In pochi secondi Andy si era ammosciato, si era voltato su un fianco e la donna aveva fatto lo stesso dall’altra parte del letto, con un sospiro.
Un collega lo saluto passando accanto alla scrivania. Andy gli rivolse un sorriso e continuo a battere sui tasti, ricordando la sensazione calda della propria mano sui genitali e il fruscio del corpo di lei che si allontanava dal suo…
Carol, in attesa al telefono, ascoltava Celine Dion e si sentiva invecchiare rapidamente.
Momenti come quello, i minuti vuoti che riempivano tanto tempo di ogni caso, le ricordavano che aveva fatto benissimo ad accettare quel lavoro solo a patto di poterlo svolgere da casa. Di certo per l’Unita Riesame Casi Insoluti non era previsto l’uso delle nuove tecnologie e probabilmente Carol avrebbe dovuto ritenersi fortunata se le avessero assegnato un armadietto.
Jack le aveva allestito una postazione di lavoro in una stanza che usavano come ripostiglio. Avevano installato nuovi programmi nel vecchio computer della figlia e investito venti sterline nell’acquisto di un secondo ricevitore per il cordless.
Il suo schedario consisteva in una serie di Post-it gialli appiccicati sopra una foto incorniciata; Jack le preparava il caffe e, quando Carol alzava lo sguardo verso lo specchio davanti alla scrivania, vi vedeva riflesse cappelliere impolverate, vecchie lampade e una collezione di cani di porcellana che un paio di anni prima le era sembrata un buon acquisto.
Lo spazio era poco, ma a lei piaceva lavorare circondata dalle sue cose.
Il giorno in cui aveva preso possesso di quel suo nuovo ufficio, lei e Jack si erano guardati nello specchio, poi lei si era seduta alla scrivania, sorridendo al riflesso della sua faccia da pensionata.
«Cosi non ti prenderai troppo sul serio» aveva detto Jack.
La canzone di Celine Dion si interruppe di colpo. «Pronto?» disse una voce maschile.
«Vorrei parlare con Paul Baxter, per favore.»
«Ha sbagliato reparto. Questa e l’amministrazione. Aspetti che trasferisco la chiamata…»
Dieci secondi di rumori vari, poi di nuovo la voce che le aveva risposto all’inizio.
«Paul Baxter, per favore».
«E di nuovo lei? Mi dispiace, la telefonata e tornata al centralino. Attenda in linea…»
Verso mezzogiorno, il sole che entrava dai vetri sporchi aveva trasformato la sala di pronto intervento in una sauna. Yvonne Kitson non aveva bisogno di ridarsi il rossetto sulle labbra, ma lo fece ugualmente. Qualunque pretesto era buono per passare qualche minuto nella frescura del bagno.
Di solito non si truccava molto. In quel lavoro la gente era pronta a giudicare, formandosi opinioni che una volta diffuse diventavano irremovibili. Yvonne sapeva bene che cosa i colleghi pensavano di lei. Sapeva cio che pensavano quelli come Tom Thorne e quanto fossero lontani dalla verita.
Il tipo di trucco che una donna usava mandava dei segnali, caratterizzandola in un modo oppure in un altro. Nascondendo, mentendo… Non a caso si chiamava “trucco”…
Yvonne fisso la propria immagine nello specchio crepato, spostando il viso di pochi centimetri finche la crepa lo divise esattamente a meta. Era proprio cosi che si sentiva.
Carol decise che avrebbe atteso un altro minuto e basta. Comincio mentalmente il conto alla rovescia. Altri cinquantacinque secondi, poi avrebbe sbattuto giu il telefono e sarebbe andata a preparare un te e a maltrattare un po’ Jack. Anzi, no, avrebbe chiamato McKee e avrebbe maltrattato lui…
Comincio a dire parolacce sottovoce. «Merda, merda, merda…»
Sarebbe ritornata al giardinaggio, alla tivu pomeridiana e al «Reader’s Digest»…
«Ufficio di Paul Baxter…»
Carol per poco non lancio un urlo di trionfo. «Grazie a Dio. C’e il signor Baxter?»
«C’era fino a un minuto fa» disse la donna, esitando. «Forse e andato a mangiare. Attenda in linea, provo a cercarlo.»
Il ricevitore dall’altra parte venne appoggiato con un rumore sordo. Trenta secondi dopo Carol udi voci, risate soffocate che divennero piu distinte per un attimo, poi qualcuno sollevo il ricevitore e chiuse bruscamente la comunicazione.
