pezzo di granito pero rompeva la liscia regolarita del basalto del pavimento. Era rimasto solamente un grande buco rettangolare che si presentava alla vista nero e aperto: era il blasfemo cancello dell’Inferno!
Dal pavimento scendevano delle scale buie, indicibilmente antiche, fredde, di un orrore agghiacciante… le stesse scale che aveva intravisto nei suoi sogni…
Il freddo umido che spirava da quella oscurita le colpi il viso ricordandole il risucchiante sentore del Caos primordiale… un male al di la della comprensione del genere umano!
Ne emanavano pero anche un’irresistibile malia, un fascino simile a quello del luccichio distante di una lampada per qualcuno che si e perso… E c’era qualcos’altro: la fioca luce bianca che Gil stava cercando, si riverberava sugli archi del soffitto, e si allungava sui lineamenti rigidi di un teschio, scivolando nella delicata rotondita delle ossa di orbite ormai vuote.
Le mani di Gil tremavano, ma riusci a curvarsi e ad afferrare una spada che giaceva sul pavimento tra un cumulo di ossa corrose come da un acido.
Il peso dell’arma tra le dita la tranquillizzo: si senti meglio, piu calma e meno timorosa. Tenendo alta la torcia, cammino fino al margine dell’abisso.
Giu, lungo le scale, illuminata dal chiarore fulgido del suo bastone, riusci a scorgere la sagoma di Ingold.
Lo Stregone stava immobile come una statua, circa cinquanta scalini sotto di lei, proprio nel punto nel quale le scale curvavano e si perdevano alla vista negli abissi profondi della terra. Il suo viso era assai attento, quasi stesse ascoltando qualche rumore che Gil non riusciva a percepire.
L’uomo teneva la spada nel fodero e la mano destra gli pendeva vuota e inerte al fianco.
Non appena Gil riusci a scorgerlo, Ingold prese a muoversi con l’andatura esitante e lenta di qualcuno sotto ipnosi, scendendo un gradino dopo l’altro, quasi fosse in trance o stesse inseguendo una musica incantata.
Gil si rese conto che dopo un altro gradino o due, l’avrebbe perso completamente di vista, a meno che non decidesse di seguirlo.
«Ingold!», grido Gil disperatamente.
L’uomo si giro verso di lei e le getto un’occhiata inquietante.
«Si, mia cara?»
La sua voce echeggio dolcemente risuonando contro l’oscurita delle pareti. Poi si guardo intorno fissando le scale ed aggrottando le ciglia come se fosse sorpreso di trovarsi in quel posto. Si giro quindi di nuovo a guardare verso il basso, e Gil ricordo con terrore di avergli sentito dire, una volta, che la curiosita era la caratteristica predominante di un buon Mago e che questi avrebbe inseguito un enigma fin sull’orlo della propria tomba.
Per un attimo ebbe l’impressione che stesse giocando con l’affascinante idea di scendere per quelle scale misteriose, di cacciarsi consapevolmente nella trappola soltanto per vedere cosa contenesse.
Alla fine si giro verso di lei e sali, mentre l’oscurita sembrava svanire con l’avanzare della sua luce. Sali per starle accanto e chiese, abbastanza calmo:
«Lo senti?»
Gil scosse il capo, muta e spaventata.
«Cosa?»
I suoi occhi blu rimasero fissi per un attimo sul volto di lei, poi guardarono altrove, verso il buio infinito. Le sue sopracciglia bianche si aggrottarono in un movimento ormai familiare, come se la sua mente fosse occupata da un mistero, dimentico del pericolo intorno a loro.
Gil invece avverti nettamente la presenza di qualcosa di minaccioso, una presenza che stava guardando e attendendo nelle ombre, e che era pronta a spingerli, a guidarli in quella voragine maledetta.
Quando riprese a parlare, la voce rauca di Ingold era abbastanza calma.
«Davvero non senti niente?»
«No», rispose piano Gil. «Tu cosa senti?»
Lo Stregone esito, poi scosse la testa.
