I vestiti del morto (ammesso che fossero i suoi) erano sparsi sul pavimento. Pantaloni e mutande accanto alla sedia. La camicia appallottolata. Una scarpa sotto il letto, vicino alla testiera. La giacca in poliestere, appesa allo schienale di una sedia accanto al letto, non conteneva effetti personali. Niente portafoglio, biglietti dell’autobus, vecchie fotografie. Nulla che potesse aiutare a identificare la vittima.

Thorne non sapeva se dal telefono fossero gia state rilevate le impronte, ma non c’era tempo per controllare. Cosi afferro una busta di plastica che il tizio calvo della scientifica gli porgeva e ci infilo dentro la mano. Fece un cenno per chiedere silenzio, ma non ce n’era bisogno. Trasse un profondo respiro e sollevo la cornetta.

«Pronto?»

«Oh… salve.» Una voce di donna.

Thorne incrocio lo sguardo di Holland. «Con chi desidera parlare?» Teneva il microfono a qualche centimetro dall’orecchio, percio non riusci a udire bene la risposta. «Mi scusi, la linea e disturbata, potrebbe parlare piu forte?»

«Va bene cosi?»

«Perfetto. Allora, con chi desidera parlare?» chiese Thorne di nuovo, con tono indifferente.

«Oh, ecco… non lo so, in realta…»

Thorne fisso di nuovo Holland e scosse la testa. Merda, non sarebbe stato facile. «Con chi parlo?»

«Prego?»

«Chi e lei?»

Ci fu una breve pausa prima della risposta. La voce si era fatta appena piu tesa. Tranquilla, comunque, e ricercata. «Ascolti, non vorrei sembrarle scortese, ma qualcuno da li mi ha chiamato. E io non ho particolarmente voglia di lasciare il mio…»

«Sono l’ispettore Thorne, dell’Unita per i Reati Gravi…»

Un’altra pausa. Poi: «Credevo di aver chiamato un hotel…».

«Infatti, e cosi. Ora puo dirmi il suo nome?» Thorne guardo di nuovo Holland, che aspettava con il taccuino aperto e la penna in mano, e mimo uno sbuffo.

«Lei potrebbe essere chiunque» obietto la donna.

«Ascolti, se questo puo servire a tranquillizzarla, la richiamo. Anzi, le daro un numero che lei potra chiamare per controllare. Chieda dell’ispettore capo Russell Brigstocke. E le daro anche il mio cellulare…»

«A cosa mi serve il suo cellulare, se ha detto che mi richiamera lei?»

Quella conversazione cominciava a diventare grottesca. A Thorne sembro di cogliere una nota divertita, forse anche un po’ seduttiva, nella voce della donna. Il che non sarebbe stato affatto sgradevole, in una mattina del genere, ma non era dell’umore giusto.

«Signora, il telefono da cui le parlo si trova in una stanza d’hotel in cui e avvenuto un delitto e io devo sapere il motivo della sua chiamata.»

Sembro che la donna avesse afferrato il messaggio. Con voce un po’ spaventata, rispose alla richiesta.

«Stamattina, appena arrivata al lavoro, ho controllato i messaggi sulla segreteria. Questo era il primo. L’uomo che ha chiamato ha lasciato il nome dell’hotel e il numero della stanza per la consegna…»

“L’uomo che ha chiamato”: si trattava del morto?

«Che cosa diceva il messaggio?»

«Era un’ordinazione. Ma a un’ora un po’ assurda. Per questo prima ero diffidente. Pensavo che potesse trattarsi dello stupido scherzo di qualche ragazzino.»

«Quell’uomo le ha lasciato il suo nome?»

«No, e questo e uno dei motivi per cui ho telefonato. Volevo un nominativo e un numero di carta di credito. Non faccio consegne in contrassegno.»

«Cosa intende dire quando parla di “un’ora un po’ assurda”?»

