si volto verso Thorne come se si fosse appena ricordata di qualcosa. «Ero in palestra.»

La sala di pronto intervento cominciava a riempirsi di rumore e movimento. Holland colse le ultime parole di Yvonne Kitson e disse: «Allora dovresti frequentare Stone. Lui e un fanatico di pesi e quant’altro. Sembra mingherlino, ma a torso nudo ha tutt’altro aspetto».

Yvonne guardo Thorne e inarco le sopracciglia. La sua espressione, adesso, era rilassata e cordiale. «Vacci piano, cucciolo» consiglio poi a Holland in tono amichevole.

Thorne si allontano, proprio mentre Holland stava per dire qualcosa. Sapeva che a fine giornata il caldo e la frustrazione lo avrebbero lasciato teso come una corda di violino.

Voleva entrare nel suo ufficio, chiamare Eve e organizzare qualcosa che lo aiutasse a liberarsi almeno in parte di quella tensione.

«Cristo, hai una voce ancora piu esausta della mia.»

«Il sabato e il giorno piu faticoso, te l’ho detto.»

«La mamma di Keith e ancora malata?»

«Come, scusa?»

«Keith non e li ad aiutarti?»

«Ah, no, non c’e.»

Yvonne Kitson entro in ufficio e Thorne alzo lo sguardo. Dall’espressione della collega capi che lei sapeva benissimo con chi era al telefono. Thorne abbasso la voce.

«Ti andrebbe un cinema, stasera?»

«Si, perche no? In casa devo avere una copia di “Time Out”. Piu tardi guardo che cosa danno…»

All’improvviso, senza una ragione precisa, nella testa di Thorne irruppe il caso cui stava lavorando. Il pensiero indefinito cui non riusciva a dare forma.

Qualcosa che aveva letto e qualcosa che non aveva letto…

«Tom?»

Al suono della voce di Eve, quel pensiero fantasma svani all’improvviso.

«Si, perfetto. E forse domani potremmo fare un po’ di shopping insieme.»

Un silenzio, poi: «C’e qualche posto in particolare dove vorresti andare?».

Thorne abbasso ancora di piu la voce e mise una mano a coppa intorno al microfono. «In un negozio di letti…»

Eve rise e, quando parlo di nuovo, anche lei sussurrava.

Dal rumore in sottofondo, Thorne dedusse che il negozio fosse pieno di gente. «Grazie a Dio ti sei deciso» disse.

«Sono contento che tu sia contenta.»

«Be’, era ora. Mi ero ripromessa di non tornare piu sull’argomento. Non volevo darti l’impressione di essere disperata.»

Thorne getto un’occhiata a Yvonne, china su un fascio di carte. «Senti, stamattina mi sono guardato attentamente allo specchio. E direi che per me la parola “disperato” e perfetta.»

Fiona aveva quasi finito. Le restavano solo un paio di stanze.

Di solito le cameriere dell’hotel seguivano uno schema prestabilito per quanto riguardava i piani e i corridoi, ma l’ordine secondo cui venivano riordinate le singole stanze variava di giorno in giorno. Quelle con il cartello “Non disturbare” appeso alla maniglia venivano, ovviamente, pulite per ultime e alcune slittavano addirittura al turno successivo.

In fondo al corridoio del primo piano c’erano ancora due stanze da fare. Fiona guardo l’orologio. Erano le dieci meno venti.

Prese un secchio pieno di spugne, spray e flaconi, spingendo con il piede l’aspirapolvere verso la porta della stanza. Busso e conto mentalmente fino a cinque, pensando alle uova con pancetta e al letto che l’attendevano a casa. Succedeva la stessa cosa ogni mattina. Verso quell’ora, lei cominciava a pensare alle gioie di una ricca colazione casalinga e di qualche piacevole ora di sonno.

Erano le dieci meno venti. Con un po’ di fortuna, sarebbe riuscita a riordinare entrambe le stanze prima della fine del turno. Naturalmente molto dipendeva dallo stato in cui le avrebbe trovate.

Prese il passe-partout magnetico e l’avvicino alla fessura della porta. Nella mente le riecheggiava il ritornello della canzone con cui la radio l’aveva svegliata quella mattina. Era una canzone vecchio stile — solo una voce e una chitarra — e la melodia le era rimasta in testa.

Quando la chiave magnetica entro nella fessura, si accese la luce verde sotto la maniglia. Fiona spinse la porta e con la coda dell’occhio vide qualcuno che avanzava lungo il corridoio. Le sembro che fosse una delle responsabili del piano, ma non avrebbe potuto dirlo con certezza, perche la testa della donna era nascosta dietro un’enorme composizione di gigli. Fiona spinse avanti l’aspirapolvere, in modo da impedire alla porta di richiudersi, si volto verso il carrello per prendere le altre cose di cui aveva bisogno, quindi entro…

Due mesi dopo, il suo sogno di vedersi offrire un posto al corso di arte drammatica di Manchester divenne realta, ma Fiona lo rifiuto. Aveva avuto le sue due B e una C, ma ormai non le importava piu. Sua madre aveva aperto la busta e aveva cercato di manifestare entusiasmo nel leggere i risultati dell’esame, ma Fiona non l’aveva neppure sentita. L’urlo che aveva lanciato otto settimane prima le rimbombava ancora nella testa, sovrastando tutto il resto.

L’urlo e il ricordo di cio che aveva visto entrando in quella stanza. Macchie che non sarebbe mai riuscita a pulire con nessuno dei detersivi che portava nel secchio e che aveva lasciato cadere rumorosamente a terra.

Erano passate da poco le dieci e Thorne si stava gia chiedendo quale sarebbe stato il piatto del giorno al Royal Oak, quando una donna di mezza eta si presento nel suo ufficio.

«Sto cercando l’agente Holland» disse. Era entrata senza bussare, percio Thorne si senti subito maldisposto verso di lei, ma fece uno sforzo per mostrarsi gentile. La donna era bassa e rotondetta, piu vicina ai sessant’anni che ai cinquanta. Gli ricordava vagamente sua zia Eileen, e all’improvviso capi chi poteva essere.

«Lei e la mamma di…?»

«Niente affatto» lo interruppe la donna, trascinando una sedia davanti alla scrivania di Thorne e mettendosi a sedere. «Mi chiamo Carol Chamberlain. Ex ispettore capo Chamberlain, dell’Unita Riesame Casi Insoluti.»

Thorne si muni di carta e penna, preparandosi a prendere nota. “Mi mancava solo la Squadra dei Ripescati, stamattina” penso. Si allungo verso la donna sopra la scrivania e le tese la mano. «Ispettore Thorne.»

Carol Chamberlain lo ignoro e si mise, invece, a frugare nella sua borsa. «Perfetto, lei fa al caso mio. Avevo chiesto di Holland solo perche ho trovato il suo nome su questo.» Ed esibi un fascicolo dalla copertina verde consunta e piena di Post-it gialli.

Lo appoggio sulla scrivania. Thorne alzo entrambe le mani e cerco di assumere il tono piu gentile possibile. «Senta, non potremmo parlarne un’altra volta? Siamo immersi fino al collo in un caso piuttosto importante, e…»

«So perfettamente di quale caso si tratta» lo interruppe Carol. «Per questo e importante che ne parliamo ora.»

Thorne la fisso. Nella voce di quella donna c’era una nota dura che denotava un temperamento poco incline al compromesso. Con un sospiro, prese il fascicolo e comincio a sfogliarlo.

«Cinque settimane fa, l’agente Holland ha esaminato il dossier di un delitto avvenuto nel 1996 e rimasto insoluto.» Nella sua voce c’erano quella ricercatezza e quel distacco acquisiti con il grado gerarchico e Thorne vi colse anche una traccia di accento dello Yorkshire. «Il nome della vittima era Alan Franklin. Strangolato in un parcheggio con una corda da bucato.»

«Ricordo quel caso. Ne abbiamo esaminati vari simili e poi li abbiamo lasciati perdere, perche nulla suggeriva…»

Carol Chamberlain annui. «Infatti si tratta di un caso “freddo”. Il primo che mi e stato affidato.»

«Ho letto di questa iniziativa e la trovo ottima.»

«Ho riesaminato il caso Franklin.»

«Ebbene…?» disse Thorne. Noto una vaga traccia di piacere nella donna. Un accenno di sorriso che duro meno di mezzo secondo, ma fu sufficiente a provocargli quel formicolio che, come sempre, cominciava dalla

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