ti ha fatto male anche ai genitali? C’e qualcos’altro che devo fotografare, o peggio ancora disinfettare? Vogliamo fare finta che io non sappia che sei provvisto di organi genitali come il resto della popolazione maschile su questa terra? Senti, e evidente che ti ha fatto male anche ai genitali, altrimenti mi avresti risposto di no e l’avremmo finita li. Dico bene?»
«Dici bene» borbotta lui, coprendosi il pube con le mani. «Si, mi ha fatto male. Ma penso che tu abbia raccolto gia abbastanza prove del fatto che Suz Paulsson mi ha procurato delle lesioni, indipendentemente dal fatto che io ne abbia procurato a lei.»
Kay Scarpetta si siede sul bordo del letto, a meno di un metro da lui, e lo guarda fisso negli occhi. «Preferisci dirmelo a parole, in che stato ti ha ridotto? Descrivimelo, cosi poi decidiamo se e il caso che ti tiri giu i pantaloni.»
«Mi ha morsicato dappertutto. Ho dei lividi.»
«Sono un medico» gli ricorda Kay.
«Lo so, capo. Ma non sei il
«Se tu morissi, lo sarei. Se ti avesse ammazzato, credi che non avrei voluto vedere come ti aveva ridotto? Per fortuna non sei morto, ma hai subito delle violenze, che ti hanno lasciato gli stessi segni che avrei visto se alla fine lei ti avesse anche ammazzato. Mi rendo conto che e un discorso assurdo: suona ridicolo persino a me che te lo sto facendo. Ma vorrei che mi facessi vedere le lesioni che quella donna ti ha procurato, in maniera che io possa decidere se e il caso di curarle o di fotografarle.»
«Curarle? E come?»
«Probabilmente bastera un po’ di Betadine. Scendo a comprarne una boccetta in farmacia.»
Marino cerca di immaginare che reazione avra Kay, se lo vedra. Non glielo ha mai visto, non ha la minima idea di come sia. Probabilmente non e ne superiore alla norma ne inferiore alla norma, e se e nella norma va bene, ma forse lei e abituata a qualcosa di diverso, si aspetta qualcosa di diverso. Meglio evitare, insomma. Poi, pero, gli viene in mente la polizia, si immagina gia seduto in manette sulla volante, fotografato da un agente in una cella, al banco degli imputati… Si abbassa la zip dei pantaloni.
«Ti avverto che, se ti metti a ridere, io non ti rivolgo piu la parola» dice. E paonazzo, sudato. Il sudore gli fa bruciare le ferite.
«Povero Marino!» esclama Kay Scarpetta. «Quella donna e una psicopatica.»
31
Piove e fa freddo quando Kay Scarpetta posteggia davanti alla casa di Suzanna Paulsson. Resta qualche minuto in macchina con il motore acceso e i tergicristalli in funzione a guardare il vialetto di mattoni che conduce alla porta di casa e ripensa a Marino.
La storia che le ha raccontato e molto piu significativa di quello che lui pensa. Le lesioni che le ha fatto vedere sono peggiori di quello che lui crede. Forse non le ha riferito tutto nei minimi dettagli, ma le ha detto abbastanza perche potesse farsi un’idea di come sono andate le cose. Spegne i tergicristalli e guarda la pioggia che cade sui vetri, cosi violenta che il parabrezza sembra una lastra di ghiaccio mezza sciolta. Suzanna Paulsson e in casa: la sua automobile e parcheggiata vicino al marciapiede e le finestre sono illuminate. Peraltro, con un tempaccio cosi, e meglio non uscire.
Kay Scarpetta non ha ne un ombrello ne un berretto.
Scende dalla macchina sotto la pioggia battente e corre sui mattoni scivolosi del vialetto verso la casa di Gilly Paulsson, morta a quattordici anni, e di sua madre, donna dalla sessualita malata. Forse Kay non e in condizione di poter giudicare la signora Paulsson, ma e arrabbiata. E molto piu arrabbiata di quanto Marino sospetti. Probabilmente lui non si e accorto di quanto e furibonda. La signora Paulsson adesso vedra che cosa vuol dire avere a che fare con Kay Scarpetta, quando e arrabbiata. Bussa con foga e pensa a che cosa fara se nessuno le aprira la porta, se Suzanna Paulsson fingera di non essere in casa, come Fielding. Bussa di nuovo, piu lentamente e con maggior forza.
Sta scendendo la sera, rapida come una macchia di inchiostro, e Kay Scarpetta vede il fiato che le si condensa davanti alla faccia. L’acquazzone infuria sempre piu violento. Bussa ancora. “Di qui non mi muovo” pensa. “Non te la caverai tanto facilmente. Non sperare che mi arrenda e me ne vada.” Prende il cellulare e un foglio di carta dalla tasca del cappotto e legge il numero che si e appuntata nel corso della sua visita di ieri alla signora Paulsson, quando era ancora gentile e simpatica, quando provava ancora pena per lei. Fa il numero e sente squillare il telefono dentro casa. Bussa con forza, sbattendo il batacchio a forma di ananas contro la porta. Se si rompe, pazienza.
Passa un altro minuto. Richiama, lasciando squillare a vuoto il telefono per un’eternita. Chiude la comunicazione appena prima che scatti la segreteria. “Sei in casa, lo so”, pensa. “E inutile che tu faccia finta di non esserci. Sai che sono io e non mi vuoi vedere, vero?” Si allontana di qualche passo e va a guardare dalla finestra. La luce filtra, calda e soffusa, attraverso le impalpabili tende bianche. Kay Scarpetta vede un’ombra guizzare rapida alla sua destra, fermarsi un istante vicino al vetro e sparire.
Bussa di nuovo alla porta e riprova a telefonare. Questa volta, quando la segreteria scatta, dice: «Signora Paulsson, sono la dottoressa Scarpetta. Sono qui fuori. Mi apra la porta, per favore: si tratta di una cosa importante. So che e in casa, signora». Chiude la comunicazione, bussa ancora e vede l’ombra di prima spostarsi dietro le tende della finestra a sinistra della porta. Dopo un attimo il portone si apre.
«Mio Dio» esclama la signora Paulsson, fingendosi sorpresa in maniera assai poco convincente. «Non sapevo che era lei! Che temporale, eh? Venga, si accomodi. Per abitudine non apro la porta, a meno che non aspetti qualcuno.»
Kay Scarpetta entra gocciolando nel salotto, si toglie il cappotto fradicio e si scosta i capelli bagnati dalla fronte: e come se fosse appena uscita dalla doccia.
«Non si buschera una polmonite, bagnata com’e?» chiede Suzanna Paulsson. «Che sciocca! Dimentico che lei e una dottoressa! Venga in cucina, le offro qualcosa di caldo.»
Kay Scarpetta si guarda intorno nel piccolo salotto, soffermandosi sulla cenere ormai spenta nel caminetto, sul divano sotto la finestra, sulle due porte che conducono da una parte e dall’altra della casa. La signora Paulsson se ne accorge e si irrigidisce. Non e una brutta donna, solo un tantino ordinaria.
«Perche e qui, dottoressa?» le chiede, diffidente. «Che cosa e venuta a fare? Credevo volesse parlarmi di Gilly, ma non mi sembra sia questa la sua intenzione.»
«Forse anche oggi Gilly e solo una scusa» replica criptica Kay Scarpetta. E in piedi al centro della stanza e si guarda apertamente in giro.
«Non ha nessun diritto di trattarmi a questo modo» sbotta la signora Paulsson. «Se ne vada, la prego. La accompagno alla porta.»
«No, non me ne vado. Se vuole, chiami pure la polizia. Non me ne andro finche non avremo parlato di quello che e successo ieri sera.»
«Si, penso proprio che chiamero la polizia. Quel mostro! Dopo tutto quello che ho passato, viene qui e approfitta di me… Le sembra giusto infierire su una poveretta gia allo stremo delle forze? Avrei dovuto immaginarlo, comunque. Si vede subito, che e un bruto.»
«Chiami pure la polizia, signora Paulsson» la provoca Kay Scarpetta. «Io raccontero la mia versione dei fatti. Che sara molto diversa dalla sua, immagino. Le spiace se do un’occhiata in giro? So dove sono la cucina e la camera di Gilly, quindi penso che camera sua sia uscendo da questa porta a sinistra.» Si incammina.
«Non si rende conto di quanto e invadente?» scatta la signora Paulsson. «Se ne vada! Non ha nessun diritto di farsi gli affari miei.»
La camera da letto di Suzanna Paulsson e piu grande di quella di Gilly, ma non di molto. Ci sono un letto matrimoniale, due antichi comodini di noce, due como appoggiati alla parete e due porte: una conduce al bagno e l’altra alla cabina armadio. Vicino a quest’ultima ci sono un paio di anfibi neri, di pelle. Kay Scarpetta prende dalla tasca un paio di guanti di cotone e se li infila, guardando fissa gli anfibi. Da un’occhiata ai vestiti appesi nell’armadio, poi si volta ed entra nel bagno. Appoggiata sul bordo della vasca c’e una maglietta mimetica.
«Chissa che cosa le ha raccontato» dice la Paulsson, in piedi in fondo al letto. «E lei gli ha creduto, naturalmente. Be’, vedremo a chi credera la polizia. Io penso che crederanno a me.»