«Non mi ricordo. Non so perche, ma per un attimo ho avuto la sensazione che… voglio dire, nel sogno ho pensato che forse qualcuno poteva spezzare la roccia, magari con una piccozza. E poi ho pensato che no, era impossibile, la roccia era troppo dura. Non possono liberarmi. Nessuno puo salvarmi. Muoio. Stavo per morire, nel sogno, lo sapevo. A un certo punto evidentemente non ce l’ho piu fatta e mi sono svegliata.» Il suo racconto tentennante si interrompe di colpo, come il sogno. Henri emette un respiro profondo e si rilassa. Guarda Benton. «E stato terribile» dice.

«Si» replica lui. «Dev’essere stato terribile. Non credo che ci sia niente di piu spaventoso che non riuscire a respirare.»

Henri si posa una mano sul cuore. «Non mi si muoveva piu il petto. Avevo il respiro cortissimo… E non avevo la forza…»

«Nessuno ha la forza di muovere le montagne» replica lui.

«Mi mancava l’aria.»

Benton ripensa alle fotografie e deduce che il suo aggressore deve aver cercato di asfissiarla. Ripercorre le foto una per una, cercando di ricordare le lesioni riportate da Henri per valutare la correttezza della propria ipotesi. Ricorda che le usciva il sangue dal naso, aveva sangue sulle guance e sul lenzuolo, all’altezza della testa. Era stesa prona sul letto, nuda, scoperta, le braccia in alto e i palmi verso il lenzuolo, le gambe piegate, una piu dell’altra.

Mentre lui cerca di ricordare un’altra fotografia, Henri si alza dalla poltrona borbottando che vuole un altro caffe. Benton pensa alla pistola che ha nascosto nell’armadietto della cucina; lei non ha visto dove l’ha messa perche era voltata di spalle. La osserva e nel frattempo pensa alle fotografie, agli strani segni che Henri aveva sul corpo. Aveva le mani rosse, livide, e alcune contusioni sulla parte superiore della schiena, che nel giro di qualche giorno da rosse sono diventate viola.

La guarda mentre si versa un altro caffe e pensa al suo corpo steso sul letto dopo l’aggressione. Non tiene conto di quanto e bello, se non per valutare l’impatto che la sua bellezza puo aver avuto sull’aggressore, uomo o donna che fosse. Benton non trae conclusioni affrettate circa il sesso dell’aggressore. Henri e magra, ma non androgina. Ha abbastanza seno e peli pubici e non avrebbe attirato un pedofilo. Al momento dell’aggressione era sessualmente attiva.

La osserva tornare alla poltrona con la tazza fumante fra le mani. Non fa caso al fatto che non gli ha chiesto se voleva un altro caffe anche lui. Henri e probabilmente la persona piu egoista e insensibile che abbia mai conosciuto. Lo era anche prima dell’aggressione, ne e certo, e lo sara sempre. Si augura che la smetta di frequentare Lucy, anche se non ha nessun diritto di pensare una cosa del genere.

Si alza per andare a prendersi un altro caffe e le dice: «Henri, te la senti di cercare di ricostruire che cosa e successo?».

«Si, me la sento. Il problema e che non me lo ricordo.» Mentre lui e in cucina, aggiunge: «So che non mi credi».

«Perche dici cosi?» Benton versa il caffe e torna nel salotto.

«Il dottore non mi ha creduto.»

«Il dottore non ti ha creduto» ripete sedendosi di nuovo sul divano. «Ritengo di averti gia detto che cosa penso di quel dottore, ma voglio ribadirlo. E un misogino, e convinto che le donne siano tutte isteriche e non le rispetta perche le teme. Inoltre lavora al pronto soccorso e non sa come trattare le vittime di violenza.»

«Pensa che io abbia fatto tutto da sola» replica Henri arrabbiata. «Ma io ho sentito quello che ha detto all’infermiera…»

Benton sta attento a reagire nel modo giusto. Henri gli sta dando delle informazioni nuove, che spera veritiere. «Dimmi: che cosa ha detto all’infermiera?»

«Dovrei fargli causa, a quel bastardo.»

Benton beve un sorso di caffe, in attesa di una risposta.

«Magari lo faccio davvero» aggiunge lei furiosa. «Pensava che non lo sentissi perche avevo gli occhi chiusi. E entrato nella mia stanza mentre ero mezza addormentata. L’infermiera era sulla porta, lui e arrivato e io ho fatto finta di niente.»