«L’ordinazione e stata fatta alle tre e dieci del mattino. La mia e una di quelle segreterie telefoniche che registrano l’ora precisa di ogni messaggio.»

Thorne abbasso la cornetta, premendosela contro il petto, e guardo Hendricks. «Conosco l’ora della morte. Scommetto dieci sterline che e stato al massimo mezz’ora prima o dopo…»

«Pronto?»

Thorne si porto di nuovo il ricevitore all’orecchio. «Mi scusi, stavo parlando con un collega. Le chiedo di mettere da parte la cassetta della sua segreteria telefonica, signora…»

«Eve Bloom.»

«Ha parlato di un’ordinazione, giusto?»

«Ah, non gliel’ho detto? Sono una fioraia. E lui ha ordinato dei fiori. Ecco perche ero un po’ spaventata…»

«Non capisco. Spaventata perche?»

«Ecco, un’ordinazione del genere in piena notte…»

«Puo dirmi esattamente cosa diceva il messaggio?»

«Attenda in linea…»

«No, aspetti…»

Ma la donna si era gia allontanata. Pochi secondi dopo, Thorne udi il clic di un bottone e il rumore del nastro che si riavvolgeva. Una pausa, poi il tonfo della cornetta appoggiata accanto alla segreteria. «Eccolo» grido la donna.

Un sibilo e il messaggio parti. Nessun accento identificabile, nessuna emozione. A Thorne sembrava che l’uomo ce la mettesse tutta per sembrare impassibile, lasciando tuttavia trapelare una nota divertita nella voce. La voce dell’uomo che, con ogni probabilita, era responsabile di quel cadavere legato e insanguinato che giaceva sul letto.

Il messaggio iniziava in modo molto semplice: «Vorrei ordinare una corona funebre…».

3 dicembre 1975

Avanzo lentamente fin quasi a toccare con il paraurti la porta del garage. Poi tiro il freno a mano e spense il motore. Afferro la valigetta appoggiata sul sedile del passeggero, scese dall’auto e chiuse la portiera con un colpo d’anca.

Non erano ancora le sei ed era gia buio. E freddo. Avrebbe dovuto cominciare a mettersi il cappotto, la mattina.

Mentre camminava verso la porta di casa inizio a fischiettare di nuovo quella canzonetta che non riusciva a togliersi dalla testa. La trasmettevano alla radio ogni cinque minuti, tutti i giorni. E poi, che cavolo era un “silhouetto”? E che c’entrava il fandango? E per di piu era lunghissima. Le canzonette non avrebbero dovuto essere brevi?

Si chiuse la porta alle spalle e si fermo un attimo, aspettandosi di sentire l’odore della cena. Gli piaceva quel momento della giornata, quando poteva far finta di essere un personaggio di un programma televisivo. In piedi sulla soglia, immaginava di essere da qualche parte in America e non in quel merdoso quartiere di periferia. Immaginava di essere un manager atletico, con una moglie perfetta che lo aspettava con l’arrosto nel forno e un drink gia pronto per lui. Un Martini, o qualcosa del genere.

Era un divertimento non solo suo, ma di entrambi. Uno sciocco rituale. Lui la chiamava dall’ingresso e lei rispondeva. Poi si sedevano e mangiavano pancake surgelati, o uno di quei piatti al curry precotti con dentro troppa uva passa.

«Cara, sono a casa…»

Nessuna risposta. E nessun odore di cibo.

Lascio la ventiquattrore accanto al tavolino del corridoio e si diresse nel soggiorno. Probabilmente lei non aveva avuto il tempo di cucinare. Doveva essere uscita dal lavoro alle tre passate, con ancora la spesa da fare. Mancavano tre settimane a Natale e c’era un sacco di regali da comprare…

L’espressione nei suoi occhi lo fece fermare di botto.

Era seduta sul divano, con una vestaglia blu. Aveva le gambe piegate sotto di se e i capelli

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