— Avevano gia progettato di sbucare nello scantinato dell’edificio — ripete lei. — Ma qui non c’era nessun edificio. Cosi hanno dovuto scavare.

— Ah, certo. — Non mi sembrava importante. A dir la verita la mia testa era un guazzabuglio di riflessioni, e non sapevo neppure quale fosse importante e quale no. Riuscivo a scorgere anche il grosso rettangolo nero, e ne vidi uscire altre due persone: la sergente Nyla e l’uomo che sembrava, ma che aveva detto di non essere, Djugashvili. Scambiarono qualche parola, poi Nyla gli volse le spalle e sali su una jeep.

— Che ne pensate di quelle impalcature? — chiesi.

— A occhio e croce — rispose la dottoressa Valeska, — e la loro soluzione ai problemi di posizione. Dovevano spiarci, penetrare nei laboratori. Alcune di quelle impalcature corrispondono, direi, all’altezza dei pavimenti del nostro primo piano.

Sembrava razionale, anche se l’intera faccenda aveva aspetti che mi riusciva difficile accettare come reali e razionali. Uno degli scienziati piu giovani mise il dito sulla piaga: — Secondo voi cos’hanno intenzione di farci? — chiese, con voce tremula.

Nessuno aveva una risposta da dargli. Il colonnello Martineau si avvicino. — Penso che la sergente ce lo fara sapere, adesso — borbotto, mentre sollevando una nuvola di sabbia la jeep veniva a fermarsi accanto a noi.

Lei non ci disse nulla… o almeno, non direttamente. Appena balzata a terra era andata a parlare coi piloti dei due elicotteri. «Parlare» e un eufemismo, perche dopo qualche istante costoro cominciarono a discutere accanitamente, e non si preoccupavano certo di tener la voce bassa. Nyla li stava facendo incavolare.

L’argomento del loro disaccordo aveva dei singolari punti in comune con il rompicapo dei missionari che devono traghettare il cannibale al di la del fiume. Ogni elicottero poteva portare cinque persone oltre al pilota. Noi eravamo in nove — nove cannibali — e con la guardia dieci. Ma dovevamo dividerci in due gruppi. Solo che nessuno dei due piloti voleva essere quello che avrebbe messo a repentaglio la pelle caricando cinque di noi maniaci sanguinari disperati senza una guardia a tutelarlo.

— Allora si fa cosi — grido infine la sergente Sambok: — tu ne prendi quattro, tu altri quattro, e io terro sotto sorveglianza il maledetto ultimo finche uno di voialtri torna indietro. — E dopo che i piloti ebbero grugnito il loro assenso, mentre la guardia e l’autista della jeep ci facevano salire a bordo, lei punto un dito su di me.

— Questo lasciatelo da parte — stabili. — Badero io a lui fino al prossimo viaggio.

— Sissignora, sergente — belo uno dei soldati. — Ma il maggiore ha detto che…

— Muoviti! — ordino Nyla. E loro si mossero. Quando furono tutti a bordo degli elicotteri lei si volse a considerarmi attentamente. I suoi occhi mi dissero che non costituivo un problema per una ragazza robusta e armata di un’efficiente carabina. Annui fra se. — Non ha senso restare qui a friggerci il cervello — disse. — Andiamo nel rimorchio.

Il carrozzone con le finestre aveva, benedetto lui, l’aria condizionata.

Era anche vuoto. All’apparenza era li solo per essere usato dagli elicotteristi, e in quel momento costoro non c’erano. Mi fece entrare per primo, e sali soltanto quando fui a distanza di sicurezza. Poi si fermo in un angolo, con dita esperte si fece sgusciar fuori da una tasca due quarti di dollaro e me li porse. — Laggiu c’e un distributore di Coca Cola — disse. — Io sono…, occupata. Apritemi una lattina e mettetemela li, sul tavolo. — E dopo un momento aggiunse: — Per favore.

Sedette e bevve un lungo sorso di Coca Cola, senza togliermi gli occhi di dosso. Io ricambiai il suo sguardo. Vista a tu per tu, senza nessun altro a distrarci nelle vicinanze, sembrava piu identica che mai alla mia Nyla. Oh, certo, indossava qualcosa che lei non si sarebbe messa neppure ad Halloween per una festa in maschera. Ma davanti a me vedevo Nyla Christophe Bowquist.

Naturalmente non era lei. Era Nyla Qualcun Altro. Ma qualunque nome avesse sui documenti era bella e desiderabile come la mia Nyla, il che non era cosa dappoco. Non voglio dire sensuale, benche lo fosse in abbondanza. Il fatto e che c’era di piu. Io la amavo. Amai lo sguardo fra perplesso e ironico che mi elargi. Amai il movimento con cui si appoggio all’indietro, e che fece risaltare i suoi seni al punto che quella tuta da fatica mi parve piu bella di un abito d’alta sartoria. E quando parlo amai il suono della sua voce.

