mani.

«Signora Paulsson, lei pensa che Frank possa aver fatto qualcosa a Gilly?»

«Non so chi le ha regalato quella rosa» replica la donna, guardando il muro. Lo fissava anche ieri, quando erano sedute a quello stesso tavolo. «Io no. Non sapevo nemmeno che c’era, non l’avevo mai vista. Eppure metto spesso le mani nei cassetti di Gilly: li avevo aperti il giorno prima per riporre la roba stirata. Gilly era disordinatissima, lasciava tutto in giro. Non ho mai visto rose in camera sua. Gilly l’avrebbe lasciata a mezzo di sicuro: era disordinata da morire.» Si rende conto di quello che ha detto e tace, guardando il muro.

Kay aspetta di vedere se aggiunge qualcosa. Passa un minuto. Il silenzio e pesante.

«La cosa peggiore era la cucina» dice la signora Paulsson dopo un po’. «Ogni volta che si preparava un panino, lasciava tutto in disordine. Prendeva il gelato e non lo rimetteva nel freezer. Sa quanta roba mi e toccato buttare via?» Assume un’espressione cupa. «E il latte? Lo lasciava sul tavolo, cosi inacidiva.» Con voce stridula aggiunge: «Mi faceva venire un nervoso… Sa che cosa vuol dire?».

«Si» risponde Kay Scarpetta. «E uno dei motivi per cui ho divorziato.»

«Be’, anche Frank non era da meno» continua la signora Paulsson, sempre senza guardarla. «Fra tutti e due, mi davano un gran daffare.»

«Ammesso che Frank abbia fatto qualcosa a Gilly, che cosa potrebbe essere stato?» chiede Kay Scarpetta, attenta a formulare le domande in maniera che la Paulsson non possa rispondere semplicemente si o no.

La donna continua a guardare il muro, senza battere ciglio. «Qualcosa le ha fatto di sicuro.»

«Dal punto di vista fisico, intendo. Gilly e morta.»

La signora Paulsson sta di nuovo per piangere. Si frega gli occhi, sempre guardando lontano. «Non era qui, quando e successo. Non in casa, per quel che ne so.»

«Quando e successo cosa?»

«Quello che e successo quella mattina, mentre io ero fuori. Quando sono andata a comprare lo sciroppo per la tosse.» Si asciuga gli occhi. «Sono tornata e ho trovato la finestra aperta. Non so se l’ha aperta Gilly. Non dico che e stato Frank, dico che lui c’entra. Quell’uomo ha il potere di distruggere tutto cio che tocca. E pensare che fa il medico! Non so se mi spiego…»

«Io adesso devo andare, signora Paulsson. So che non e stato un colloquio facile, da nessun punto di vista. Ha il mio cellulare: se le viene in mente qualcosa di importante, mi chiami.»

La signora Paulsson annuisce, in lacrime.

«Forse dovrebbe dirci chi bazzicava per casa, magari invitato proprio da Frank. Un conoscente, che so, uno con cui facevate i vostri “giochetti”.»

Va verso la porta. La signora Paulsson non si alza.

«Se le viene in mente qualcuno, me lo dica» conclude Kay. «Gilly non e morta per colpa dell’influenza. E importante che capiamo che cosa le e successo esattamente. E lo scopriremo, prima o poi. Immagino che lei preferisca prima che poi.»

La signora Paulsson continua a fissare il muro.

«Adesso vado» dice Kay Scarpetta. «Non esiti a chiamarmi, a qualsiasi ora. Anche se ha bisogno di qualcosa. Senta, ha mica qualche sacco per la spazzatura da prestarmi?»

«Sono sotto il lavabo. Se sono per quello che penso io, non ce n’e bisogno» mormora.

Kay Scarpetta apre lo sportello sotto il lavabo e prende quattro sacchi di plastica da una scatola. «Io prendo tutto comunque» dice. «Se non ce ne sara bisogno, meglio.»

Va nella camera da letto di Suzanna Paulsson e infila dentro due sacchi di plastica le lenzuola, in un altro gli anfibi e in un altro ancora la maglietta. Va in salotto, si mette il cappotto ed esce nella pioggia gelida con i quattro sacchi in mano. Cammina in una pozzanghera e si bagna i piedi.

32

Il locale e immerso nella penombra e le donne sedute ai tavoli hanno smesso di lanciare occhiate — prima curiose, poi sdegnose e quindi indifferenti — a Edgar Allan Pogue, che giocherella con il peduncolo di una ciliegina candita.

