padre, sarebbe rimasto fuori a pesca tutto il giorno.
Dopo che ebbero portato dentro tutti i bagagli, Angela si getto sul letto nella camera degli ospiti.
«Sono esausta!» esclamo. «Potrei addormentarmi immediatamente.»
«Allora fallo», la incoraggio David. «Non c’e bisogno che torniamo a Bartlet tutti e due, per parlare con Sherwood.»
«Davvero non t’importa di andarci da solo?»
«Ma no, figurati!» David sollevo l’orlo della trapunta e invito Angela a infilarsi sotto. Mentre usciva dalla stanza, senti che gli raccomandava di guidare con prudenza, ma la sua voce era gia impastata dal sonno.
Scese al piano di sotto, disse a sua madre che Angela stava facendo un pisolino e consiglio a Nikki di fare lo stesso, ma lei si era gia messa a impastare biscotti insieme alla nonna. Saluto tutte e due, spiegando che aveva un appuntamento a Bartlet, e sali in macchina.
Arrivo in citta con tre quarti d’ora di anticipo e si fermo per guardare l’elenco dei cinque sospetti, con i loro indirizzi. Il piu vicino era Clyde Devonshire. Sentendosi un po’ in colpa, rimise in moto e si diresse verso la sua abitazione. Si disse che le paure di Angela erano eccessive e che, in fondo, non avrebbe fatto niente di male nel dare solo un’occhiata.
All’indirizzo di Devonshire c’era una drogheria. Parcheggio ed entro a comprare una confezione di succo d’arancia. Poi, mentre pagava, chiese al commesso se conosceva Clyde Devonshire.
«Certo», rispose quello. «Vive qui sopra.»
«Lo conosce bene?»
«Cosi cosi. Viene qui spesso.»
«Mi hanno detto che ha un tatuaggio.»
Il commesso rise. «Ne ha un mucchio.»
«Dove, di preciso?» domando David, sentendosi un po’ in imbarazzo.
«Ha delle corde tatuate intorno ai polsi», intervenne un altro commesso. «E come se fosse legato.»
Il primo commesso rise ancora piu forte. David non capi se si trattasse di una battuta, ma non volle essere sgarbato, cosi accenno un sorriso. Per lo meno, aveva scoperto che Clyde aveva dei tatuaggi in un punto del corpo che poteva essere facilmente coinvolto in una colluttazione.
«Poi ne ha uno sul braccio, piu in alto», aggiunse il primo commesso, «e degli altri sul petto.»
David ringrazio e usci. Giro intorno all’edificio e individuo la porta da cui si saliva al piano di sopra. Per un breve istante penso di provare a entrare, ma poi cambio idea. Non poteva fare quel torto ad Angela.
Risali in macchina e guardo l’orologio: mancavano ancora venti minuti al suo appuntamento con Sherwood, c’era ancora tempo per un altro indirizzo. Il piu vicino era quello di Van Slyke.
Nel giro di pochi minuti, David arrivo nella stradina dove abitava il capo dell’ufficio tecnico dell’ospedale. Rallento per guardare i numeri civici sulle cassette della posta e freno improvvisamente: era arrivato all’altezza di un furgoncino che assomigliava tantissimo a quello di Calhoun.
Innesto la retromarcia e parcheggio la Volvo proprio dietro al furgoncino. Sul paraurti posteriore c’era un adesivo che diceva: QUESTO VEICOLO E SALITO SUL MONTE WASHINGTON. Doveva essere proprio quello.
Scese dalla macchina e sbircio nella cabina. Sullo sportello aperto del portaoggetti era appoggiato un bicchiere di carta sporco di caffe. Il portacenere era stracolmo di mozziconi di sigaro. David riconobbe il rivestimento interno e il deodorante appeso allo specchietto retrovisore.
Si rialzo e guardo dall’altra parte della strada. Di fronte a quella casa non c’era cassetta della posta, ma da dove si trovava poteva scorgere il numero civico dipinto su una colonna della veranda. Era proprio l’indirizzo di Van Slyke.
Attraverso la strada per dare un’occhiata piu da vicino. La casa aveva un grande bisogno di essere riparata e riverniciata. Non si capiva neppure che colore avesse originariamente: adesso sembrava grigia, ma una sfumatura verdognola faceva pensare che un tempo potesse essere stata verde-oliva.
Non c’erano segni di vita e, se non fosse stato per le tracce di pneumatici sulla ghiaia, poteva sembrare che fosse disabitata. David diede un’occhiata nel garage e vide che era vuoto, poi ritorno sulla parte anteriore e, dopo avere controllato che nessuno lo stesse osservando, provo ad aprire la porta. Non era chiusa a chiave e si apri semplicemente girando la maniglia. Lui la spinse piano e i cardini arrugginiti gemettero.
Pronto a scappare via al minimo accenno di pericolo, sbircio dentro. I mobili che vide erano coperti di polvere e ragnatele. Inalo a fondo, poi chiamo a gran voce, chiedendo se ci fosse qualcuno in casa.
Non rispose nessuno.
Lottando contro l’impulso di fuggire, David si costrinse a varcare la soglia. Il silenzio della casa lo avvolgeva come un manto e il cuore gli batteva all’impazzata. Non desiderava essere li, ma doveva pur scoprire che cos’era accaduto a Phil Calhoun.
Chiamo ancora, ma di nuovo non udi risposta. Stava per chiamare una terza volta, quando la porta d’ingresso, che ormai era alle sue spalle, si chiuse sbattendo forte. David quasi svenne dalla paura. Provando il terrore irrazionale che quella porta fosse in qualche modo rimasta bloccata, vi si getto contro e la riapri, poi vi mise contro un ombrello polveroso perche non si richiudesse un’altra volta. Non voleva sentirsi prigioniero in quell’edificio.
Dopo essersi un po’ calmato, fece un giro del pianterreno, spostandosi rapidamente da una stanza all’altra, tutte sporche e polverose, fino ad arrivare in cucina, dove si fermo. Sul tavolo c’era un portacenere e in esso era ben visibile il mozzicone di un sigaro. Appena oltre il tavolo si apriva una porta che conduceva in cantina.
David vi si avvicino e scruto giu, nell’oscurita. Oltre la porta c’era un interruttore; lo accese e una luce flebile illumino le scale.
Respirando profondamente comincio a scendere, fermandosi a meta strada per dare uno sguardo dall’alto alla cantina, ingombra di vecchi mobili e di scatoloni, oltre che di una gran baraonda di attrezzi e rottami. Noto che il pavimento era in terra battuta, proprio come quello della sua cantina, anche se vicino alla caldaia c’era una gettata di cemento.
Continuo a scendere, poi ando verso il cemento, si chino e lo esamino da vicino. Sembrava ancora umido. Lo tocco con una mano per accertarsene e rabbrividi. Si tiro su e imbocco di corsa le scale. Aveva visto abbastanza per andare dalla polizia, ma non aveva intenzione di disturbare Robertson e penso di chiamare direttamente la polizia di Stato. Raggiunta la sommita delle scale, si fermo di botto. Aveva udito un rumore di ruote sulla ghiaia del vialetto. Di fianco alla casa si fermo un’auto.
Per un istante David rimase impietrito, non sapendo che cosa fare. Aveva poco tempo per decidere. Udi chiudere una portiera, poi un rumore di passi sulla ghiaia.
Fu preso dal panico. Chiuse la porta della cantina e ridiscese in fretta le scale. Era certo che ci fosse un’altra uscita, un’altra scala che conducesse direttamente fuori, come a casa sua.
Nella parte posteriore della cantina c’erano diverse porte. David vide che il catenaccio della prima non era chiuso e la spalanco. Dava su un vano illuminato da una lampadina piuttosto fioca.
Udendo dei passi sopra di se, David si diresse verso la seconda porta e giro la maniglia, ma senza risultato. Riprovo con maggiore forza e alla fine la porta si apri, cigolando e spostandosi a fatica, come se non fosse stata aperta da anni.
Oltre la soglia c’era quello che David stava cercando: una rampa di gradini di cemento che portava a due aperture inclinate simili a botole. Richiuse la porta dietro di se e si ritrovo al buio, a parte per una lama di luce che scendeva dalle fessure delle due botole quasi orizzontali.
Sali le scale a quattro zampe, si accuccio sotto le botole, si fermo e rimase in ascolto. Non udi nulla. Mise le mani contro una botola e spinse, facendola sollevare di un solo centimetro, ma non di piu. Poi provo anche con l’altra, con lo stesso risultato. Erano chiuse con un catenaccio dall’esterno.
David cerco di restare calmo. Si sentiva le tempie martellare. Si rendeva conto di essere in trappola e la sua unica speranza era di non venire scoperto. Ma l’abbandono immediatamente, sentendo la porta della cantina aprirsi di botto e poi dei passi scendere le scale.
Si acquatto nell’oscurita e trattenne il respiro.
I passi si avvicinarono, poi la porta dietro la quale si era accovacciato venne aperta e lui si ritrovo a fissare il viso folle di Werner Van Slyke.
L’uomo pareva colto dal panico ancora piu di lui. Aveva l’aspetto di una persona che avesse appena assunto una forte dose di droga. Le palpebre praticamente non si vedevano e gli occhi spalancati e fissi gli uscivano quasi dalle orbite, con le pupille talmente dilatate da sembrare che non avesse iridi. La fronte era imperlata di sudore e