scia?» cambio argomento Calhoun.
«Di tanto in tanto. Certo che le sue domande sono a largo spettro.»
«Ha degli occhiali da sci a maschera?»
«Chiunque scii nel New England li ha, a meno che non sia un masochista.»
Calhoun si alzo. «Grazie per la birra, devo andare.»
«Che peccato, stavo cominciando a divertirmi», ridacchio Clyde.
Calhoun se ne ando volentieri. Quel tipo era decisamente insolito, piuttosto stravagante. Poteva avere ucciso Hodges? Chissa perche, lui pensava di no. Pero i tatuaggi sui polsi lo preoccupavano, non avendo potuto esaminarli da vicino. E l’interesse per Kevorkian era soltanto pura curiosita? Per il momento, rimaneva un sospetto, in attesa di ulteriori accertamenti con il computer.
Provo a passare da Joe Forbes, ma trovo soltanto una donna che gli parlo attraverso lo spiraglio della porta e che non volle nemmeno dire a che ora Joe sarebbe ritornato a casa. Poi arrivo davanti alla villetta di Claudette Maurice, per scoprire da una vicina che era in ferie alle Hawaii.
Ritornato sul suo furgoncino, verifico quel era il nome seguente sulla lista: Werner Van Slyke. Anche se aveva gia parlato con lui, decise di fargli una seconda visita, dato che la prima volta non sapeva ancora del tatuaggio.
Van Slyke abitava in una stradina tranquilla, dove le case avevano tutte un giardino o un prato davanti. Cosa sorprendente per il capo dell’ufficio tecnico di un grande ospedale, la sua era in uno stato a dir poco pietoso, con l’intonaco che si staccava dal muro e le imposte che pendevano a sghimbescio dai cardini.
Non c’era alcun segno di vita e nel vialetto non c’erano auto. Calhoun si accese un sigaro e attraverso la strada. Premette il campanello, ma non ne usci alcun suono, allora provo a bussare, senza ottenere risposta.
Giro intorno alla casa, cercando di guardare dentro alle finestre, ma erano cosi sporche che non riusci a vedere nulla. Arrivato sul retro, noto due portelloni di legno, tipo boccaporto, chiusi da catenacci. Sicuramente coprivano le scale che scendevano in cantina.
Tornato davanti alla porta d’ingresso, si guardo bene intorno per assicurarsi che nessuno lo vedesse, e provo ad aprirla. Non era chiusa a chiave.
Per essere assolutamente sicuro che in casa non ci fosse nessuno, Calhoun busso di nuovo piu forte che pote, aspetto qualche istante, poi mise di nuovo la mano sulla maniglia. Con sua grande sorpresa, la porta si apri da sola.
«Che cosa diavolo vuole?» chiese sospettoso Van Slyke, comparso come un fantasma sulla soglia.
«Mi spiace disturbarla», disse Calhoun, dopo avere tolto il sigaro di bocca. «Ero da queste parti e ho pensato di passare da lei. Si ricorda, le avevo detto che sarei ritornato. Ho qualche altra domanda da farle. Che cosa ne dice? E un momento poco opportuno?»
«No, puo andare bene. Ma ho poco tempo.»
«Non rimango mai piu del tempo che mi viene spontaneamente concesso.»
Helen Beaton dovette bussare diverse volte alla porta d’ingresso dello studio di Traynor, prima di sentire i passi che si avvicinavano.
«Sono sorpresa di trovarti ancora qui», gli disse quando finalmente lui le apri.
«Dedico talmente tanto tempo alle questioni che riguardano l’ospedale che mi tocca venire qui la sera e durante i weekend, per mandare avanti il mio lavoro», spiego Traynor, conducendola nel proprio ufficio.
«Ho fatto fatica a trovarti.»