Carol fece un respiro profondo e compose di nuovo il numero, premendo i tasti come se ciascuno di essi fosse l’occhio di un impiegato della Bowyer-Shotton.
«Qui la Bowyer-Shotton. Puo attendere un attimo in linea, per fav…»
«No!» urlo Carol.
Era troppo tardi.
Dave Holland era quasi di buonumore, prima che quella stupida cominciasse a farlo innervosire.
«Ascolta, non e necessario scendere nei particolari, no?»
«Dipende» rispose Holland. «Se non collabori, ti porto in centrale e ti faccio il terzo grado.»
«Ho lavorato come modella in quello studio, okay?»
«Certo. Cos’era, la collezione autunno/inverno del catalogo Debenham?»
«Mi hai chiesto qual era il mio collegamento con Charlie Dodd e io te lo sto dicendo. Ho fatto qualche film con lui. Adesso sei contento?»
«Ne hai mai parlato con qualcuno?» chiese Holland. «Hai mai passato ad altri il nome di Dodd, o l’indirizzo dello studio?»
Ci fu una risata amara all’altro capo del filo. «Come no, ero cosi orgogliosa del mio lavoro che avevo voglia di parlarne a tutti.»
Holland riattacco e cancello un altro nome dalla lista.
Charlie Dodd conosceva una quantita di gente. Avevano controllato tutti i numeri trovati sull’elenco delle chiamate fornito dalla compagnia telefonica e tutte le persone a essi corrispondenti sembravano avere avuto con lui rapporti d’affari o di amicizia. Fotografi, tecnici di laboratorio di stampa, fornitori vari, societa di produzione video, prostitute. Ciascuno di loro aveva fornito altri nomi e cio aveva generato una lista sempre piu lunga.
Holland soffoco uno sbadiglio. Alla fine, l’unico risultato era proprio quella lista di contatti, che magari sarebbe stata utile alla buoncostume, ma che di sicuro non serviva per trovare l’assassino. Perche, contrariamente a quanto Thorne credeva, Dodd aveva scoperto che la pubblicita aveva la sua importanza. Uno dei primi numeri della lista era quello di una rivista sadomaso. Il direttore si era molto rattristato alla notizia che un buon cliente come Dodd non avrebbe mai piu inserito annunci a pagamento per pubblicizzare la sua attivita.
Holland sollevo in alto le braccia e si stiro. Stava sprecando tempo. Anche la sera prima, a casa, si era dedicato a fare telefonate che avrebbero potuto aspettare, a cancellare nomi da quella lista. Una scusa, un pretesto per starsene da solo…
Sophie a un certo punto era entrata, tenendosi la pancia con una mano, e gli aveva messo davanti una tazza di te. Era rimasta a guardare le carte sparse sul tavolo, con la mano appoggiata sulla testa di Holland.
«Il piccolo mi ha preso a calci per tutto il giorno» aveva detto, ridendo piano.
Quando Holland aveva finalmente alzato lo sguardo, mezzo minuto dopo, lei era in piedi sulla soglia. Lui aveva sollevato la tazza, ringraziandola con un sorriso.
«Tu credi che io voglia costringerti a scegliere» aveva detto Sophie. «Ma non e cosi. E vero, a volte odio il tuo lavoro, e mi fa incazzare il tuo capo e il fatto che tu baci la terra sotto i suoi piedi. Questo lo sai gia. E sarei felice se ogni tanto ti prendessi qualche giorno di vacanza. Ma non voglio affatto chiederti di scegliere tra la famiglia e il lavoro, Dave.» Si era voltata un attimo a fissare fuori dalla finestra, poi aveva aggiunto: «Avrei troppa paura di chiedertelo».
Per alcuni secondi si era udito solo il rumore del traffico su Old Kent Road. Holland aveva sollevato il ricevitore del telefono e aveva preso in mano la penna. «Possiamo parlarne dopo?» aveva chiesto, abbassando lo sguardo su quell’inutile lista di nomi. «Si tratta di una cosa importante.»
Thorne osservava la sua squadra che fingeva di essere operativa. Holland, Stone, Kitson… E decine di altri agenti e civili. Parlavano, scrivevano, pensavano, ma la carica si stava esaurendo. Come se il caldo avesse ispessito l’aria, rendendo difficile qualunque movimento.