Ogni volta che va all’Other Way prende un Bleeding Sunset, la specialita del locale. E un cocktail a base di vodka, con un liquido arancione e rosso che scende in fondo al bicchiere. Il Bleeding Sunset si chiama cosi perche quando te lo servono ricorda un tramonto rosso sangue. Dopo un po’, a furia di alzare e abbassare il bicchiere, diventa una brodaglia arancione. Quando si scioglie il ghiaccio, sembra una bibita che Edgar Allan Pogue beveva sempre da bambino. La vendevano in un contenitore di plastica a forma di arancia, con una cannuccia verde che doveva sembrare il picciolo. La bibita faceva schifo, non sapeva di niente, ma il contenitore era bellissimo. Lo vedevi e ti immaginavi una bibita fresca e dissetante. Tutte le volte che andavano nel Sud della Florida, chiedeva a sua madre di comprargli una di quelle arance di plastica e sua madre gli diceva sempre di no.

Le persone sono un po’ come quelle arance di plastica, riflette Edgar Allan Pogue. Li per li sembrano belle, ma quando le assaggi scopri che fanno schifo. Solleva il bicchiere e fa ruotare il liquido arancione sul fondo. Valuta se ordinare un altro cocktail sulla base dei soldi che ha in tasca e dell’ebbrezza che gli ha procurato il primo. Ma no, non e ubriaco. Edgar Allan Pogue non si e mai ubriacato in vita sua; sta molto attento a non ubriacarsi e non riesce a bere un Bleeding Sunset o un altro cocktail senza concentrarsi sugli effetti che l’alcol ha su di lui. Sta attento anche a non ingrassare, e l’alcol e molto calorico. Sua madre era grassa. Con gli anni e ingrassata ed e un peccato, perche da giovane era carina. L’obesita e ereditaria, dicono. “Se continui a ingozzarti in questo modo, diventi un ciccione” gli diceva sua madre. “Cominci cosi, con un po’ di grasso di troppo in vita, e poi ti ritrovi obeso.”

«Un altro Bleeding Sunset, per favore» chiede ad alta voce Edgar Allan Pogue.

L’Other Way e un locale piccolo, con i tavoli di legno coperti da tovaglie nere e una candela al centro. Sempre spenta, almeno quando ci va lui. In un angolo c’e un tavolo da biliardo, ma lui non ha mai visto nessuno che ci giocava e sospetta che i clienti dell’Other Way non siano tipi da biliardo e che quel tavolo sia un ricordo di qualche vita precedente. Quel posto doveva essere un altro genere di locale, prima. Tutto cambia, niente resta uguale.

«Un altro Bleeding Sunset» ribadisce.

Le donne che lavorano all’Other Way non si lasciano trattare come volgari cameriere. La gente elegante e distinta che frequenta quel locale non fa schioccare le dita per richiamare la loro attenzione. Le donne che lavorano all’Other Way sono signore e pretendono di essere trattate con rispetto, al punto che talvolta Edgar Allan Pogue ha la sensazione che gli facciano un favore a lasciarlo entrare e spendere i suoi soldi in Bleeding Sunset. Si guarda attorno nel bar immerso nella penombra e vede la rossa. Indossa uno scamiciato nero, cortissimo e aderentissimo. Andrebbe portato con una camicetta sotto, ma lei lo porta senza e lo scamiciato le copre giusto quello che proprio non puo fare a meno di coprire. Edgar Allan Pogue ha notato che si china spesso, e non per sistemare la tovaglia o per servire da bere, ma per farsi vedere dagli uomini che danno laute mance e sanno dire le cose giuste. La pettorina dello scamiciato e poco piu grande di un foglio da disegno, tenuta su da strette bretelle. E l’unica parte del suo abbigliamento che non e aderente. Quando la rossa si china a prendere un bicchiere o a scrivere un’ordinazione, sembra che debba esploderle sul petto da un momento all’altro, ma il locale e immerso nella penombra, non si e mai chinata verso di lui, e Edgar Allan Pogue di li non vede.

Si alza dal suo tavolo, vicino alla porta. Non vuole gridare la sua ordinazione e non e piu nemmeno sicuro di volere un altro Bleeding Sunset. Non riesce a togliersi di mente l’arancia di plastica con la cannuccia verde e, piu ripensa al disappunto che provava ogni volta che assaggiava quella bibita, piu si arrabbia. Si infila una mano in tasca e prende una banconota da venti dollari. Per frequentare l’Other Way ci vogliono soldi, come per avere un cane ci vogliono ossi, pensa. La rossa gli si avvicina ticchettando sui tacchi a spillo, ballonzolando dentro la pettorina. Da vicino Edgar Allan Pogue si accorge che e vecchia. Avra cinquantasette o cinquantotto anni, forse anche sessanta, pensa.

«Vuole il conto?» chiede la rossa. Prende la banconota da venti dollari senza degnarlo di uno sguardo.

Ha un neo sulla guancia destra, finto, disegnato con la matita. Avrebbe potuto farselo meglio, pensa Edgar Allan Pogue. «Veramente avrei voluto continuare a bere» dice.

«La capisco» replica lei. La sua risata sembra il verso di un gatto ferito. «Le porto un altro cocktail?»

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