«Niente…», menti. «Devo essere piu stanco di quanto pensassi. Io… io credevo… cioe, non credevo di essere sceso tanto giu. Non era nelle mie intenzioni.»
Quella nota di incertezza nella sua voce, e l’ammissione di quanto fosse stato vicino a cadere in una trappola, scosse Gil. Ingold corrugo ancora la fronte fissando l’oscurita che si apriva sotto i suoi piedi, sforzandosi di acquisire una nuova conoscenza, sconcertato non tanto dall’oscurita, quanto da qualcos’altro di altrettanto sfuggente.
Poi alzo le spalle e smise di pensare.
«Sei venuta sola?», chiese.
Gil annui. Era una figura dall’aspetto tragico nei suoi jeans logori, con una torcia di resina in mano e la pesante spada presa in prestito da un cadavere, nell’altra.
«Anche gli altri ti stanno cercando,» disse, senza aggiungere nessuna spiegazione del perche solo lei era giunta fin la.
«Grazie,» rispose calmo Ingold, e le poggio una mano sulle spalle. «E molto probabile che tu mi abbia salvato la vita. Io… mi sento come fossi stato colpito da un incantesimo… come se…» S’interruppe e scosse la testa per schiarirla. «Vieni!», disse infine «Questa strada e piu corta. Tieni la spada…», aggiunse poi, quando si accorse che stava per deporla dove l’aveva trovata. «Potresti averne bisogno. Al proprietario non servira piu!»
Quando il convoglio raggiunse Karst, l’aria era diventata gelida e il giorno stava ormai volgendo al crepuscolo. Avevano viaggiato lentamente perche i cavalli erano stanchi, la strada inzuppata e fangosa, ed i carri molto piu pesanti dell’andata.
Lungo il cammino, tra l’altro, erano stati spesso fermati da uomini e donne che avevano piantato il loro campo nei boschi e correvano verso di loro elemosinando qualcosa da mangiare. «Solo un po’… solo un po’…»: era quella la richiesta, sempre la stessa.
Janus, che guidava il carro di testa, scuoteva sempre il capo.
«Divideremo il cibo a Karst…»
«Bah!» Una donna coperta di una consunta veste rossa, sputo in terra. «Karst: anche se riuscite ad entrare nella citta, non siate sicuri di essere i primi ad afferrare qualcosa!»
Il Comandante la fisso con uno sguardo freddo come la pietra.
«Scostati!», le disse, poi strinse le ginocchia intorno al suo cavallo nero e passo oltre. Gli altri carri non si erano nemmeno fermati.
«Porco!», gli grido dietro la donna e si curvo per raccogliere una pietra dalla strada. Colpi la schiena di Janus tanto forte da sollevare della polvere dal suo logoro giaccone di pelle, ma lui non si giro. «Tutti voi siete dei maiali!»
Non era certamente questo che Gil si aspettava. Con le braccia strette intorno alla testa del suo cavallo, ed aggrappandosi alle briglie per non cadere, credeva di essere accolta almeno con un po’ di gioia in citta.
Probabilmente pero le Guardie avevano gia visto troppi aspetti della natura umana per rimanere ancora sorprese.
Continuarono a camminare in silenzio lungo la strada, inseguiti dal buio della sera che avanzava, con una instancabilita ed una forza che Gil invidio amaramente agli altri. I civili si muovevano lentamente, tirando in silenzio i cavalli sovraccarichi. Il sole era gia scomparso dietro la cima delle montagne circostanti e, insieme alla sera, giunse anche il freddo. Presto sarebbe stata notte.
Qualcuno, con un gesto gentile, aveva rubacchiato da qualche parte un mantello con un cappuccio dalle rovine del Palazzo e glielo aveva dato: Gil provvide ad avvolgerselo goffamente intorno alle caviglie. Quel movimento la porto a toccare la spada. Il battito ritmico dell’arma inguainata contro il polpaccio era curioso, ma in qualche modo anche confortante: avrebbe riportato quell’arma con se in California insieme al ricordo di quella terra strana e terribile.