«Hai fatto finta di dormire?» chiede Benton.

Henri annuisce.

«Sei un’attrice. Eri attrice di professione.»

«Lo sono ancora. Un attore non smette mai di essere un attore… Solo che in questo periodo non recito, faccio dell’altro.»

«Sei sempre stata una brava attrice, immagino» dice Benton.

«Si.»

«Sei sempre stata brava a recitare, a fingere.» Si interrompe, poi riprende: «Fingi spesso, Henri?».

La ragazza lo guarda male. «Fingevo di dormire, in ospedale, solo per sentire cosa diceva il dottore. E ho sentito tutto. Ha detto: “Quando sei arrabbiato con qualcuno, non c’e come farsi stuprare. Sensi di colpa a gogo”. E si e messo a ridere.»

«Capisco che tu abbia voglia di fargli causa» dice Benton. «Questo e successo nel pronto soccorso?»

«No, no, mi avevano gia fatto tutte le analisi e trasferito in una camera. Non so in che reparto, non mi ricordo.»

«Peggio ancora» dice Benton. «Non sarebbe dovuto salire in reparto. E un medico del pronto soccorso, e non aveva motivo di venire li. Era curioso, e questo non va bene.»

«Gli faccio causa. Lo odio.» Si massaggia di nuovo l’alluce. Il livido e quasi sparito. Anche quelli sulle mani sono sbiaditi, ormai giallastri. «Ha parlato di anfetamine, non so a che proposito. Ma mi stava prendendo in giro. Ce l’aveva con me.»

Anche questa e un’informazione nuova, e Benton si sente tutto a un tratto speranzoso: forse, con il tempo e tanta pazienza, Henri riuscira a ricordare piu cose e a dire meno bugie.

«Stronzo» borbotta la ragazza stringendosi la vestaglia sul petto. «Non si puo fare niente per fargliela pagare?»

«Henri, come mai secondo te ha parlato di stupro?» domanda Benton.

«Non lo so. Io non credo che mi abbia stuprata.»

«Ti ricordi l’infermiera?»

Henri scuote piano la testa.

«Ti hanno accompagnato su una sedia a rotelle in una stanza vicino al pronto soccorso e ti hanno sottoposto a una serie di analisi, giusto? Hanno usato un kit per la raccolta di prove. Tu lo conoscevi gia, no? Quando ti sei stufata di recitare, sei entrata nella polizia. Questo prima che conoscessi Lucy lo scorso autunno, prima di andare a lavorare con lei. Ti hanno fatto i tamponi, hanno raccolto peli e fibre…»

«Non mi sono stufata di recitare. Volevo solo fare un break, provare qualcos’altro.»

«Okay. Ma ti ricordi il kit per la raccolta di prove? Si chiama PERK.»

Henri annuisce.

«E l’infermiera? Mi hanno detto che e stata molto gentile. Si chiama Brenda. Ti ha visitato per vedere se eri stata stuprata. In una stanzetta che viene usata anche per i bambini, piena di animaletti di peluche, con la tappezzeria di Winnie the Pooh. Brenda non era vestita da infermiera. Aveva un tailleur azzurro.»

«Tu non c’eri.»

«Me l’ha detto per telefono.»

Henri si guarda i piedi posati sul cuscino della poltrona. «Le hai chiesto com’era vestita?»

«Capelli neri, corti, occhi castani…» Benton sta cercando di smuovere quello che Henri si sforza di dimenticare, o finge di aver dimenticato. E venuto il momento di parlare dell’ospedale, delle analisi che le sono state fatte. «Non c’era liquido seminale, Henri. Nessun elemento che facesse pensare a uno stupro. Pero Brenda ti ha trovato sulla pelle alcune fibre. Sembra che avessi una lozione o dell’olio sulla pelle. Ricordi di esserti spalmata dell’olio o qualche lozione sul corpo, quella mattina?»

«No» risponde lei a bassa voce. «Ma non posso escludere di averlo fatto.»

«Avevi dell’olio sulla pelle» dice Benton. «Secondo Brenda, perlomeno. Si sentiva anche il profumo. Profumo di lozione, appunto.»

«Lui non mi ha messo nessuna lozione.»

«Lui?»

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