— Cos’e questa storia, DeSota? Voglio dire, cos’e quello di cui mi stava parlando?

— Lei e una concertista, tutto qui. Una delle piu grandi suonatrici di violino mai esistite.

— Ma non mi dica! Io sono un’insegnante di musica, Mr. DeSota. Ammetto d’aver sempre desiderato suonare con una grande orchestra. Pero non l’ho mai fatto.

Scossi le spalle. — Ma ne ha la capacita potenziale — dissi, — perche nel mio universo questo e esattamente cio che lei e. E c’e un’altra cosa che non le ho detto circa il suo doppione della mia linea temporale e… e me.

Mi gratifico di un’occhiata ironica. Se non borbotto la parola cosa? furono le sue sopracciglia a dirla per lei.

— Noi siamo amanti. Io… io ti amo. Capisci?

Il suo sguardo da divertito si fece sorpreso, con una sfumatura di sospetto. Ma era ancora piuttosto caldo. Caldo per un tipo come Nyla, voglio dire, che era una specialista nel mostrare agli sconosciuti una maschera abbastanza gelida. Era anche lo sguardo con cui Rossana doveva aver considerato Cyrano de Bergerac, quando aveva scoperto che era stato lui, e non quell’ottuso bellimbusto di Cristiano, a scriverle le lettere d’amore. Poi disse: — Questa e una notizia che mi da, DeSota.

— Non sto cercando d’imbrogliarti, Nyla.

Lei ci penso su qualche istante, si guardo attorno e sorrise.

— Viste le circostanze — disse, — potrebbe benissimo essere come dice lei. Comunque parliamo di qualcos’altro. Ad esempio, perche ha nominato quel concerto di Gershwin? Mori giovane, dovrebbe saperlo. — Io scossi le spalle; non sapevo molto di lui. — Ha lasciato un sacco di buona musica — continuo lei, mentre io mi accostavo alla finestra per guardar fuori. — Tutta la musica popolare, naturalmente. Oltre alla Rapsodia in Blu, al Concerto in F, e l’Americano a Parigi… ma, sul serio, non ha mai composto nulla per il violino.

Io stavo osservando il portale, piu in basso, dove il Non-Realmente-Djugashvili stava operando su una consolle identica a quella che c’era dall’altra parte. Scossi il capo con decisione. — Ti sbagli, Nyla. Ti sbagli proprio. Non che io sia un esperto di musica classica, questo e certo, ma ho imparato qualcosa standoti attorno… attorno all’altra Nyla. Suonava spesso quel concerto per violino. E molto melodico, il che lo rende facile anche per un incompetente come me. Magari riesco a fischiettartelo… aspetta un minuto. — Camminai su e giu cercando di rammentare l’eccitante e piacevole tema d’apertura che Nyla eseguiva cosi bene nel suo assolo. Quando cominciai a fischiare seppi che non gli stavo rendendo giustizia, ma uno dei pregi della musica davvero bella e che non si lascia rovinare facilmente.

Lei si acciglio. — Non l’ho mai sentito. Ma e assai piacevole. — E sporse le labbra provando a fischiare a tempo con me.

Anch’io sporsi la labbra, quando mi chinai in avanti per baciarla.

Lei mi restitui il bacio.

O almeno fui quasi certo che me lo stesse restituendo. Potei sentire quelle soffici e dolci labbra aprirsi sotto le mie, ma non volli accertarmene. La colpii alla nuca col taglio della mano, con la stessa durezza che avevo appreso a usare al corso di judo.

Cadde sul pavimento come un sacco vuoto.

Quel genere di combattimento a mani nude era soltanto teoria per me. Non l’avevo mai messo in pratica fino ad allora, salvo che durante gli esercizi dove non si affondano i colpi. Ne avevo programmato di farlo, benche una parte del mio cervello continuasse a dirmi che la divisa di Nyla e quella che avevano dato a me erano del tutto uguali, a parte il fatto che lei portava una fascia verde al braccio e una carabina, ed io non avevo ne l’una ne l’altra.

Quando la vidi abbattersi al suolo non potevo esser sicuro in alcun modo di non averla colpita troppo forte.

Ma allorche poggiai una mano su quel seno, cosi familiare al tatto come m’era estranea quella stoffa militare, potei sentire che il cuore e la respirazione erano del tutto normali.

— Mi dispiace, tesoro — mormorai. M’infilai sulla manica la sua fascia verde. Raccolsi la carabina dal pavimento, me l’appesi alla spalla, e uscii dal rimorchio senza piu voltarmi indietro.

Вы читаете L'invasione degli uguali
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату